giovedì 18 dicembre 2014

Maestri Coraggiosi di Marisa De Pauli


Maestri  Coraggiosi – Storia del Sacerdote De Marchi e dei maestri comunali (1867-1914) di Marisa De Pauli Filipuzzi, Andrea Moro editore, Tolmezzo.

            Non è mai stata una professione facile quella del maestro elementare. Oggi i maestri sono alle prese con i genitori che stravedono per i loro figli e che comunque per principio sono portati a prendere le loro difese, contro i maestri che si permettono di fare qualche osservazione. Un secolo fa erano alle prese con gli alunni talmente indisciplinati da rendere improba l’impresa di “tenere la classe”. Ne seppe qualcosa anche Benito Mussolini che, incerto su che cosa fare da grande, s’era provato a fare il maestro nell’anno scolastico 1906/7  nella scuola elementare di Tolmezzo. Il Duce che per vent’anni terrà in pugno e imporrà la sua  disciplina all’Italia, nell’anno di esperienza come maestro a Tolmezzo, è costretto a confessare di non essere in grado di mantenere il controllo sulla classe, a gettare le armi chiedendo al Direttore didattico di intervenire espellendo gli indisciplinati. Scrive: “Non intendo di essere angustiato quattro ore al giorno e non sopporto la prostrazione spirituale che ne consegue. Poiché credo di aver esaurito i mezzi pedagogici a me noti preferisco andarmene piuttosto che sottostare ad un martirio del quale non ambisco affatto la molto relativa palma”.

            L’episodio viene riportato nel libro di Marisa De Pauli e dà l’idea del perchè l’autrice abbia voluto intitolare “Maestri coraggiosi” questa sua storia della scuola in Carnia, negli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento Ci voleva coraggio, soprattutto per le maestre, a farcela e ad imporsi in situazione di fronte alle quali persino il giovane Mussolini si dichiarava inadeguato. Eppure a lui era stata assegnata una Seconda classe di “solo”  quaranta ragazzi mentre, ad esempio, la maestra della frazione di Fusea aveva una pluriclasse di ben 77 scolari.
            Il motivo di comportamenti così indisciplinati venne individuato nel fatto che gli scolari delle elementari avevano avuto una prima infanzia in assoluta libertà senza nessun controllo da parte dei genitori. Da qui la necessità di istituire una scuola materna dove accogliere i bambini in età prescolare. Anche il Comune di Tolmezzo iscrisse tra le sue priorità la realizzazione della scuola materna, ma ci si fermò di fronte alla difficoltà di reperire un terreno idoneo. Intervenne allora la generosità d’un  sacerdote che per tutta la vita, oltre a fare il cooperatore del Parroco, aveva fatto il maestro, e quindi nella doppia veste aveva avvertito più d’ogni altro la necessità della istituzione della scuola materna. Don Gio Batta De Marchi mise a disposizione un terreno di sua proprietà, ed anche Tolmezzo ebbe la scuola materna, che quest’anno,  nel centenario della morte, il Comune ha voluto opportunamente intitolare a questo sacerdote maestro, originario di Raveo in Carnia, ma che per tutta la vita ha svolto il ministero pastorale e la professione di insegnante a Tolmezzo.
            Il libro di Marisa De Pauli nasce dall’idea di ricostruire la biografia di questo sacerdote benemerito, ma in corso d’opera l’idea si allarga necessariamente al contesto nel quale ha operato don Marchi, cioè quello della scuola in Carnia. Un sistema scolastico che viene raccontato nella sua evoluzione negli anni, con le  trasformazioni conseguenti alla fine della dominazione austriaca e all’entrata della Carnia nel Regno d’Italia nel 1866: dalla scuola cattolica del Lombardo-Veneto, al nuovo ordinamento della scuola nel Regno d’Italia, con i primi concorsi magistrali.
            “Maestri coraggiosi” si pone quindi come ideale continuazione dell’altra importante opera storica della De Pauli: “Tolmezzo nell’Ottocento in Carnia e in Friuli”, con alcuni elementi  di originalità rispetto a quella. Dovendo partire dalla biografia d’un maestro, lo sviluppo della scuola viene ora assunto come parametro per giudicare lo sviluppo sociale e civile del territorio. Il fatto poi che a scrivere la storia della scuola sia una persona che è stata maestra per tutta la vita, determina un coinvolgimento quasi autobiografico dell’autrice nel racconto. Da un lato quindi si resta colpiti dal rigore della storica che negli archivi comunali ha recuperato persino le note caratteristiche ed i giudizi sui singoli maestri,  assieme alle relazioni degli insegnanti, per ricostruire attraverso questi documenti l’ambiente e l’atmosfera che si viveva nel periodo. Come pure si resta colpiti dal rigore con il quale nel libro si ricostruisce la biografia di tutti i personaggi ricordati, dalla puntigliosità con la quale in appendice vengono riprodotti tutti i documenti citati. Da un altro lato si finisce invece per essere coinvolti dalla passione che la maestra De Pauli mette nel renderci le figure dei maestri del tempo, nella loro grande umanità, piccoli-grandi  eroi da libro “Cuore” . Come, ad esempio, la maestra della frazione più piccola del Comune, Cazzaso, che per evitare ai ragazzi del paese il disagio di recarsi nel Capoluogo a frequentare le scuole serali, per strade in cattive condizioni e frequentate da “girovaghi pericolosi”, si offre di  aprirla lei in paese, volontariamente e senza compenso, chiedendo al Comune solo “due lumi a petrolio per poter iniziare al più presto”.
            Una pagina di storia ricostruita con scrupolo e precisione quella dei “Maestri coraggiosi” che avvince come un bel romanzo, con tanti coraggiosi protagonisti della storia della scuola, in una relazione continua con i protagonisti in campo economico e sociale di quella grande pagina di storia che è stato, per Tolmezzo e per la Carnia, il primo decennio del secolo scorso.
Igino Piutti

lunedì 8 dicembre 2014

Salvate il cavallo Agemont!

