lunedì 24 agosto 2009

S.Bartolomeo a Caneva di Tolmezzo.

La festa di San Bartolomeo a Caneva di Tolmezzo ha messo insieme tre realtà: la popolazione di Caneva, il Centro don Onelio della Comunità Piergiorgio, i clown-dottori dell’Associazione Gruppo Azione Umanitaria. Un momento di festa insieme culminato la domenica 23 agosto quando nel pomeriggio il corteo di 50 persone formato dai clown dottori, gli ospiti del Centro don Onelio con i lori assistenti e volontari, è piombato nella piazza di Caneva salutato dalle note della banda.
Una fantasmagoria di colori, suoni, palloncini, bolle di sapone e nasi rossi accolti con entusiasmo e partecipazione dai cittadini di Caneva.
Lo spettacolo in piazza è continuato con il coinvolgimento di tutti i bambini attraverso giochi di danza, lancio di palloncini, movimenti di lunghi nastri di carta crepe e stoffe colorate, tutti erano coinvolti; una grande gioia.
L’iniziativa ha avuto per corollario anche una mostra fotografica sugli incontri dei clown-dottori con il Centro don Onelio, in particolare sulla giornata di onoterapia, che si è svolta lo scorso 19 luglio con gli asini messi a disposizione dei disabili da parte del Comune di Amaro.
I clown-dottori erano già arrivati al Centro nella giornata di sabato 22 agosto per uno stage di movimento, danza e musica realizzato con gli ospiti del Centro don Onelio: la maestra Francesca ha proposto musiche classiche, circensi e marce che hanno messo in movimento tutti i partecipanti; tutti sono stati valorizzati e anche le carrozzelle non erano immobili. Quest’attività rientra negli impegni dei clown-dottori, tutti volontari provenienti da varie parti della Regione in particolare da Trieste e Pordenone, che vengono svolti nel periodo estivo oltre alla costante presenza in alcuni ospedali e case di riposo della Regione.
Arrivederci a Caneva alla festa di San Bartolomeo del 2010

venerdì 14 agosto 2009

Dal problema montagna al problema Carnia.



Abbiamo sempre affrontato i problemi dello sviluppo del nostro territorio come “problema montagna”. Forse è il caso di modificare i termini e quindi la prospettiva, e di iniziare a parlare del “problema Carnia”.
Quando ci si riferisce ad un problema montagna sembra quasi si voglia affermare che la montagna costituisce un problema in quanto tale: montagna sinonimo di sottosviluppo. Eppure sappiamo tutti che ci sono montagne caratterizzate tutt’altro che da sottosviluppo. E comunque la montagna in sé non è un problema ma semmai una peculiarità che deve essere tenuta presente, nella risoluzione del problema e che potrebbe diventare un valore aggiunto.
Ai tempi del referendum i sostenitori della necessità della nuova Provincia enfatizzavano il vantaggio che sarebbe derivato da un nuovo istituto a democrazia diretta. Si dava la colpa del mancato sviluppo alla mancanza di democrazia diretta.
Montagna e democrazia sono sempre stati così utilizzati come alibi per non affrontare il problema del perché la Carnia sia ancora un territorio in ritardo di sviluppo. Eppure si tratta d’un territorio lambito dall’Austostrada Venezia-Monaco e quindi tutt’altro che marginale ma anzi al centro del sistema Europa. Un territorio con una viabilità interna discreta, un patrimonio edilizio rinnovato dopo il terremoto. Un territorio che, a detta di tutti i visitatori, ha avuto dalla natura e dalla storia caratteristiche distintive eccezionali, potenzialità turistiche sottoutilizzate. Un territorio con risorse umane ad alta scolarizzazione, ecc. ecc.
Ma tutti questi punti di forza non sono stati sufficienti a creare le condizioni per un adeguato sviluppo economico e sociale, che faccia del territorio una terra di elezione e non di emigrazione.
Come mai? Ci deve essere un elemento di debolezza, una criticità che neutralizza gli asset positivi! Certo! Ma il paradosso, a mio avviso, è che questo elemento, in sé costituirebbe un vantaggio competitivo. Si tratta dell’identità, del carnicismo, del sentirsi carnici. Un sentimento che, unendoci, dovrebbe costituire un punto di forza. Invece costituisce un punto di forza quando lo opponiamo agli altri, diventa elemento di debolezza quando lo viviamo al nostro interno. Quello che positivamente diventa orgoglio carnico e ci stimola nel confronto con gli altri, quando siamo tra noi diventa vuoto campanilismo, invidia in negativo, desiderio di demolire invece che di costruire. L’elemento in più diventa un problema, come capita alle volte ad un a squadra di calcio per la quale il vantaggio di avere un fuoriclasse, porta al risultato negativo di una squadra che non gira.
Che fare? Intanto sarebbe importante che ci trovassimo a condividere la diagnosi. Continuando a dire che il problema è della montagna o delle istituzioni, perdiamo solo tempo ad immaginare prognosi inutili. Se invece ci convinciamo che il problema è culturale, sarebbe più facile mettersi d’accordo su un progetto nuovo, per un nuovo percorso di rinascita. Avremmo finalmente capito da dove partire!...