venerdì 26 gennaio 2024

Il passo di Monte Croce Carnico.

 


 

                 Nella introduzione alla storia della Carnia, ripubblicata da Biblioteca dell’Immagine l’anno scorso, scrivo che:

“Nel mio racconto, la storia della Carnia si sviluppa avendo come asse portante la strada per il Passo di Monte Croce Carnico. Ci sono momenti nei quali il Passo diventa luogo di transito e di comunicazione tra il Centro Europa e l’Adriatico, Coincidono con i momenti positivi di sviluppo economico, sociale culturale della Carnia. Ci sono momenti nei quali vengono privilegiati altri percorsi di collegamento come il Canal del Ferro. Il Passo perde allora importanza e il territorio diventa un imbuto. L’economia ne risente, ne risente quindi il modo di vivere di chi vi abita, ne risente l’atteggiamento culturale”

            Se questa premessa è vera, la frana che ha chiuso la strada per il passo la notte del primo dicembre scorso  è una frana che non blocca soltanto una strada, ma rischia di travolgere e celebrare le esequie di una Carnia già in crisi, per tanti altri motivi.

             Da qui l’urgenza di trovare delle soluzioni per quanto possibile risolutive, ma anche  in tempi molto rapidi.

             Tuttavia la soluzione non è semplice, come dimostra la stessa storia di questa strada. E’ stata voluta dai Romani perché costituiva il percorso più diretto e quindi più breve tra Aquileia e il Norico, il Centro Europa. Le tre iscrizioni che ci sono rimaste, scolpite sulle rocce del  percorso, testimoniano che nei quattro secoli di vita come strada romana, è stata soggetta a complessi lavori di manutenzione, con modifiche del percorso per superare le rocce del Malpasso da un lato (un nome che già dice tutto) o , dall’altro, per evitare le cadute massi dal Pal Piccolo.

            Comunque i Romani si erano tenuti sul versante opposto al Pal Piccolo, è stato il Genio Militare, nel primo dopoguerra, per individuare un percorso al riparo dai tiri d’artiglieria nemica che  ha avuto la idea rischiosa di intaccare con i tornanti di una strada,  le pareti del Pal Piccolo. La montagna è diventata così “una bomba ad orologeria” come scrive Corrado Venturini il geologo nato a Timau, che, per raggiunti limiti d’età,  ha da poco lasciato all’Università di Bologna la cattedra che era stata di Michele Gortani.

            Per il giornale di Timau “Asou Geats” ,senza mezzi termini., ha scritto che “ il fatto che non ci siano state ancora vittime,configura l’evento come un monito lanciato dalla montagna e dalle sue rocce. Un avvertimento per chi avesse intenzione in futuro di insistere pervicacemente nel riattivare quel medesimo tragittto sperando, ingenuamente, di rendere stabile il versante. Un versante lungo il quale ulteriori numerosi ordigni a tempo attendono solo di concludere il proprio conto alla rovescia”.

            Aggiunge che “la ragione di tale diffusa criticità va ricercata indietro nel tempo, a 360 milioni di anni fa”, e poi cerca di spiegare, con esempi apparentemente semplici concetti tutt’altro che semplici, come si siano venute formando le montagne della Carnia in questi milioni di anni, creando la bomba ad orologeria del Pal Piccolo.

             Lasciando a una prossima puntata il riassunto delle sue spiegazioni, le conclusioni a cui arriva il geologo, credo sconsiglino qualsiasi tecnico dal mettere la firma, su qualsivoglia progetto di riattivazione e sistemazione dell’attuale percorso, individuato da Lequio a fini militari  e poi trasformato in strada nazionale negli anni trenta del secolo scorso.dall’Anas di allora.

            Del resto, lo stesso ingegnere Carpenedo che come tecnico potrebbe essere chiamato a garantire con la sua firma il futuro della strada, come scrittore nel suo pregevole lavoro di ricerca storica intitolato “la strada di Monte Croce Carnico” pubblicato dal Circolo Culturale Enfretors di Paluzza, senza mezzi termini, a proposito della strada costruita dalla impresa Paladini scrive che “venne costruita una strada molto bella nel posto sbagliato. In quel versante la caduta di massi, a volte di grandi dimensioni, provenienti dalle bancate calcaree verticali e persino a franappoggio che sovrastano la strada, è inarrestabile.”

            Se cosi è, messa da parte l’idea di riprendere a crogiolarsi con la suggestione del traforo, una volta accertato che gli austriaci non sono interessati, se proprio non sono contrari,  senza sprecare altro tempo, è necessario riprendere in mano il percorso della strada romana, con le tecnologie oggi a disposizione, avendo cura di lavorare in sintonia con la Soprintendeza archeologica per mettere in luce e valorizzare i resti della strada romana, evitando i conflitti inutili che ritardano la realizzazione della pista ciclabile Amaro-Tolmezzo sulla ex ferrovia.

            Si legge sulla stampa dell’esistenza già di due proposte progettuali che interessano il versante della strada romana: una la strada definitiva che dovrebbe sostituire quella attuale, l’altra una pista forestale.

            Non ho le competenze tecniche per esprimersi al riguardo ma mi piace pensare che si dia da subito l’avvio ai lavori per la strada forestale, propedeutica alla nazionale. Se realizzata con i criteri imposti dalla UE e che si vedono applicati nelle recenti strade agro-forestali, come quella che da Castel Valdaier porta a Stua Ramaz. attiverebbe comunque un collegamento seppure provvisorio con la Carinzia, e potrebbe essere utilizzata anche come strada di cantiere per la strada principale.

            Per i finanziamenti la strada forestale potrebbe essere di competenza regionale e quindi immediatamente cantierabile, mentre quella definitiva dovrebbe rifarsi a finanziamenti nazionali, essendo indubbio il carattere di strada nazionale a valenza internazionale che ha la strada per il passo di Monte Croce. Lo spiegava già molto bene Giuseppe Marchi nell’esposto (che giustamente l’ing. Carpenedo ha voluto riportare in forma anastatica in appendice al suo libro) quando, all’inizio del secolo scorso, richiedeva un intervento dello Stato per riattivare una strada, che dopo secoli di incuria era ridotta a poco più che un sentiero.

            Alla fine con la tecnica di due piccioni con una fava, avremo una bella strada sicura che si connette al tratto che scende a Mauthen, già messo in sicurezza dagli austriaci, e un pista ciclabile a grande valenza storico-paesaggistica perché potrebbe riportare  in luce e  valorizzare altri  resti della strada romana, oltre a quelli esistenti.

            Da un lato una strada che riporta la Carnia al ruolo di ponte tra l’Europa e il mare, recuperando la visione lungimirante dei Romani che ha favorito a suo tempo lo sviluppo di Iulium carnicum. Dall’altro, un circuito ciclabile di valenza internazionale che collega Tarvisio a Tolmezzo attraverso la valle della Gail, e unisce la valle del But  al Canal del Ferro valorizzando ancor di più la ciclovia Alpe Adria.

            Per una volta, mettendo assieme lungimiranza e urgenza. Binomio non facile da realizzare in politica! Ma non è detto che questa non sia la volta buona!...