venerdì 11 maggio 2018

IL MAESTRO DI TOLMEZZO CICLISTA.



La piazza. In fondo, la scuola.

            Il   20 maggio è partita per la prima volta da Tolmezzo una tappa del giro d’Italia. E' stata  anche  l’occasione per ricordare la nascita del ciclismo carnico. 
    Proprio 111 (bel numero!) anni fa!!!. 
Correva infatti l’anno 1907 quando all’Albergo Roma alle ore 21 del 26 maggio, secondo il diario del  tempo intitolato “Il Biricchino” si costituiva il Club Ciclistico Carnico. Notizia che trova conferma nel  giornale La Patria del Friuli del 28 maggio, (il Messaggero Veneto del tempo),  con la precisazione che “chiunque desidera iscriversi a questa unione ciclistica deve presentare regolare domanda che verrà sottoposta al giudizio del Consiglio”. Alla costituzione erano presenti una trentina di persone, tra le quali anche una donna, e si decise anche per la prima gita sociale per il giorno 31 fino a Piano d’Arta.  Un circolo borghese esclusivo evidentemente, se un giovane maestro elementare venuto da Predappio in Romagna, si vide respingere la domanda di adesione. Forse aveva dato fastidio anche la domanda di qualche carnico, per cui,  già sabato 8 giugno, secondo lo stesso diario, il circolo abbandonò il nome di “carnico” per assumere quello di “tolmezzino”.
L'alloggio
            Il giovane maestro respinto si chiamava Benito Mussolini. 
            Checchè se ne dica, in positivo o in negativo, di ciò che ha fatto dopo, Mussolini è stato tra i primi dimostrare in Carnia i vantaggi e gli svantaggi dell’andare in bicicletta. Come si legge nella ricostruzione che ne ho  fatto  nel romanzo “Il maestro di Tolmezzo”, Mussolini aveva ottenuto l’incarico di maestro nel capoluogo della Carnia per l’anno scolastico 1906/7.  Alloggiava alla locanda “Alla Scala”ove c’è oggi il negozio di abbigliamento di Cacitti in via Cavour, insegnava a palazzo D’Orlando, adibito a scuola elementare, ora sede dell’Ufficio Tecnico del Comune  in Via Jacopo Linussio.
La lettera di dimissioni
            Tra i ben altri vari primati che conquisterà nella vita, credo sia stato anche il primo insegnante elementare a  diventare vittima del bullismo. Infatti per colpa d’un alunno scapestrato, certo Artico Fioravante, è arrivato a tal punto di esasperazione da vedersi costretto a inviare al Direttore didattico la lettera di dimissioni. Allora come ora, vigeva in Friuli il metodo “si cumbine”. C’è per ogni cosa un possibile aggiustamento. Nel caso in questione si “combinò” l’espulsione di Fioravante, per consentire al maestro di completare l’anno scolastico.

            Ma questa è un’altra storia. 
            Tornando al ciclismo, nella documentata ricostruzione storica che ne ho fatto, Mussolini sapeva andare in bicicletta, ed è stato tra i primi a diffondere in Carnia il piacere della pedalata.  Sapeva per modo di dire perché, come  si legge  a pag. 391, del romanzo in forma di diario,   il 5 giugno per tenersi in allenamento era andato fino ad Amaro. 

Al rientro, proprio nel centro storico del paese, su via Umberto I, no so cosa è stato. Forse della ghiaia fuori posto, non so!
La copertina del romanzo
O forse correvo troppo per mostrare le mie capacità ciclistiche a quelli che non mi hanno ammesso al circolo ciclistico. Vero è che ho fatto un capitombolo disastroso. Fortunatamente non mi sono fatto niente, ma mi sono rialzato, bianco di polvere, come un mugnaio che esce dal mulino, e ho dovuto attraversare il resto del paese in queste condizioni”.

            Quella del tenersi in allenamento era evidentemente una scusa perché qualche giorno prima, il 19 maggio si era dimostrato un vero passista. Si fece accompagnare  fino a Resia  dal suo amico Ciani, per risolvere una questione d’amore. Finì invece a Chiusaforte in una specie di casino, a dimostrare quanto fosse in forma, nello sport che preferiva, nel quale, già allora, la faceva da campione.
                                                                                                       


           








mercoledì 9 maggio 2018

PUSEA DI VERZEGNIS


Pusea, compendio della Carnia, tra passato e futuro.

