giovedì 16 agosto 2007

Morte a ferragosto

Le coincidenze! La vigilia di ferragosto percorrendo l’anello dei tre rifugi, ho incontrato al Marinelli un amico di Cividale che non vedevo da tempo. Parlando del più e del meno, mi disse che il giorno dopo sarebbe venuto a messa a Raveo, al santuario annesso al romitorio?
“Come mai da Cividale?”
“Sono ormai 35 anni. Da quando ho conosciuto don Primo Patiess, nativo di Treppo Carnico, che vive a Portogruaro, ma passa la ferie ogni anno a Raveo, e dice messa al santuario il giorno di Ferragosto”.
“Ma che cosa ha di particolare?” chiedo io.
“E’ un filosofo con una profondità di pensiero eccezionale!”
Contagiato dall’entusiasmo dell’amico, in attesa di dedicarmi alla tradizionale grigliata, sono salito a piedi da Raveo per una suggestiva “pedrata” restaurata molto bene, che dal paese sale al santuario, a sentire la predica di don Primo.
Più che d’una predica s’è trattato d’una lezione di filosofia contro il relativismo, definito appunto come una prospettiva di pensiero che si fonda sull'idea che non esistono realtà o principi assoluti, vale a dire indipendenti dagli uomini, ma soltanto realtà o principi legati alle particolari condizioni in cui essi emergono e possono essere osservati. Al relativismo ha imputato il fatto che la cultura moderna pretenda di abolire l’idea della morte e dell’eternità, mentre invece nella tradizione e cultura carnica l’idea della morte è una idea dominante. Da qui la perdita dell’idea della vita come valore da impegnare per l’eternità, sostituita dall’idea d’una vita da “consumare” senza nessun senso e nessuna prospettiva.
Come gli ho detto poi sul sagrato a fine Messa, se nelle prediche fosse ammesso il contraddittorio, avrei voluto replicare dicendogli che la rimozione della idea della morte è legata alla sovrastruttura sulla morte che la Chiesa, e le chiese in generale, hanno sviluppato per giustificarsi. Fede e ragione, come anche lui ha affermato, non sono in contrapposizione. E’ vero, nella misura in cui ci si chiede di accettare come verità di fede qualcosa che non è dimostrabile, ma che tuttavia non è irrazionale. La pretesa di far accettare come verità di fede ciò che la ragione, e spesso soltanto il buon senso, ci impongono di rifiutare (credo quia absurdum), porta a rinunciare a ciò che la fede vorrebbe farci accettare.
C’è una lettura del Vangelo per la quale l’uomo è figlio di Dio, cioè in altri termini, partecipe di una natura spirituale eterna, che continua a vivere anche quando l’uomo viene lasciato dall’involucro del corpo. Con il corpo deve imparare ad amare per poter amare per l’eternità. Se invece ha imparato ad odiare, ad essere avaro, invidioso lo sarà per tutta l’eternità. Non è dimostrabile che esista questa stagione eterna, senza corpo, ma la ragione non può escluderlo. Si può quindi fare il salto della fede per accettare l’idea, oppure non farlo e rifiutarla. Come dice Dante, citato da don Primo,
non v'accorgetevoi che noi siam vermi nati a formar l'angelica farfalla, (Dante, Purgatorio, X,124)
Ma se l’ipotesi dell’esistenza di questa dimensione eterna ci consente di vivere comunque meglio la realtà terrena, perché non accettarla?.
La Chiesa invece ha sviluppato una costruzione per la quale per prepararsi alla vita eterna è necessario sacrificarsi in questa. Lasciare il certo per l’incerto.
Nella cultura cattolica nella quale siamo cresciuti, più che alla vita eterna l’uomo è destinato alla dannazione eterna. Salvo rarissime eccezioni.
L’incontro con il Padre è un “lacrimosa dies irae”. Nel nostro immaginario infatti i nostri cari, pur con tutta la stima che possiamo avere di loro, di ben che vada li possiamo pensare in Purgatorio. Per questo dobbiamo pregare per loro, far dire delle Messe, guadagnare delle indulgenze. Ma in verità in nessuna parte del Vangelo si parla del Purgatorio, come non si parla del Limbo, che ora sembra sia stato recentemente abolito dopo che per migliaia d’anni vi sono affluiti i bambini morti senza battesimo. Anche questo ultimo fatto dimostra che queste credenze sono relative, e fa bene il relativismo a rimuoverle. Nei moti di reazione succede spesso che assieme all’acqua sporca si butti anche il bambino. Forse è il caso di buttare l’acqua sporca, tornando a pensare al bambino, cioè alla verità semplice del Vangelo, per la quale chi ama vive bene qui e nell’eternità, chi odia vive male qui e nell’eternità. Non ci sono i trecentomila peccati per i quali, uno non può mai essere sicuro di essere in “grazia di Dio”, c’è un solo comandamento quello dell’amore, e quindi un solo peccato il suo contrario: l’odio.
E’, a mio parere, il concetto fondante del cristianesimo, che può essere “ragionevolmente” accettato, anche in una predica sulla morte il giorno di ferragosto, e che se, accettato, darebbe una nuova prospettiva di vita sia sul piano individuale che su quello sociale!