venerdì 25 agosto 2017

Un giallo irrisolto a Tolmezzo


                Il maresciallo Anselmi si accasciò sul divano del salotto, come uno straccio sporco che la donna delle pulizie ha dimenticato fuori posto. Dalla porta aperta, continuava a fissare nell’atrio l’oggetto che l’aveva così terribilmente  sconvolto. Il fulmine finale d’un temporale spaventoso.
Era tutto iniziato la mattina del giorno prima, con una donna che denunciava la scomparsa del suo vicino di casa.
                “Scomparso come?”
                “Non ho detto scomparso. Ho detto che non lo si vede da una settimana...” aveva corretto seccata. Potrebbe anche essere morto,” aveva poi aggiunto, facendosi il segno della croce.
                Questa idea del possibile morto, l’aveva obbligato ad attivare le procedure del caso. Forzata la porta di  casa, dell’uomo non s’era trovata traccia. Viveva solo. Ma la cosa più strana era che nessuno sapeva nulla di lui. Viveva a Tolmezzo, da una ventina d’anni, ma non aveva rapporti con nessuno: né parenti, nè conoscenti.
                I vicini di casa lo chiamavano “lo svizzero”. Ma forse il nomignolo non aveva nulla a che vedere con la sua storia, era solo un sinonimo di “straniero”. All’anagrafe infatti,  era registrato come nato a Milano.
                “Ma avrà notato in questi anni qualcosa di particolare!” aveva insistito a chiedere.
                “Ripeto, non so nulla di lui. Posso solo dire di aver osservato che qualche volta fa delle passeggiate sullo Strabùt, la montagna dietro casa. Lo vedo partire da una parte e tornare dall’altra, e quindi immagino  faccia il sentiero-circuito che attraversa  la sella  di  Precefic.”
                Quel nome strano fu come un lampo. Quando l’avevano assegnato a comandare la stazione carabinieri di Tolmezzo  s’era dato a studiare la storia del luogo ed era rimasto colpito dalla leggenda di Precefic. Si diceva che nel pianoro che porta questo nome, a mezza costa del monte Strabut c’è la grotta degli Sbilfs. Sarebbero questi degli esseri che, a credere alle leggende, vivevano nei boschi prima dell’arrivo degli umani. Erano rimasti poi a convivere con gli uomini. Di norma invisibili, a volte si erano manifestati ad alcune persone, ma in forme sempre diverse. Per questo, anche mettendo assieme le varie leggende, non si capiva né chi fossero veramente né quale fosse la loro figura.
                Si era ripromesso più volte di salire a indagare su  questa grotta, per curiosità. Ora aveva un motivo di farlo, per servizio.
                Sulle falde del monte Stabut, è scesa nei secoli una frana. Assestandosi, a mezza costa, ha realizzato un piccolo pianoro. Ai margini. verso la roccia, anche se ostruito in parte da quale masso, non si può non notare l’ingresso di un antro. Non  una grotta naturale ma una galleria artificiale, scavata in una epoca imprecisata. Avrebbe dovuto farsi accompagnare da qualcuno, ma l’ innata curiosità l’aveva spinto a risalire in giornata, dopo essersi fornito d’un grossa torcia elettrica. L’idea di trovare lo “svizzero” morto dentro alla galleria, era poco più che una scusa per visitare finalmente la grotta della leggenda degli Sbilfs. Spesso però sono le circostanze a decidere le nostre azioni.
                S’era appena  inoltrato per qualche centinaio di metri, quando, incespicando in qualcosa, fu sul punto di cadere. Finì per appoggiare  la spalla alla parete di destra. Invece di sostenerlo, la parete si frantumò come se  fosse stata di cristallo. Con uno scatto, riuscì a riprendere l’equilibrio senza cadere, ma non riuscì a riprendersi dalla sorpresa, per ciò che gli capitò di vedere. Al solo tocco della spalla era andata in frantumi la parete alla quale si era appoggiato. Non tutta, ma la parte che pareva il tamponamento d’un piccolo vano, ricavato nella parete. Una sorta di loculo. Il termine gli venne alla mente, quando con la torcia, all’interno del vano illuminò un cadavere. Era quello d’una persona con la faccia d’un vecchio, ma con le dimensioni di un bambino. La stranezza maggiore stava nel come era stato ricomposto il cadavere: imbalsamato nella posizione dello yoga, con le gambe incrociate e le braccia conserti a tenere nel grembo un medaglione. L’aveva illuminato e l’aveva visto. Non aveva dubbi. Ma era stata solo una visione. In un attimoa il cadavere si era come dissolto. A terra c’era solo un grumo di polvere con sopra il medaglione. Aveva letto che qualcosa di analogo era capitato in qualche tomba in Egitto. Il contatto con l’aria può determinare una reazione che polverizza le mummie. Perplesso e preoccupato, per non dire spaventato, raccolse comunque il medaglione e decise di rinunciare a completare l’ispezione della grotta. Tornando sui suoi passi, facendo scivolare il fascio di luce sulla parete, si rese conto che tutta la parete era attrezzata con una fila di loculi. Alcuni aperti come quello che gli era capitato di aprire, intervallati da altri ancora chiusi.
