venerdì 31 dicembre 2010

Angelin Alfeo

E’ morto Alfeo Angelin. Mio collaboratore come assessore in Giunta a Tolmezzo, ma soprattutto storico Presidente delle Casa di Riposo. Non so cosa dice la cabala sul fatto di chiudere l’anno partecipando ad un funerale. Ma è certamente una circostanza che fa pensare, che porta a tirare un bilancio su quelli che sono e sono stati i rapporti con le persone che l’avventura della vita ti ha fatto incontrare. Che cosa mi è rimasto del rapporto con Angelin? Tanti ricordi. Di quando confrontavamo le nostre infanzie di contadino in montagna io, di contadino nella pianura friulana a Budoia lui. Di quando sulla sua barca cercava, invano, di farmi apprezzare la bellezza del mare. Ma i ricordi sono come le onde che vedevamo morire sulla battigia della spiaggia di Lignano. I ricordi muoiono, resta invece il segno di ciò che ti ha dato una persona..
Da lui, più che da ogni altro, ho imparato la differenza tra essere e fare! Si può fare i Presidenti della Virtus o esserne, si può fare i Presidenti della Casa di Riposo o esserlo. E la differenza non è solo linguistica. Chi è Presidente e non lo fa soltanto, è uno che si lascia prendere dal suo incarico. Preso lui nel profondo della sua umanità, riesce a coinvolgere anche altri, riesce a creare attorno a sé un atmosfera. Può essere soltanto l’atmosfera entusiastica di persone che trasformano una squadra di calcio in un simbolo di identità, come è stato per la Virtus. O in modo più importante l’atmosfera che respira il valore della solidarietà e che può trasformare una casa di riposo da un luogo di assistenza per anziani, in una famiglia allargata nella quale gli anziani vivono una nuova esperienza di umanità.
Se fai il Presidente soltanto, lo puoi fare con più o meno professionalità, ma se sei Presidente porti nella carica tutto te stesso, con i tuoi valori e i tuoi idealità, con la tua passione e i tuoi sentimenti e lasci un segno... Il segno che ha lasciato Angelin nella Casa di riposo di Tolmezzo, Il segno che con il suo esempio ha lasciato nell’esperienza di vita di chi l’ha conosciuto.

domenica 21 novembre 2010

Sì all'elettrodotto!!!

Perché non raccogliere l’invito di don Geretti nell’ultimo numero de “La Vita Cattolica” e passare al Comitato del “Si all’elettrodotto”?... Due bei si!
- Si purchè sia interrato, con un percorso che minimizzi l’impatto ambientale.
- Si purchè si preveda la partecipazione del territorio ai vantaggi derivanti dall’opera. Nel progetto, ai privati si unisce la Comunità Montana, (o una sua società) e l’utile legato alla sua quota di partecipazione viene riversato sul territorio, con tariffe agevolate o con agevolazioni indirette a vantaggio di tutta la popolazione.
Visto che al no ci siamo fatti la bocca, potremmo bilanciare i due sì con un no al progetto sul lago di Cavazzo. Anche un carnico dal cervello grosso e dalle scarpe fini, intuisce che questo andirivieni d’acqua non può che segnare in breve la morte del lago!!!...
Che fare per raggiungere gli obiettivi? Scendere di nuovo in piazza?...Mah! Sarebbe forse meglio attivare dei Comitati di pressione a livello di ogni singolo Comune! Sai che risultato per il territorio se il Comitato del Si all’elettrodotto alla fine fosse costituito dai 28 Sindaci di nuovo uniti a fare Comunità di Carnia!!!

venerdì 13 agosto 2010

Il caso Caroli.

