Rispondo a
Lupieri che sul Messaggero Veneto nelle lettere al Direttore di giovedì 30 u.s. mi
accusa di revisionismo perché nel mio libro pubblicato recentemente da
Aviani@Aviani intitolato “l’Assedio della Carnia” ho voluto ricordare il
sacrificio di mia madre come quello di tante altre donne di Carnia che sono
scese in Friuli per procurare da mangiare ai loro figli e che poi si sono viste
sequestrare la gerla da partigiani, o da quelli che come scrive Gino Pieri in “Storie di Partigiani” Aviani @Aviani
Editori, “s’erano messi a fare il mestiere di finti partigiani”. Fatto che
viene ripreso nella bella canzone “Al ère l’an dai puls e da fan” di Ciro di
Gleria con la quale ho voluto aprire e chiudere il mio libro. Luperi sostiene
che il fatto non è vero perché i partigiani stessi avevano organizzato
l’operazione di rifornimento viveri nota come “operazione Montes”. Per capire
di cosa si stia parlando cito da Angeli-Candotti, “Carnia Libera”, autori che
non sono mai stati definiti revisionisti: “l’11 settembre il dott.Gino Beltrame
(sarà poi uno dei massimi esponenti della Repubblica Partigiana di Ampezzo!)
riferendo alla Federazione Provinciale del PCI dice: “Sarebbe urgente si
attuasse quella proposta di Montes, cioè l’invio in zona vicina a quella
liberata, di uno o più camion di farina, poi li faremo arrivare imbandierati
nei paesi con delle grandi scritte ai fianchi, “Il partito Comunista offre il
grano agli abitanti della Carnia”. L’effetto sarebbe formidabile.”. Qualcosa in
realtà poi si fece, (non so se con o senza bandiere!), ma a settembre. Per
tutta l’estate la Garibaldi si oppose a che “un po’ di farina possa giungere
agli affamati scambiandola con legna da ardere” (Gortani). Nella “estate di libertà” scrive Mons.
Ordiner Arcidiacono della Carnia che “fuori Tolmezzo vi posso accertare che
nella maggioranza delle famiglie tutte le scorte di viveri sono esaurite, i
medici si preoccupano già delle gravi conseguenze sanitarie che deriveranno
dalla denutrizione”. Che altro potevano fare le donne della Carnia che avevano
figli piccoli da mantenere, e che non fossero vigliacche, come sarebbe chi si
permettesse di mettere in dubbio il loro sacrifico?...
Caro Lupieri anche questa è storia. O dobbiamo continuare a scrivere
quella dei partigiani che giocavano all’Assedio di Tolmezzo, sparacchiando
dalla Picotta o dalla Pieve di Casanova, costringendo la gente alla sete e
togliendo l’illuminazione. Nel mio libro non revisiono nulla, aggiungo soltanto
le pagine che fin qui si sono volute nascondere. Le pagine di come la gente di
Carnia ha vissuto il periodo, le pagine di come in tutti i paesi della Carnia
in questi anni si sono raccontate le vicende del periodo (tacendo ancora molto
di ciò che mi è stato raccontato!). Le pagine delle donne costrette a fare le
portatrici carniche per i bivacchi dei partigiani, delle donne stuprate dai
cosacchi, per reazione ad una finta resistenza nella battaglia di ottobre. Forse è proprio la fame che ho patito quando
avevo un anno, che mi ha lasciato la
fame di verità da cui è nato il mio libro, nel settantesimo anniversario non
dell’estate di libertà, come voi dite, ma dell’anno “delle pulci e della fame”.
Forse per questo m’è parso giusto nel settantesimo ricordare il sacrificio di
mia madre, e con lei quello delle altre donne che nel periodo si sono
sacrificate per i loro figli. L’avvocato mi ha suggerito di querelarti per
l’insinuazione con la quale chiudi la tua lettera al Direttore. Mi metterei
così nel novero di quelli che hanno delegato alla magistratura anche la
ricostruzione della storia della Resistenza. Lei più cristianamente mi ha suggerito
di perdonare perché si capisce che Lupieri, come tutti i custodi della sacra
immagine della Resistenza, ragiona per dogmi e non sa quindi che cosa dice. “Del
resto,” aggiunge, “ avresti dovuto sapere che, mettendoti in pubblico, tutti ci
avrebbero giudicato con il loro metro”.
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