    Un tempo della Carnia si diceva che il cavallo non beveva.
        Ora si dice che il cavallo mangia ma non galoppa.
           Sento ripetere che la chiave dello sviluppo della Carnia sta nello sviluppo delle proprie risorse: il marmo, il bosco, l’acqua, il turismo, l’artigianato, l’agricoltura. Ma ci vogliono gli imprenditori a trasformare queste opportunità in risorse! E il problema della Carnia nel secondo dopoguerra è stato la perdita dello spirito imprenditoriale che ne ha caratterizzato la storia. Gli imprenditori non si inventano, ma ci sono progetti e programmi a livello europeo finalizzati al favorire lo sviluppo della cultura d’impresa (centri di innovazione, impact hub, seed capital ecc.) e ad assistere le start up nella difficile fase d’avvio. I tanto vituperati politici della prima Repubblica  erano all’avanguardia quando la Comunità Montana realizzava le centraline o i capannoni per agevolare l’insediamento di nuove imprese, quando in Regione hanno  immaginato già nel 1989 una Agenzia per la montagna come Centro di Innovazione con il compito di favorire l’arrivo ed il formarsi in loco di nuovi imprenditori. Qualche risultato s’è visto! Non è un caso infatti che il decollo della zona industriale di Amaro sia coinciso con l’insediamento dell’Agemont, con l’attivazione di laboratori innovativi a servizio delle imprese del territorio. Guarda caso, lo stesso Friuli Innovazione è nato all’interno d’un progetto del “poltronificio” Agemont! Poi sono arrivati i politici senza idee che dovendo pur fare qualcosa  si sono messi a demolire ciò che non senza difficoltà stava crescendo. Sia la Comunità che l’Agemont sono state messe in un limbo nel quale non avrebbero potuto che consumare risorse senza produrre alcun risultato. Ora invece che denunciare  chi le ha messe nel limbo, si assume la forzata inoperatività di questi ultimi anni, come dimostrazione della loro inutilità. Presidente Serracchiani è vero che il cavallo Agemont mangia e non galoppa, ma non è stato sempre così, e prima di ammazzarlo, io andrei a vedere se non sia colpa dello stalliere o del fantino!
             Ottimo lavoro quello che sta facendo il Cosint, ma perché non allargarne gli obiettivi, aggiungendo quello di favorire lo sviluppo di imprese giovanili,  accorpando il CIT dell’Agemont? Perché non trasformarlo in Consorzio di sviluppo economico a 360 gradi? Impegnato a favorire la cultura d’impresa tra i giovani  della Carnia, e poi ad assistere le imprese che dovessero nascere in capo a giovani diplomati e  laureati, nuovi imprenditori dell’agroalimentare, del turismo e dell’ambiente, dell’energia e del bosco, appunto per trasformare in risorsa le opportunità del territorio. Impegnato infine a far sì che si colgano le opportunità per l’insediamento  di nuove imprese innovative nei settori  dell’elettronica e dell’informatica legate alla  fortunata collocazione della zona industriale di Amaro sull’autostrada Trieste-Monaco,  soprattutto se finalmente venisse incaricato di completare gli investimenti sulla banda larga e sul cloud computing.
Igino Piutti
già Presidente dell’Agemont

            

sabato 8 novembre 2014

Vercellia al B&B La Gerla Blu.