Mi è giunta voce che in Giunta si sarebbe discusso sulla possibilità di querelarmi per il post “Rimpasto indigeribile”. Confesso che la cosa mi farebbe piacere perché mi consentirebbe di obbligare a spiegare alcuni aspetti di questa vicenda che ancora non mi sono chiari. Anche se la competenza per questi chiarimenti dovrebbe essere del Consiglio Comunale…
Chi legge il mio pezzo “cum granu salis” non dovrebbe avere difficoltà a capire che non istituisco rapporti tra personaggi di Tolmezzo e l’onorevole Brancher. Ci mancherebbe!...Le analogie che rilevo (come è chiaramente spiegato!) non sono sulle motivazioni (anche perché non mi risulta che il legittimo impedimento sia stato esteso anche agli assessori comunali!) ma sugli incarichi attribuiti senza nessuna relazione con le situazioni che sarebbe urgente risolvere: a Roma manca il ministro allo sviluppo economico e si nomina un ministro al riformismo, qui manca l’Assessore ai Lavori Pubblici e si nomina un Assessore allo Sport!. Sono queste le analogie che mi fanno scrivere d’un “caso Brancher”, mutatis mutandis a anche a Tolmezzo.
Ma le analogie purtroppo si fermano alla farsa degli incarichi. Il nostro è un caso ben peggiore perché per liberare un posto di Assessore allo Sport, si è revocato l’incarico di Assessore ai Lavori Pubblici ad una persona che stava morendo…Mentre scrivo mi pare ancora impossibile che sia capitata una cosa del genere nella comunità “civile” di cui faccio parte…Ma voi che leggete, dovete credere che lo cose sono andate proprio così…
Per questo mi piacerebbe fosse chiarito con quale coraggio politico e prima ancora umano si sia revocato l’incarico all’Assessore Caroli, sapendo che aveva solo pochi giorni di vita? Era evidente il suo stato di salute e per giunta mi risulterebbe che fossero noti i risultati degli esami eseguiti nel suo ultimo ricovero in ospedale! La revoca dell’incarico è stato l’ultimo gesto della società “civile”, (di cui Caroli abbia avuto coscienza) nei suoi confronti! C’è qualcuno che possa pensare fosse un atto dovuto?...
Con quale coraggio si è arrivati a prendere in giro un malato terminale e quindi prendersi gioco della morte, dicendogli e scrivendogli che la revoca era a termine (sic!)…
Nel post precedente ho scritto che anche i barbari si fermano di fronte alla malattia, non potevo scrivere che “si fermano di fronte alla morte”, ma questa è la verità, perché appunto era noto (e certificato!) l’aggravamento della malattia. Dalla revoca alla morte sono passati di venti giorni!...
Come cittadino mi piacerebbe che il Consiglio Comunale chiarisse quale urgenza o forza maggiore ha impedito che si attendesse la morte dell’Assessore ai Lavori pubblici (venti giorni!), non per sostituirlo, ma per nominare un Assessore allo Sport. Se poi si volesse in qualche modo dare un senso a tutta la vicenda mi piacerebbe che il caso Caroli servisse al Consiglio Comunale per discutere di come funziona il diritto alla privacy nel nostro ospedale.

venerdì 6 agosto 2010

Vittorio Caroli ci ha lasciato.