                Non poteva evidentemente raccontare a nessuno ciò che gli era successo. Anche lui, a casa, se non avesse avuto tra le mani il medaglione, poteva pensare d’aver sognato. L’oggetto era alto una decina di centimetri, raffigurava un cuore. Il peso gli fece pensare fosse di bronzo. Su un lato era inciso  il disegno di una luna al primo quarto, sull’altro era graffita una scritta “mors”. Pur non conoscendo il latino, non ci potevano essere dubbi sul significato della parola. Non riusciva a immaginare che relazione ci potesse essere tra quella parola, la figura del quarto di luna e la forma dell’oggetto.  Tuttavia ciò che più l’aveva sorpreso era il fatto che il medaglione dava l’impressione di emanare calore. Sprigionava certamente qualche tipo di radiazione. Pericoloso? Si o no, ormai ce l’aveva in casa!
                Tutto incomprensibile! Come del resto il caso  della scomparsa dello “svizzero”. Pensò di mettersi almeno in regola con le procedure e i protocolli. Mise a rapporto che la donna gli aveva accennato alla località di Precefic, e quindi organizzò una squadra di quattro carabinieri, per un’ispezione alla località. “Ho letto da qualche parte che c’è una caverna e quindi attrezzatevi con delle torce elettriche,” ordinò ai suoi uomini.
                Arrivati sul pianoro di Precefic, fece in modo che scoprissero la galleria, senza far capire che lui c’era già stato. Lasciò che la squadra si inoltrasse e li seguì a distanza. Aveva due pile: con una faceva luce per evitare di incespicare come la volta precedente, con l’altra illuminava la parete che gli era parsa contenere i loculi. Cercava di verificare l’esattezza dell’intuizione che aveva avuto.
                “Oh mio Dio!” il grido spaventato dei suoi quattro carabinieri all’unissono rimbalzò sulle pareti della caverna con un eco terribile. La parola “Dio” riecheggiò rifrangendosi come un urlo uscito dalla gola della montagna, per respingere gli estranei. Immaginò che fosse  toccata anche ai sottoposti l’esperienza  vissuta lui il giorno prima e si affrettò a raggiungerli.
                Non avevano scoperto un nuovo loculo. Erano invece quasi incespicati in un cadavere. Orribilmente sfigurato. Ucciso con un fendente che gli aveva aperto la testa in due, come fosse stata un’ anguria. Dalle informazioni che aveva ricevuto dalla denunciante  su come era vestito, non c’erano dubbi: era il cadavere dello svizzero.
                Erano a non più di cento metri dell’imbocco della galleria. Il giorno prima si era inoltrato molto di più. Il cadavere non c’era. Era stato quindi ucciso durante la notte.
                “Non toccate nulla!” ordinò ai suoi. Restate di guardia mentre io vado a chiamare il Procuratore della Repubblica.
                Fu una giornata d’inferno quella che seguì!  Il Procuratore che voleva sapere ciò che non si poteva sapere. Prima nella casa dello svizzero, poi due volte in Precefic. Il Procuratore che voleva rendersi conto d’ogni particolare,  prima di autorizzare il recupero della salma. E poi tutti quei rapporti da scrivere, per essere sicuro di aver seguito le procedure, in quel primo caso di omicidio di cui doveva occuparsi in quella che gli era stata presentata  come una stazione tranquilla, con i vantaggi d’essere al  confine con l’Austria.
                Alla sera, quando, stremato, aprì la porta del suo appartamento, non pensava ad altro che al  letto. Invece la vera sorpresa doveva ancora arrivare… In mezzo all’atrio, in bella vista in un secchio di plastica, c’era una ascia sporca di sangue, come il secchio che la conteneva. Ripresosi dall’istintivo moto di orrore, si rese subito conto che quell’ascia insanguinata era la sua, quella che usava per spaccare le legna del caminetto.
                Per questo s’era lasciato cadere sul divano del salotto. Gli tornò in mente una delle leggende sugli Sbilfs. Quella di Birt che aveva il potere di ipnotizzare i suoi uomini per portarli a compiere i più efferati delitti, senza che avessero la coscienza di ciò che stavano facendo. Ripensò alle radiazioni che aveva avvertito sprigionate dal medaglione. L’accetta sporca di sangue era la sua. Non aveva dubbi, se l’era messa nello zaino il giorno prima quando era salito in Precefic. Pensava di dover aprirsi il sentiero per entrare nella grotta, ma non c’era stato bisogno. Aveva poi abbandonato lo zaino con la piccola mannaia in salotto. Nell’appartamento non c’erano segni di effrazione. Come aveva potuto quello strumento uscire di casa e rientrare insanguinato, dopo aver spaccato la testa allo “svizzero”? …
                Che fare? La domanda gli scrosciava nella mente con una cascata di possibili soluzioni senza via d’uscita. La riposta che gli veniva dalla sua passione per la fantascienza, lo portava a pensare  al  medaglione capace di trasmettere un ordine come quello delle leggende degli Sbilfs. Un ordine venuto dalla notte dei tempi per eliminare lo svizzero. Ma allora lo “svizzero” chi era veramente? Uno Sbilf in forma umana? Davanti al Procuratore però non avrebbe potuto usare risposte da fantascienza. Non gli restò che far sparire ogni cosa. Non poteva indagare su un omicidio commesso in proprio. Per chiudere il caso, e mettersi in pace con la coscienza, fu comunque tra i pochi a seguire il funerale de’ “lo svizzero”.