VERCELLIA.
                Il prof Pierin famoso glottologo dell’Università di Padova di cui si parla ampiamente nel sito di presentazione del B&B "LA GERLA BLU", era salito a Verzegnis per scoprire il mistero del paese che non c’è. Ma dal giorno in cui in visita alla Chiesa di Villa di Verzegnis, come si legge nel sito, gli era capitato di sentire le voci delle indemoniate,  non aveva resistito al desiderio di darsi una spiegazione d’un  fenomeno così originale e straordinario che aveva interessato il paese nell’Ottocento. 
           S’era così messo a studiare la storia del paese ed aveva  scoperto che secondo lo storico tolmezzino Fabio Quintiliano Ermacora, che ha scritto la Storia Antica della Carnia in latino. sulle colline a ponente di Tolmezzo  in origine c’era una chiesa la Plebs Vercelliarum. Seguendo  il vocabolario, il professor Pierin avrebbe dovuto tradurre la Pieve di Vercelli, ma ha poi  pensato  che fosse più appropriato Verzellis, da cui per successive storpiature, a suo parere sarebbe  derivato l’attuale Verzegnis. Già infatti il castello che nel Medioevo avrebbe sostituito la Pieve, secondo lo stesso storico, portava questo nome. Il castello sarebbe poi stato demolito come tutti gli altri castelli della Carnia dal Patriarca Niccolò di Lussemburgo fratello dell’Imperatore Carlo IV, per vendicare l’assassinio del suo predecessore  Bertrando di Saint Geniès, avvenuto per una congiura alla quale, a suo dire, avevano partecipato tutti i castellani della Carnia. Prima aveva assediato quello di Ermanno di Luint considerato il capo della congiura, mandando a morte lui ed il figlio Enrico. Poi era passato a quello di Socchieve, mettendo a morte il conte Roberto, colpevole tra l’altro d’aver rapito e stuprato delle ragazze di nobile famiglia, poi a quello di Invillino  e poi alla fine, per non fare ingiustizie, li aveva fatti radere al suolo  tutti e quindi anche quello di Vercellis diventato già Verzegnis
 Ma qui si perdevano i dati storici. Di solito il nome del castello è rimasto alla “villa”, al paese sottostante. Qui invece la villa non aveva mutato nome, e quello del castello s’era come dissolto e distribuito sull’intero territorio d’un Comune.
Aveva controllato l’archivio parrocchiale, aveva anche fatto una puntata all’archivio di stato di Udine, ma non era arrivato a capo di nulla. Finchè una sera…
Stava per addormentarsi, ma era ancora in quel dormiveglia nel quale si è ancora presenti a sé stessi. Gli  parve di sognare ad occhi aperti. Ma da svegli non si sogna e quindi la persona che gli era comparsa nella stanza, non era frutto d’un sogno. Non poteva avere dubbi: era proprio una visione.
Era una bellissima ragazza, con un viso dai lineamenti dolcissimi, incorniciato da lunghi capelli biondi con sfumature d’ambra, con due occhi azzurri profondi che sembrava volessero assorbirlo  con l’intensità dello sguardo. Non so perché guardandola per una strana associazione d’immagini, gli era tornata in mente l’immagine del lago di Verzegnis  in una giornata d’ottobre, mentre il bosco attorno si inebria di mille sfumature.  Lo  guardava sorridendo con una espressione di simpatia e compassione allo stesso tempo. Avrebbe  dovuto chiederle: “Come hai fatto ad entrare?...Da dove vieni?...” Alla fine, vincendo l’emozione ed anche la paura che aveva provato vedendola, le chiesi soltanto: “Chi sei”, come se la sua presenza fosse un fatto normale.
“Sono Vercellia, la figlia del castellano di Vercellis”
“Mi vuoi prendere in giro per le conclusioni a cui sono arrivato studiando la storia di questo paese?”, le replicò, come se avesse avuto a che fare con una persona già conosciuta, venuta a fargli visita e  con la quale  era logico parlassero  delle sue ricerche sul mistero del paese che non c’è..
“No, sono a confermarti che non avevi sbagliato,” mi disse invece.
 Quando qualcuno ti dice che hai ragione, già ti diventa simpatico! Mi lasciai prendere dal discorso, dimenticando la stranezza di ciò che mi stava capitando.
“Però sul tua esistenza non ho trovato traccia alcuna,” obiettai.
“Non avresti potuto, perché è come se non fossi mai esistita.”
“Come mai?”
Alla sua domanda rispose con una racconto incredibile che al professor Pierin  si impresse nella mente  sin  nei minimi particolari, perché  veniva a completare con tante risposte  e a dare una logica ai pochi dati storici che aveva ricavato da Quintiliano Ermacora.
Era figlia unica, nata come san Giovanni Battista, quando ormai i suoi genitori pensavano di non poter più avere figli. Ma come il cugino di Gesù, era nata con poteri straordinari, dei quali non riusciva a darsi una spiegazione ma che aveva subito messo a disposizione degli altri. Al solo tocco della sua mano gli storpi riprendevano a camminare, le ossa rotte di chi s’era infortunato si riattaccavano. E senza neppure dover  toccare il corpo, ma solo facendo il gesto di imporre le mani, riusciva a riportare l’equilibrio in chi era andato fuori di senno, a riportare la serenità in chi era disperato.
Roberto di Socchieve il più scapestrato tra i castellani della Carnia del momento, l’aveva rapita per usare dei suoi poteri, ma poi l’aveva costretta a subire le sue voglie e l’aveva stuprata.
Era evidentemente una delle ragazze di cui parla Ermacora. Il Patriarca l’aveva liberata ed aveva fatto demolire il castello di Socchieve. Aveva poi voluto accompagnarla personalmente nel castello di Verzegnis.  Ma qui (quel vigliacco!), la sera stessa, quasi a voler essere ringraziato per averla liberata pretese che gli si concedesse. Lei aveva reagito schifata da tanta impudenza, ed era scappata a chiudersi nella torre più altra del castello.
Allora il Patriarca infuriato aveva abbandonato  il castello ed aveva ordinato che fosse dato immediatamente alle fiamme. Non voleva che la ragazza potesse testimoniare sulle proferte oscene che aveva avuto da lui, e quasi a dare una giustificazione generale alla distruzione di quel castello, decise che fossero distrutti anche tutti gli altri sparsi in giro per le montagne carniche. Ermacora nella sua Storia Antica della Carnia non entra in questi dettagli, ma nelle parole della giovane trovava comunque conferma il dato storico  da lui riportato della distruzione dei castelli della Carnia.
“Bruciai con il mio castello! Il mio corpo si disciolse nelle pietre del castello, evaporò nel fumo dell’incendio e si depose come la rugiada nella notte nella campagna circostante. Mentre nel  tormento delle fiamme che mi avvolgevano lasciavo questo mondo, pregavo che i miei poteri restassero al territorio. E fui esaudita”.
“Come fai a dire che fosti esaudita”
“Perché anche tu che sei forestiero hai potuto capire che questo territorio è particolare. La rugiada con il mio corpo è penetrata nella terra lasciandovi i miei poteri, che  anche le pietre del castello hanno mantenuto.  I ruderi del castello sono diventati una cava di pietra alla quale hanno attinto i paesani per costruirsi le loro case, distribuendo  i miei poteri nelle case ove sono finiti i sassi. Nelle viscere del terreno scorre un’acqua che fuoriesce nella sorgente che è stata chiamata del Paradiso, con virtù che voi non avete ancora saputo sfruttare, come non avete saputo beneficiare dell’aria della vostra montagna. Prova a darti una spiegazione del fenomeno delle indemoniate alla luce di quanto ti ho detto. Prova a chiederti come Ansule, sia stata famosa in tutto il territorio della Carnia per la capacità di aggiustare le ossa, senza avere nessuna nozione di ortopedia.
In effetti, a pensarci bene le donne che nell’Ottocento era passate per indemoniate, avevano solo dimostrato di possedere dei poteri particolari. Anche Pierin aveva potuto di persona sperimentare  le capacità taumaturgiche della  donna alla quale accorrevano da tutta la Carnia per farsi rimettere a posto le ossa rotte. Da dove le venivano questi poteri? Da dove quelli delle cosiddette indemoniate? Perché non pensare che la donna avesse ereditato in qualche modo i poteri di cui parlava questa Vercellia?  Perché non pensare che a passare per indemoniate fossero le donne che abitavano le case dove erano finiti i sassi del castello? In fondo, per quel che era riuscito a ricostruire, all’inizio la demonopatia  loro diagnosticata si era rivelata come capacità delle donne di prevedere qualcosa o di vedere cosa stesse capitando in altro luogo, solo dopo, sottoposte alle pressioni dei preti ed alle cure degli psichiatri del tempo, e quindi come conseguenza di queste pressioni e cure, avevano iniziato a manifestare veri segni di pazzia.
Rimase per un po’ sovrapensiero pensando a queste possibili coincidenze, poi le chiese: “Ma perché dici che non abbiamo saputo beneficiare dell’aria della nostra montagna?”
“E’ l’aria che porta ancora il profumo di me, c’è nell’aria il potere che io avevo di donare serenità. Basta  si sappia entrare in sintonia con l’ambiente per godere dei benefici influssi. Da soli o con l’aiuto di persone che sappiano porsi come maestri nell’insegnare a sentire la suggestione della natura.
Per le coppie in difficoltà, una settimana nel paese che non c’è, è un toccasana. Dissapori, incomprensioni si dissolvono come i vapori della rugiada ai primi raggi del sole. Gli stessi motivi del contendere diventano nuovi legami che rilanciano il rapporto”.
 “E l’acqua del Paradiso?” le chiesi, ancora più perplesso, “perché parli di virtù che non abbiamo saputo sfruttare? Sappiamo che è salutare e molti ne fanno uso  e vengono anche da Tolmezzo ad attingere a questa piccola fonte per le sue virtù diuretiche.”
“So. Ma è molto sottovalutata. E’ in verità  l’acqua che ha consentito a mia madre, di concepirmi, quando ormai aveva perso ogni speranza. Tornando alla terra con il mio corpo dissolto dal fuoco, io le ho conferito di nuovo questi poteri, ho accentuato le sue virtù. Le coppie sterili che vi si dissetano mattina e sera per quindici giorni, possono avere delle piacevoli sorprese”
“Già mi prendono per matto perché perdo il mio tempo a cercare una spiegazione per “il paese che non c’è”, se adesso mi metto in giro a parlare della capacità dell’acqua del Paradiso di curare l’infecondità, mi faranno veramente ricoverare in manicomio, come è capitato alle indemoniate”,  obiettò il professore.
Ma come se non avesse sentito la sua obiezione lei continuò a parlare, assorta, come dovesse dargli un oracolo: “Vedo la fonte sistemata con la statua d’una donna come me. L’acqua le esce dalle mammelle e si raccoglie nelle mani che tiene a conchiglia sul ventre, come se dovesse porgere qualcosa. Dalle sue mani, divenute una fontana, le coppie raccolgono l’acqua in bicchieri e bottiglie, mattina e sera, e, ospitate nelle case e negli alberghi del paese, passano i giorni passeggiando sui sentieri più facili e poi più su, fino ad arrivare almeno una volta alla grotta del Crist di Val”.
Seguendo le sue parole anche il professor Pierin  immaginava la gente accorrere a Verzegnis, ma mentre vedeva nella sua mente la gente, lei la bella ragazza dai capelli d’ambra s’era come dissolta.
 Era di nuovo solo nella sua camera, cercando di darsi una spiegazione di ciò che gli era accaduto, preoccupato per la sua salute mentale. Aveva pensato in un primo momento di parlarne almeno con la sua padrona di casa. Ma, a mente fredda, si rendeva conto che nessuno avrebbe potuto credere ad un racconto così bizzarro.
Allora aveva deciso  di scrivere e nascondere il racconto dietro ad un armadio nella sua camera, preoccupato che se non avesse reso la sua testimonianza, si sarebbe potuto tirare addosso una qualche maledizione della ragazza.
Così infatti si chiude, con una sorta di firma e sottoscrizione il suo racconto: “Solo per questo ho scritto, per non incorrere nelle ire della ragazza... Non so chi, come e quando troverà il mio quaderno. Ma giuro che è tutto vero ciò che ho scritto”.
Nei lavori di sistemazione per trasformare l’affittacamere di sua madre in un moderno B&B il racconto è venuto tra le mani di Pierin il proprietario. Ha naturalmente ritenuto di divulgarlo, mettendo a disposizione le sue camere di quanti volessero sperimentare la magia che si respira e si vive sulle verdi colline su cui s’adagia Verzegnis, il paese che non c’è.