E’ morto Vittorio Caroli. Ho perso un vero amico. Amico è un termine a volte abusato altre volte, (come per me in questo caso), indica un sentimento profondo. Amico è ancora più che fratello perché l’amicizia vera nasce per scelta in un rapporto di sintonia di idee e di sentimenti.
Ho conosciuto Caroli come alunno. Frequentava il biennio della appena costituita sezione staccata dell’ITI Malignani di Udine. Assieme a tanti altri ragazzi che nella scuola cercavano il riscatto, personale e per la Carnia. Come altri, attraverso grandi sacrifici è riuscito ad ottenere ciò che voleva, realizzandosi come imprenditore edile L’ho ritrovato molto più tardi nell’ambiente della politica. Lui ad Arta io a Tolmezzo, non avevamo grandi occasioni d’incontro. Poi ci siamo trovati sull’idea d’una proposta politica diversa, alternativa. Non so se abbiamo condiviso una idea o una utopia, ma ci siamo trovati in sintonia immaginando una politica come ritorno a quello spirito di servizio che ci aveva fatto aderire da giovani alla Democrazia Cristina, una politica come passione. La politica come forma del più alto impegno nel sociale a favore dello sviluppo della comunità di cui l’individuo fa parte. Assieme abbiamo condiviso le idee per fare della Carnia e della montagna friulana in genere una terra nella quale le nuove generazioni non dovessero soffrire la sventura d’essere nate, ma vivere apprezzandone la bellezza sapendo coglierne le opportunità.
Un mondo strano quello della politica, dove incroci il peggio degli intrallazzatori, carrieristi senza pudore, ma nel quale puoi trovare anche persone animate dala passione per “il bene comune”.. Vittorio era una di queste, una persona che sapeva farsi amare ed apprezzare dalla gente, e che poi usava il consenso per farsi interprete di un progetto di sviluppo per il proprio territorio.
Nel teatrino della politica conoscendo Vittorio ho conosciuto un uomo. Non è cosa da poco in un ambiente nel quale girano individui che si credono la maschera di Sindaci, Assessori o Presidenti di Enti, maschera che sono riusciti ad indossare senza nessun merito. Ma una maschera ricopre, non può riempire il vuoto di idee e di valori. Vittorio invece era un uomo, nel senso più pieno del termine, con tutti i pregi e i difetti che ha un uomo. Passionale genuino ed istintivo in un ambiente nel quale troppo spesso domina l’ipocrisia e la falsità, è finito con il subire le conseguenze della sua incapacità di mediare e scendere a compromessi. Ha concluso la sua carriera politica come Assessore al Comune di Tolmezzo, un incarico che forse non avrebbe dovuto avere viste le sue condizioni di salute, ma un incarico che solo un atto di barbarie politica gli ha tolto quando già si sapeva che aveva pochi giorni di vita.
Se dut finis sta gnot dal cimiteri un om al valares mancul di un clap.
Se tutto finisse nella notte del cimitero l’uomo varrebbe meno d’un sasso, scriveva il nostro poeta Giso Fior. E ci sono in effetti uomini che tutti presi nel loro egoismo sono come sassi d’inciampo nella vita d’una comunità, dei quali ci si libera con un respiro di sollievo. Ma non è certo stato Caroli uno di questi, per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo di frequentarlo.
Se tutto finisse nella notte del cimitero…Ma per chi crede non è così. E Vittorio aveva una grande fede. Con San Paulo chi crede sa che saremo trasformati. Ma anche chi non ha fede ma si riconosce nei valori della tradizione, sa che quello che abbiamo portato al cimitero è il suo corpo. Il suo spirito è ancora qui con noi. Da bambini ci hanno insegnato a pregare i nostri morti come se fossero stati ancora vivi, ancora presenti accanto a noi. Per questo posso pensarlo ancora presente, nella dimensione dell’invisibile che convive con quella del visibile “tal respir dall’arie ator di no, tal respir dal ricuart dentri di no.
Per questo posso pensare che continui a lavorare al disegno che avevamo maturato assieme d’una Provincia impegnata in un progetto di valorizzazione della montagna che passava attraverso l’istituzione della Direzione dell’Area Montagna, che si allargava in una idea di collaborazione con la Provincia di Pordenone per un progetto congiunto di sviluppo dell’area montana della nostra Regione. Progetto che purtroppo si sta spegnendo.
Quando l’ho avuto come alunno gli ho insegnato a leggere “I Sepolcri” di Ugo Foscolo, a commentare la frase “sol chi non lascia eredità di affetti poca gioia ha dell’urna”, la folla presente per accompagnare il suo corpo nell’ultimo viaggio è stata la testimonianza più sincera della grande eredità di affetti che ha saputo costruire durante la sua vita.

giovedì 15 luglio 2010

Rimpasto indigeribile.


