giovedì 30 ottobre 2014

1944: un' estate di pulci e di fame altrochè di libertà.

                Rispondo a Lupieri che sul Messaggero Veneto   nelle lettere al Direttore di giovedì 30 u.s. mi accusa di revisionismo perché nel mio libro pubblicato recentemente da Aviani@Aviani intitolato “l’Assedio della Carnia” ho voluto ricordare il sacrificio di mia madre come quello di tante altre donne di Carnia che sono scese in Friuli per procurare da mangiare ai loro figli e che poi si sono viste sequestrare la gerla da partigiani, o da quelli che come scrive Gino Pieri  in “Storie di Partigiani” Aviani @Aviani Editori, “s’erano messi a fare il mestiere di finti partigiani”. Fatto che viene ripreso nella bella canzone “Al ère l’an dai puls e da fan” di Ciro di Gleria con la quale ho voluto aprire e chiudere il mio libro. Luperi sostiene che il fatto non è vero perché i partigiani stessi avevano organizzato l’operazione di rifornimento viveri nota come “operazione Montes”. Per capire di cosa si stia parlando cito da Angeli-Candotti, “Carnia Libera”, autori che non sono mai stati definiti revisionisti: “l’11 settembre il dott.Gino Beltrame (sarà poi uno dei massimi esponenti della Repubblica Partigiana di Ampezzo!) riferendo alla Federazione Provinciale del PCI dice: “Sarebbe urgente si attuasse quella proposta di Montes, cioè l’invio in zona vicina a quella liberata, di uno o più camion di farina, poi li faremo arrivare imbandierati nei paesi con delle grandi scritte ai fianchi, “Il partito Comunista offre il grano agli abitanti della Carnia”. L’effetto sarebbe formidabile.”. Qualcosa in realtà poi si fece, (non so se con o senza bandiere!), ma a settembre. Per tutta l’estate la Garibaldi si oppose a che “un po’ di farina possa giungere agli affamati scambiandola con legna da ardere” (Gortani).  Nella “estate di libertà” scrive Mons. Ordiner Arcidiacono della Carnia che “fuori Tolmezzo vi posso accertare che nella maggioranza delle famiglie tutte le scorte di viveri sono esaurite, i medici si preoccupano già delle gravi conseguenze sanitarie che deriveranno dalla denutrizione”. Che altro potevano fare le donne della Carnia che avevano figli piccoli da mantenere, e che non fossero vigliacche, come sarebbe chi si permettesse di mettere in dubbio il loro sacrifico?...

Caro Lupieri anche questa è storia. O dobbiamo continuare a scrivere quella dei partigiani che giocavano all’Assedio di Tolmezzo, sparacchiando dalla Picotta o dalla Pieve di Casanova, costringendo la gente alla sete e togliendo l’illuminazione. Nel mio libro non revisiono nulla, aggiungo soltanto le pagine che fin qui si sono volute nascondere. Le pagine di come la gente di Carnia ha vissuto il periodo, le pagine di come in tutti i paesi della Carnia in questi anni si sono raccontate le vicende del periodo (tacendo ancora molto di ciò che mi è stato raccontato!). Le pagine delle donne costrette a fare le portatrici carniche per i bivacchi dei partigiani, delle donne stuprate dai cosacchi, per reazione ad una finta resistenza nella battaglia di ottobre.  Forse è proprio la fame che ho patito quando avevo  un anno, che mi ha lasciato la fame di verità da cui è nato il mio libro, nel settantesimo anniversario non dell’estate di libertà, come voi dite, ma dell’anno “delle pulci e della fame”. Forse per questo m’è parso giusto nel settantesimo ricordare il sacrificio di mia madre, e con lei quello delle altre donne che nel periodo si sono sacrificate per i loro figli. L’avvocato mi ha suggerito di querelarti per l’insinuazione con la quale chiudi la tua lettera al Direttore. Mi metterei così nel novero di quelli che hanno delegato alla magistratura anche la ricostruzione della storia della Resistenza. Lei più cristianamente mi ha suggerito di perdonare perché si capisce che Lupieri, come tutti i custodi della sacra immagine della Resistenza, ragiona per dogmi e non sa quindi che cosa dice. “Del resto,” aggiunge, “ avresti dovuto sapere che, mettendoti in pubblico, tutti ci avrebbero giudicato con il loro metro”. 

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