giovedì 30 ottobre 2014

1944: un' estate di pulci e di fame altrochè di libertà.

                Rispondo a Lupieri che sul Messaggero Veneto   nelle lettere al Direttore di giovedì 30 u.s. mi accusa di revisionismo perché nel mio libro pubblicato recentemente da Aviani@Aviani intitolato “l’Assedio della Carnia” ho voluto ricordare il sacrificio di mia madre come quello di tante altre donne di Carnia che sono scese in Friuli per procurare da mangiare ai loro figli e che poi si sono viste sequestrare la gerla da partigiani, o da quelli che come scrive Gino Pieri  in “Storie di Partigiani” Aviani @Aviani Editori, “s’erano messi a fare il mestiere di finti partigiani”. Fatto che viene ripreso nella bella canzone “Al ère l’an dai puls e da fan” di Ciro di Gleria con la quale ho voluto aprire e chiudere il mio libro. Luperi sostiene che il fatto non è vero perché i partigiani stessi avevano organizzato l’operazione di rifornimento viveri nota come “operazione Montes”. Per capire di cosa si stia parlando cito da Angeli-Candotti, “Carnia Libera”, autori che non sono mai stati definiti revisionisti: “l’11 settembre il dott.Gino Beltrame (sarà poi uno dei massimi esponenti della Repubblica Partigiana di Ampezzo!) riferendo alla Federazione Provinciale del PCI dice: “Sarebbe urgente si attuasse quella proposta di Montes, cioè l’invio in zona vicina a quella liberata, di uno o più camion di farina, poi li faremo arrivare imbandierati nei paesi con delle grandi scritte ai fianchi, “Il partito Comunista offre il grano agli abitanti della Carnia”. L’effetto sarebbe formidabile.”. Qualcosa in realtà poi si fece, (non so se con o senza bandiere!), ma a settembre. Per tutta l’estate la Garibaldi si oppose a che “un po’ di farina possa giungere agli affamati scambiandola con legna da ardere” (Gortani).  Nella “estate di libertà” scrive Mons. Ordiner Arcidiacono della Carnia che “fuori Tolmezzo vi posso accertare che nella maggioranza delle famiglie tutte le scorte di viveri sono esaurite, i medici si preoccupano già delle gravi conseguenze sanitarie che deriveranno dalla denutrizione”. Che altro potevano fare le donne della Carnia che avevano figli piccoli da mantenere, e che non fossero vigliacche, come sarebbe chi si permettesse di mettere in dubbio il loro sacrifico?...