Foto e titolo dal "Messaggero Veneto" di mercoledì 14 luglio us

Anche a Tolmezzo un caso Brancher? Mutatis mutandis, anche perché Tolmezzo non è Roma, le analogie non mancano… A causa d’una grave malattia era di fatto assente l’Assessore ai Lavori pubblici Caroli. Il fatto è stato puntualmente rilevato dall’opposizione che, quando vuole, non si ferma neppure davanti alle malattie. Il Sindaco Zearo è corso ai ripari. “Incaricando qualcun altro di seguire il lavori pubblici” direte voi. Macchè! Non ci credereste! Ha revocato Caroli per nominare Martini Assessore allo sport.
“Dai, è uno scherzo!” continuerete voi a pensare. “Certo che sa di farsa, ma è andata proprio così!” Ma non si era detto che l’urgenza così impellente da giustificare un intervento di revoca nei confronti d’un ammalato grave, era la necessità di porre rimedio alla assenza per malattia dell’Assessore ai Lavori Pubblici? Che ci azzecca con questo un nuovo Assessore allo sport?
A pensar male, da come sono andate le cose si dovrebbe dedurre che l’urgenza fosse più il desiderio di Martini di fare l’Assessore che l’esigenza di supplire l’assenza di Caroli. Tant’è che la delega ai Lavori Pubblici resta al Sindaco, come prima..
Inaudito e inconcepibile (oltre che per una serie di considerazioni politiche che lascio ai consiglieri comunali!)a fronte delle difficoltà che sta attraversando Caroli per la gravità della malattia!!!
Se fossi l’Assessore Caroli dimissionato perché gravemente ammalato non potrei esimermi dall’augurare lunga vita politica al Sindaco e al nuovo Assessore.
Se fossi, come in effetti sono, soltanto un cittadino di Tolmezzo non potrei esimermi dall’esprimere il mio sconcerto, la mia vergogna e la mia indignazione sul piano politico, per un comportamento che scade ad un livello inferiore a quello della politica più becera per sconfinare nel disumano. Anche i barbari si fermavano di fronte alla malattia…

martedì 27 aprile 2010

Le nuove Comunità Montane.


Testo pubblicato nelle Lettere al Direttore del Messaggero Veneto del 27 aprile 2010
con il Titolo
Comunità Montane.
Autonomia e Identità.

Si legge e si sente che sarebbero finiti i tempi della gestazione commissariale e sarebbe imminente il parto delle nuove Comunità Montane. Sperando di essere ancora in tempo vorrei solo richiamare i consiglieri regionali sulla considerazione che la riforma può avere una matrice di carattere burocratico o di carattere politico. Immaginare che a governare ci sia un mega Direttore affiancato da sorta di Giunta costituita da tutti i sindaci del territorio, ha un senso solo se si ritiene che compito del nuovo ente sia quello di distribuire tra i vari Comuni un Fondo Montagna, e di gestire delle competenze espropriate ai Comuni. Ma se questo è il disegno dei burocrati, mi immagino uno scatto di dignità dei Sindaci! Questa specie di mega agenzia delle entrate e delle uscite dei Comuni di fatto li spoglierebbe d’ogni potere, costringendo i Sindaci ad un ruolo di cirenei travolti dalle critiche dei cittadini, senza neppure potersi scegliere il percorso verso il Calvario…
In nome, si dice, d’una razionalizzazione e d’un risparmio. Tutto da dimostrare e che comunque sarebbe meglio garantito da soluzioni consortili. Se poi la partecipazione dei Sindaci dovesse ridursi alla spartizione del Fondo Montagna, tanto varrebbe sopprimere il simulacro di comunità che li vedrebbe solo come ridicoli figuranti…
Ma i consiglieri regionali, di maggioranza e di opposizione, a che scopo li abbiamo eletti, se poi le riforme le fanno i burocrati?... Vista la foga politica messa nel commissariamento, mi sarei atteso altrettanta foga politica per una riforma nella quale avesse deciso di caratterizzarsi questa maggioranza di centrodestra. Le Comunità sono nate con la legge 1102 del 1971 per “favorire la partecipazione delle popolazioni alla predisposizione e attuazione dei programmi di sviluppo territoriali”. Già allora il legislatore avvertiva che nelle valli di montagna si è affermato un senso dell’identità, che manca in pianura. Identità da considerarsi come il valore e la competenza distintiva sulla quale impostare l’autonomia distintiva delle Comunità della montagna.
Possibile che gli ex di AN che sono vissuti sul valore dell’identità e quelli della lega che sono nati sul valore dell’autonomia, si lascino scippare dai burocrati l’occasione per misurarsi su una istituzione che coniugando identità ed autonomia, sia in grado di promuovere la partecipazione della gente al progetto di sviluppo del proprio territorio?... Eppure non mi pare così difficile capire che la partecipazione della gente è condizione indispensabile per uno sviluppo basato sulla valorizzazione dell’ambiente, sulla gestione oculata delle risorse per bilanciare i maggiori costi della vita in montagna, sul coinvolgimento nella promozione nello sviluppo turistico…
Qualcuno mi accusa di avere contribuito a far abortire l’idea della Provincia dell’Alto Friuli, che faceva dell’autonomia il cavallo di battaglia, e quindi afferma che sto cadendo in contraddizione. Non ho rimpianti e pentimenti, se non il dubbio (che mi auguro venga smentito!) che qualcuno possa aver utilizzato la mia passione politica per esiti opposti a quelli che erano e restano i miei intendimenti.
Resto convinto che l’autonomia è possibile se c’è una identità su cui si fonda! Non c’è nessuna identità dell’Alto Friuli, mentre c’è una forte identità della Carnia, o della Valcellina, delle valli del Natisone o del Canal del Ferro Valcanale. Forse non è facile per tutti capire questa relazione tra identità e autonomia. Ma non può non capirla il Presidente Tondo che viene da un territorio dove questa relazione si è già avvertita all’interno del Movimento della Resistenza, portando alla nascita della Comunità Carnica, ben prima della nascita delle Comunità Montane!
Perché invece che giocare a “chi meno fa” come suggeriscono i burocrati, non si fa uno scatto politico di reni e si propone una soluzione da indicare alla Nazione come modello nuovo di “comunità di montagna” sulle orme di ciò che a suo tempo hanno fatto i padri fondatori della Comunità Carnica?