Al paese di Pusea, ci si arriva anche da Verzegnis dalla strada che attraversa il lago omonimo. Ci si arriva in macchina, e c’è anche il parcheggio. Ma chi ama il fascino della scoperta deve salire da Cavazzo Carnico. Lasciata la macchina al parcheggio del Ristorante al Pescatore, si prende la carrareccia segnalata come Cammino delle Pievi. La strada di accesso  al paese infatti è anche  un tratto della tappa, tra le Pievi di Cesclans e di Verzegnis, dell’ormai famoso cammino turistico devozionale. La comoda carrareccia ampia e ben tenuta, con i tratti in pendenza sistemati a calcestruzzo, consente di avanzare in gruppo, commentando meravigliati le forre e i dirupi strapiombanti del rio Faeit. Non è difficile immaginare  ci fosse un lago, nella notte dei tempi,  nell’invaso al cui fondo abbiamo lasciato la macchina.. 
La strada è stata risistemata per le esigenze militari della prima guerra mondiale, ma la sua costruzione risale senza dubbio almeno all’epoca della conquista romana. Forse più antica, opera dei  Celti, che preferivano le montagne ai fondovalle. Manca da tempo un ponte di legno crollato, chissà che non ci pensi Trieste, ora che i Carni non ci sono più!
            Salendo si discute e si immagina,  procedendo in una galleria di verde. Alle spalle l’Amarianna che emerge con la vetta soltanto, bella nel biancore della roccia in contrasto con il verde del rilievo del monte Alz che la copre. Davanti, incombenti il Piçiàt e il Bottai e lo scrosciare dell’acqua del rio Faeit. Il paese emerge dal bosco all’improvviso dopo un tratto in leggera discesa. Una decina di case, in una conca di verde. Non puoi non pensare a un nido d’uccello sospeso tra una montagna e l’altra. 66 abitanti dice la storia fino all’ultima guerra, quando vivere era poco più che sopravvivere, e, per riuscirci, ogni filo d’erba era utile per mantenere in stalla una mucca in più, per far pascolare una capra di più. Nel dopoguerra quando si è capito che emigrando nel resto d’Europa, ci si poteva  immaginare una vita meno ingrata di quella a cui costringeva la povertà della montagna, il paese si è in breve dissolto. Come tanti altri in Carnia. Sono rimaste le case. In gran parte ricostruite dopo il terremoto del 1928, dimostrazione evidente delle tecniche antisismiche del tempo. Risistemate dopo il terremoto del 1976. Per chi?
            A dare la riposta l’abbaiare dei due cani dell’unica abitante. E la voce cordiale di un udinese che da 47 anni vive quassù. “Non stabilmente, solo i fine settimana e durante le ferie!”. Scherzi chiedendogli se c’è l’osteria e ti risponde con la generosa ospitalità dei friulani. Imprecando alla burocrazia, ma offrendoti il suo vino, facendoti  sedere al suo tavolo. Spiegandoti la sua scelta! Di primo acchito incomprensibile ma che comprendi bene se ti lasci ammaliare dal respiro della piccola valle, dal silenzio velato dal magico frusciare lontano  d’una cascata, contrappuntato dal tubare del cucùlo.  E’ questa  la   Carnia di domani?
La sega veneziana.
Quella di qualche nostalgico e di qualche cittadino in cerca di tranquillità? Perché no? Se tra i nostalgici e gli amanti della tranquillità si torna ai 66 d’un tempo. Ma per riuscirci all’udinese che vorrebbe aprire un punto di ristoro, per offrire ad altri un bicchiere e magari anche un letto, gli dovresti fare un monumento non avvilupparlo in mille pastoie burocratiche, che spengono sul nascere ogni buona intenzione. Basterebbe un articolo di legge che esonera da ogni imposta e tasse le attività produttive di qualsiasi tipo insediate in centri abitati con meno di 500 abitanti, oltre i 500 metri di quota. Esonero esteso all’acquisto e alla ristrutturazione delle case, prima che si riducano in macerie. Provvedimento senza costi ma di grandi risultati!
L'officina.
            Per il futuro forse Pusea può solo suggerire  speranze di buonsenso!... Per  il suo passato però il paese è già un monumento all’ingegnosità carnica. Mancano tante cose  quassù, ma non l’acqua. Per questo è stato il primo paese in Carnia ad avere la luce elettrica nelle case.  Nel 1902 tal  Giuàn di Tònia s’è fatta la centralina idroelettrica. Di notte la corrente illuminava la case. Di giorno l’energia della turbina veniva utilizzata per azionare un mulino, una sega veneziana, una pialla, un tornio ed una mola. Si vedono ancora i resti degli impianti, e fa specie che a nessuno sia venuta l’idea di recuperarli, per farne un piccolo museo. Sarebbe stato un richiamo in più, per non lasciar morire il paese. Recuperare il passato per immaginare il futuro! Non soltanto come romantica nostalgia, ma  come monito e stimolo. Anche in questo Pusea è d’esempio. Accanto ai ruderi del passato come uno squarcio sul futuro colpisce la presenza di due lampioni pubblici a led, alimentati dal sovrastante  pannello solare.  Un prodotto  frutto dell’ingegnosità carnica di oggi.  Pusea, una meta  per una bella passeggiata, ma anche un luogo per riflettere sul futuro della Carnia. (Igino Piutti)
(Dal Messaggero Veneto di sabato 5 maggio 2018)