Caro Lupieri anche questa è storia. O dobbiamo continuare a scrivere quella dei partigiani che giocavano all’Assedio di Tolmezzo, sparacchiando dalla Picotta o dalla Pieve di Casanova, costringendo la gente alla sete e togliendo l’illuminazione. Nel mio libro non revisiono nulla, aggiungo soltanto le pagine che fin qui si sono volute nascondere. Le pagine di come la gente di Carnia ha vissuto il periodo, le pagine di come in tutti i paesi della Carnia in questi anni si sono raccontate le vicende del periodo (tacendo ancora molto di ciò che mi è stato raccontato!). Le pagine delle donne costrette a fare le portatrici carniche per i bivacchi dei partigiani, delle donne stuprate dai cosacchi, per reazione ad una finta resistenza nella battaglia di ottobre.  Forse è proprio la fame che ho patito quando avevo  un anno, che mi ha lasciato la fame di verità da cui è nato il mio libro, nel settantesimo anniversario non dell’estate di libertà, come voi dite, ma dell’anno “delle pulci e della fame”. Forse per questo m’è parso giusto nel settantesimo ricordare il sacrificio di mia madre, e con lei quello delle altre donne che nel periodo si sono sacrificate per i loro figli. L’avvocato mi ha suggerito di querelarti per l’insinuazione con la quale chiudi la tua lettera al Direttore. Mi metterei così nel novero di quelli che hanno delegato alla magistratura anche la ricostruzione della storia della Resistenza. Lei più cristianamente mi ha suggerito di perdonare perché si capisce che Lupieri, come tutti i custodi della sacra immagine della Resistenza, ragiona per dogmi e non sa quindi che cosa dice. “Del resto,” aggiunge, “ avresti dovuto sapere che, mettendoti in pubblico, tutti ci avrebbero giudicato con il loro metro”. 

sabato 11 ottobre 2014

L'Assedio della Carnia, presentato il libro.

Rinnovo il ringraziamento ai prof. Zannini e D'Avolio per aver accettato di partecipare ieri sera alla presentazione del mio libro “L’Assedio della Carnia” pur non condividendone i contenuti. Mi scuso per il fatto che l’andamento della discussione non mi ha consentito di rispondere puntualmente alle loro critiche. Lo faccio ora, nell’intento di continuare ed allargare il dibattito on line sul tema della storia della Resistenza in Carnia.
                L’ho ripetuto più volte nella presentazione, non mi ritengo uno storico e il mio libro non ha la pretesa d’essere storico. Da insegnante di storia ho cercato di fare un libro di divulgazione, attingendo a quel che si è detto in tanti libri e in tanti convegni, ma pensando di avere come lettori la grande parte dei carnici che non ho mai visto a questi convegni, e tanto meno a leggerne gli atti. Come fa un insegnante di storia mi sono letto dei libri sull’argomento (non tutti per carità!), mi sono fatto una mia idea, l’ho tradotta in appunti che penso di presentare ad una ipotetica classe di carnici. So che all’Università spesso le tesi di laurea si misurano sulla corposità della bibliografia, la mia invece è solo l’elenco dei libri che ho letto. Non posso non tener  presente che nella ipotetica classe quello che gli alunni sanno dei Partigiani non è ciò che si dice nei convegni, ma ciò che hanno visto se anziani, ciò che hanno sentito raccontare da genitori o nonni, se giovani. Pensare che la verità sia quella dei convegni e ciò che si è tramandato la gente sia falso è quantomeno ingeneroso verso i carnici. E’ da ingenui cercare la verità, e pensare che sia quella della gente. Ma l’accusa d’ingenuo in questo caso me la prendo come titolo onorifico. Da laico comunque penso che la verità possa stare in mezzo!
                Provi l’ANPI a sponsorizzare una tesi di laurea come inchiesta su ciò che si dice in Carnia, da paese a paese, sui partigiani, e forse non ci si stupirà quando riporto dei giudizi negativi o addirittura  l’affermazione non mia che “è stato meno difficile convivere con i cosacchi che con i partigiani”.  Se non credendo a quanto dice una vecchia, si fa una inchiesta per sentire ciò che pensa la gente delle borgate di Vinaio su Salvins, su Teresa Santellani, sui camarins, etc. etc. qualcuno potrebbe  finire per accusarmi di essere stato troppo poco “ingenuo”.
                Il prof. Zanini facendomi rilevare le ovvietà di certi miei assunti mi ha invitato a leggere  il libro che riporta gli atti dell’ultimo convegno, gli ho risposto educatamente che lo conoscevo, avrei dovuto replicare invitando lui alla lettura. Nell’intervento conclusivo  Smuraglia presidente dell’ANPI nazionale scrive: è indispensabile abbandonare ogni retorica ed ogni ritualità perché non è più sufficiente far leva sul ricordo diretto o sul dolore ma bisogna riempire ogni spazio con la riflessione e la conoscenza se vogliamo suscitare una reale attenzione e desiderio di sapere…entrare nel cuore delle vicende di cui ci occupiamo, cercando di ricostruire non solo gli atti, ma anche i pensieri, le aspirazioni, le utopie dei protagonisti di allora. E’ ciò che ho cercato di fare, cercando di metterci un po’ più di onestà intellettuale, di quella che si è usata in questi anni.
                Monica Emanuelli nello stesso libro sintetizza l’attività della giunta provvisoria di Ampezzo, in  quindici giorni,  dal 26 settembre al 10 ottobre, tre sedute, cinque decreti fra cui uno sulla gestione del patrimonio boschivo ed uno sul censimento delle giacenze alimentari da farsi entro novembre (mentre Tedeschi e Cosacchi avevano già occupato la Val del Lago!). D’Avolio mi ha accusato di aver esagerato usando l’ironia nello sminuire l’importanza della Repubblica di Ampezzo. Ma se questi sono i dati, non è che invece ci si sia sprecati ad enfatizzare in questi anni questo fatto, che Mario Lizzero (non io!) definisce derivato dalla necessità di sostituire il CLN carnico “incapace di far fronte ai giganteschi problemi presenti in una zona libera tanto vasta”?
                Io non sono storico ma il prof. Zannini sì, e se è vero che nomina sunt consequentia rerum, nello stesso libro potrebbe leggere dall’intervento di Fulvio Salimbeni che non è mai esistita una Repubblica Partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli.
                Come è vero il fatto delle donne carniche che raggiungevano il Friuli in cerca di viveri, rivissuto nella canzone “La mari dai Cjargnèi” con la quale ho voluto chiudere il libro. Mi si è opposto che i partigiani avevano dato vita all’organizzazione Montes dei rifornimenti. Si è trascurato il fatto che questo organizzazione è stata attivata alla fine di settembre ed è durata quindici giorni. Prima valeva la teoria di Gracco per la quale i carnici affamati sarebbero stati più disponibili alla rivoluzione.
                Sugli scontri all’interno del movimento, sulla mia ipotesi tutta da verificare, che anche in Carnia ci sia stata una sorta di Porzùs strisciante, anche Zannini ammette che qualcuno immaginava a fine guerra un confine al Tagliamento. Ma appunto la Carnia è al di qua del Tagliamento. Volendo passare  dalla cronaca alla storia, dal come al perché, io credo si debba analizzare il perché di tante morti importanti da Arturo a Mirko. Credo sia necessario passare dall’ottica della Carnia a quella per cui la Carnia era una zona strategica, per capire come certe rappresaglie sono diventate stragi. Ma sono solo opinioni!
                Sono stato accusato d’aver preso la parte degli attendisti. Di quelli  che dicevano, attendiamo che arrivino a salvarci gli americani. No, credo che se fossi vissuto al tempo, con il mio carattere sarei stato tra i Partigiani, ma al Ponte di Noiaris a dare mano forte ad Arturo che voleva obbligare i tedeschi a togliere dal quadro delle loro vie di comunicazione la strada per Monte Croce, non tra quelli che hanno tolto l’acqua e la luce ai cittadini di Tolmezzo, o a quelli che hanno ucciso il pastore di Malga Cuc, con moglie e figlio, episodio da cui ha preso avvio il mio romanzo “Il Partigiano Gianni”.
                Il mio libro si apre e chiude con la frase “al ère l’an dai puls e da fan”. Per la gente è stato certamente questo. Per gli intellettuali è stata invece una “Estate di Libertà”, avessero almeno aggiunto che si trattava della “quiete prima della tempesta” che si sarebbe abbattuta con l’arrivo dei Cosacchi.

                

venerdì 12 settembre 2014

Opuscolo o minuscolo?

           Ho letto sul Messaggero Veneto di oggi la critica all'Assessore alla cultura del Comune di Tolmezzo perchè avrebbe "assegnato un contributo di 300 euro al concittadino Igino Piutti in occasione della pubblicazione di un opuscolo". L'opuscolo di cui trattasi è la pubblicazione dopo quattrocento anni del testo originale in latino, con una moderna traduzione a fronte dell'opera di Fabio Quintiliano Ermacora "De Antiquitatibus Carneae - Storia Antica della Carnia", che mi ha impegnato per qualche mese (gratis, ma sono fatti miei!) che però richiede un impegno di spesa di 7.500 euro per costi vivi di editoria e tipografia,
           Fortunatamente ci sono degli Enti e dei privati che dimostrano una intelligenza ed una sensibilità superiore a quelle che rivela la minoranza del Comune di Tolmezzo, e mi hanno consentito di coprire i costi e di poter quindi fare omaggio ai cittadini, e soprattutto agli studenti, della Carnia di duemila copie di un'opera che spiega quanto fossero bravi ed intelligenti i carnici del passato.
Al Comune di Tolmezzo, che ho voluto figurasse come promotore dell'iniziativa, che con la precedente Amministrazione mi aveva già risposto di non avere risorse per opere del genere, provocatoriamente non ho chiesto alcun contributo, ho solo chiesto di acquistare 20 copie, una per ogni consigliere comunale, pensando fosse utile per loro considerare la grandezza del nostro passato, per immaginare il futuro di un paese che ha voluto definirsi città.
Operam et impensam perdidi! (Vedo che è tutto tempo perso!),.. Non finirò mai di complimentarmi per l'intelligenza dei cittadini che hanno democraticamente deciso di "mandare a casa" chi ritiene un "opuscolo" l'opera di Fabio Quintiliano Ermacora, lo storico cui è dedicata una delle più importanti vie della nostra "città":

domenica 13 luglio 2014

La disgrazia di vivere in montagna.



Carissimo Giulio,
fianlmente ho realizzato il sogno di abbandonare la montagna e andare ad abitare a Udine. Ho comprato a poco prezzo un appartamento nel quartiere di San Domenico, molto comodo perchè vicino alla circonvallazione. Il quartiere è uno strano insieme di condomini dagli stili più disparati, ma ha il fascino della città. Saremo in circa quindicimila, metà della Carnia, non ci sono negozi, osterie, poco anche il verde. Ma chi se ne frega! Sono finalmente e vivere in città con le comodità della città. Ho trovato lavoro in una fonderia alla ZIU, a dir il vero un poco faticoso perchè devo spostare carichi pensanti in prossimità di un altoforno, ma è un lavoro che mi piace. Mi è anche facile raggiungere il posto di lavoro. Gli orari dell'autobus non coincidono con quelli di lavoro, ma in macchina ci sto meno di mezz'ora. Più o meno dieci semafori e qualche volta il traffico intasato, ma come ti ho detto, meno di mezz'ora. Prima riesco anche a portare mio figlio alla scuola elementare. Non è proprio nel quartiere, non c'è lo scuolabus, ma in quindici minuti, anche meno, ci si arriva. E poi c'è il vantaggio che mio figlio frequenta una scuola di città. Non sai quanto sto bene poi alla sera nel mio appartamento in condominio, alle volte sento la voce della televisione del vicino, ma non provo nessun fastidio, come non mi dà fastidio sentire quelli del piano di sopra che alle volte fanno un chiasso infernale. Che sono queste quisquiglie a fronte della possibilità di vivere in città! Mia moglie non lavora e quindi ha il vantaggio di poter riempire il suo tempo andando a far la spesa in un bellissimo e fornitissimo supermercato. Neanche tanto distante, a piedi, a passo allegro, ci si mette meno di ventiminuti. Ti confesso, da quando sono qui, sono diventato un'altro, sono diventato ottimista, vedo sempre i bicchieri mezzo pieni. Deve essere l'effetto dell'aria di città. Mandi.

Carissimo Marco,
ho letto con piacere e non senza una grande invidia la tua lettera. Qui invece a Comeglians tutto come sempre. Come sai non ho trovato purtroppo lavoro alla Cartiera di Ovaro, e devo spostarmi fino a Tolmezzo. Potrei usare la corriera, ma preferisco andare in macchina. Ci metto ben venti minuti. Sai che stress! Una noia terribile, sentendo alla radio la solita musica e le solite notizie. Anche sul lavoro non va meglio. Sono in un reparto presse. Prima mi affaticavo a prendere i pezzi, ma adesso hanno messo un nuovo robot che fa il lavoro al mio posto, ed io devo solo controllare la macchina. Sai che paio di palle! Alla sera di nuovo i venti minuti di macchina, e poi, per fare qualcosa, lavoro nell'orto, a spezzarmi la schiena per rendermi conto di quanto sia bassa la terra, come diceva già mio nonno. Anche io ho un figlio che frequenta le elementari, ma ho appena finito di baruffare con il Sindaco perchè invece che davanti a casa, ha messo la fermata dello scuolabus a duecento metri. Poi non so, il ragazzo mi dice che in classe hanno la LIM che studiano sui computers... Sai, con queste scuole di montagna, non vorrei trovarmi con un figlio che non sa neppure scrivere. Mia moglie lavora all'Albergo diffuso, ma è solo part time, e non smette mai di lamentarsi per il disagio di non trovare abbastanza fornito il negozio che abbiamo a due passi da casa. Purtroppo hanno chiuso l'osteria che avevo davanti a casa e devo fare (non li ho misurati ma sono forse più che meno) ben trecento metri per raggiungere gli amici, per un bicchiere ed una chiaccherata prima di cena. Alle volte ci diamo anche appuntamento per il dopocena per fare una partita. Ma non sempre. E poi comunque sono sempre le solite facce, i soliti discorsi!
Per questo più spesso mi fermo a guardare la televisione, nella pace della mia casetta, isolata e immersa nel verde. Ma non ho mica tutti i canali di cui puoi disporre tu! Qui, se va bene, ne ho solo una quarantina, e non trovo mai qualcosa d'interessante da vedere, ed anche con il telefonino ci sono problemi di campo. Dicono che arriverà la banda larga, ma campa cavallo...

Avessi avuto anhe io il coraggio che hai avuto tu e mi fossi trasferito a godermi la vita di città!... Qui per chi vive in montagna è sempre più nera, il bicchiere è sempre mezzo vuoto e l'invidia regna sovrana! Mandi

giovedì 15 maggio 2014

Tolmezzo il 25 maggio al voto.

Concittadini del Comune di Tolmezzo,
 il nostro Comune ha ottenuto il titolo di “città”, ma credo sia sotto gli occhi di tutti che mai, come in questo momento, è stato così poco “città”, che mai siamo stati così in basso. Eravamo il quinto capoluogo della Regione, il capoluogo della montagna, siamo diventati una delle ultime periferie della Regione. La perdita del Tribunale e delle caserme sono solo l’ultimo crollo d’un terremoto che ha distrutto Tolmezzo sotto il profilo economico e sociale e delle relazioni esterne ed interne. Per fortuna non ci sono crolli nelle Aziende insediate e regge l’occupazione.
 Credo sia sotto gli occhi di tutti l’urgenza di dare avvio alla ricostruzione: attivarsi per consolidare e sviluppare l’occupazione, ricostruire il tessuto sociale. C’è da ricostruire il rapporto con la Carnia, il rapporto tra il capoluogo e le frazioni, c’è da acquisire una nuova visibilità e un nuovo ruolo a livello regionale. Devono essere coinvolte le categorie, dai commercianti agli artigiani agli industriali, assieme alle le associazioni che operano nei diversi settori, dalla cultura, allo sport e all’assistenza in una nuova prospettiva di crescita e sviluppo. Si devono ricreare le motivazioni per ottenere la partecipazione d’ogni cittadino allo sviluppo della “sua” comunità.
 Pensare di affidare l’avvio della ricostruzione a chi è responsabile di non aver saputo evitare gli ultimi crolli è fuori d’ogni logica. E’ evidente che si può solo scommettere su chi si impegna a cambiare. E’ evidente che va ricercata una soluzione che metta il nostro Comune in linea con la Regione ed il Governo nazionale, per avere nei nostri riguardi l’attenzione di cui avremo bisogno nell’opera di ricostruzione.
 Le elezioni del 25 maggio devono segnare il punto di ripartenza, dobbiamo sentire il dovere civico di andare a votare, dobbiamo sentirci impegnati per noi e per i nostri figli a portare, con il voto responsabile di ognuno di noi, il nostro mattone personale perché possa iniziare l’opera di risalita e di ricostruzione, per fare del nostro Comune una comunità nella quale si può scegliere di vivere.
 Igino Piutti già Sindaco di Tolmezzo dal 1975 al 1990.

martedì 1 aprile 2014

Il romanzo storico "Aquiileia: de urbis ortu"

Ci volesse prepararsi all'incontro di presentazione può risentire l'intelligente intervista che Alessandra Salvadori ha fatto agli autori sull'emittente televisiva TELEFRIULI. (clicca sul titolo o imposta in Youtube "aquileia romanzo").

lunedì 31 marzo 2014

La Biblioteca civica "Adriana Pittoni" di Tolmezzo vi invita venerdì 4 aprile 2014   alle ore 18,00 presso la sala conferenze del Museo Carnico in via della Vittoria 4 a Tolmezzo, dove  
Diego Carpenedo e Igino Piutti dialogando fra loro e con il pubblico   presenteranno il loro libro Incrociando alcuni dati storici con elementi di fantasia il romanzo ripercorre le fasi della fondazione di Aquileia ricostruendo in modo originale il rapporto tra Karni e Romani. Il console Acidino fondatore di Aquileia conoscendo i Karni insediati sulle montagne che fanno corona alla pianura friulani, visitando le loro capitali di Sezza (Segesta) e Dellach (Gurina), al di qua ed al di là del passo di MonteCroce, si appassiona della loro cultura, e si innamora della loro regina, Medea. Trasforma quindi Aquileia in un modello di città dell'integrazione tra più culture, quella romana e quella carnica. Questo sarà il valore aggiunto che consentirà alla nuova città di diventare in breve la seconda città dell'Impero Romano. Questo è il modello che può essere riproposto e rende attuale il romanzo. Però, ora come allora, c'è sempre qualcuno che si oppone alle idee di largo respiro. Acidino avrebbe anche voluto realizzare, ove oggi sorge Amaro, la città satellite di Karnia. Ma, il suo sogno è finito per costargli la vita... Biblioteca Civica "Adriana Pittoni" Tolmezzo via Renato Del Din 3 33028 TOLMEZZO   UD 0433487950

giovedì 27 marzo 2014

Ai Giovani candidati al Comune di Tolmezzo.

Scrivo per la simpatia che provo nei vostri confronti per la decisione che state assumendo di candidarvi alle prossime elezioni comunali. Vi fa onore l'idea di scegliere di impegnarvi per il bene e lo sviluppo della comunità nella quale vivete. Ma proprio perchè vi apprezzo consentitemi di dirvi che non vi capirei se metteste il vostro nome a supporto d' un vecchio pensionato, il sindaco uscente. Pur riconoscendone la rispettabilità, per definizione un pensionato è persona messa a riposo perchè a causa dell'età non può essere efficiente nel suo lavoro. E voi pensate che la crisi che sta attraversando Tolmezzo possa essere affrontata da una persona messa a riposo? Già questi ultimi anni sono stati caratterizzati da una serie di crolli. Forse inevitabili, ma che un giovane avrebbe affrontato con maggiore determinazione, anticipando i tempi, sfruttando meglio le relazioni e salvando certo qualcosa di più.. Ed ora, la ricostruzione di Tolmezzo dopo questi crolli ritenete possa essere affidata ad un pensionato a fine corsa? Ora che gli sono venute meno anche le relazioni personali privilegiate che poteva avere a livello regionale?...Io passo per il sindaco della ricostruzione perchè ho amministrato nel dopo terremoto, ma la ricostruzione di cui necessita ora Tolmezzo è ancora più impegnativa della ricostruzione materiale di quella volta Non è un problema di destra o di sinistra, di progressisti o conservatori, il problema è Tolmezzo e la ricostruzione di ciò che in questi anni si è sfasciato sotto il profilo dei rapporti interni sul piano economico e sociale, dei rapporti tra capoluogo e frazioni, del ruolo di Tolmezzo in rapporto alla Carnia, nei confronti della Provincia ed alla Regione. Tolmezzo ha urgente bisogno di nuove idee e di forze nuove per realizzarle, non di stampelle per tenere in piedi chi non ha idee. Gettate le stampelle e ritrovatevi come giovani su un programma per una nuova Tolmezzo. Non fate i portatori d'acqua per un mulino a fine corsa. Vi parla uno con l'esperienza d'un settantenne che ha fatto il Sindaco con l'entusiasmo la passione e la forza che si può avere a trentadue anni (l'età di quando ho iniziato a fare il Sindaco, con qualche assessore più giovane di me!). Non preoccupatevi di chi vi dice che non avete esperienza. Se c'è la grinta, la voglia e l'entusiasmo, le competenze si acquisiscono in poco tempo, mentre nessuno può ridare la grinta a chi è bruciato dalla troppa esperienza e dal tempo. E lo stesso discorso vale per chi si candida nelle liste “alternative”. Per il meccanismo elettorale tra i candidati sindaci uno farà il sindaco l'altro il capogruppo dell'opposizione, (le elezioni diranno chi dei due, ma già oggi si sa quali siano i due!) gli altri candidati potranno continuare solo a fare testimonianza, soddisfacendo al loro desiderio di protagonismo, rimandando a casa delusi quelli che hanno utilizzato per farsi eleggere... Purtroppo non è questo il tempo delle testimonianze. Per Tolmezzo è finito il tempo del dire, è urgente che inizi il tempo del fare. Per questo è indispensabile la voglia di fare e l'entusiasmo di voi giovani. Spendetevi in prima persona, tra giovani e con i giovani, non fatevi usare, non lasciate bruciare il vostro entusiasmo da chi vi vuole strumentalizzare. Auguri comunque perchè l'esperienza di candidati lasci un segno positivo nella vostra esperienza di vita. Mandi! Igino Piutti (per voi che non potete ricordare, sindaco di Tolmezzo dal 1975 al 1990)