sabato 27 febbraio 2010

L'Assessore regionale Kosic in visita alle Terme di Arta.


Sabato 27 febbraio ho avuto il piacere di veder pubblicato nella rubrica il Caso del Messaggero Veneto (ringrazio il Direttore!) una mia riflessione, inviata qualche giorno prima, che sollecitava un intervento della Regione, per gestire come struttura di livello regionale il complesso termale di Arta Terme. Sottolineavo come la “punta di diamante” del turismo in Carnia, non può essere lasciata ad impegolarsi nelle beghe di basso profilo che spesso caratterizzano la vita politica d’un piccolo Comune. Lo stesso giorno (guarda tu le coincidenze!) in cronaca di Arta è uscito un comunicato dell’opposizone in Comune che deplora il fatto che il Sindaco abbia snobbato la visita alle terme dell’Assessore Kosic. Ora io ho la fortunata ventura di conoscere e di stimare, sul piano personale e non politico, sia l’Assessore regionale Kosic che il Sindaco Marlino Peresson: entrambe persone d’una estrema sensibilità e correttezza, finite nella palude della politica, a mio avviso, solo perchè convinte che ci fosse ancora spazio per operare per il “bene comune”. Peresson mi ha confermato di essere rimasto tutto il giorno in attesa dell’Assessore (la visita era preannunciata senza che fosse stabilita l’ora) ma che nessuno gli ha dato comunicazione del suo arrivo. Sono certo che conoscendo la sensibilità istituzionale “inglese” di Kosic, mai si permetterebbe di mettere piede in un Comune come rappresentante della Regione senza avvertirne il Sindaco. Se così dovessero stare le cose, (e non ho dubbi!), qui non siamo più alle beghe di basso profilo, siamo finiti oltre la decenza. Qualcuno ha organizzato la visita d’un Assessore regionale ad una struttura (almeno per il momento!) ancora di proprietà del Comune, senza avvertire il Sindaco? E l’opposizione invece che insorgere a difesa, denunciando il fatto, perché il Sindaco (fino a prova contraria!) rappresenta il Comune e quindi l’offesa al Sindaco è offesa a tutto il Comune (compresa l’opposizione!), riesce a pensare che il Sindaco abbia “snobbato” (sic!) l’Assessore... O tempora o mores direbbero i latini, che tradotto nella nostra madre lingua suonerebbe “Biade cjargne, ce tant in bas chi sin finìs”.

giovedì 25 febbraio 2010

La lavanda di Venzone.



Una volta, nel tempo prima della storia, la Carnia era abitata dagli Sbilfs e dalle Agane, le fate dell’acqua. Nella stretta di Venzone che prendeva il nome di porta della Carnia perché al tempo con questo nome si comprendevano anche le valli del torrente Fella, una colonia di Sbilfs si era insediata dove ora sorge il paese, mentre al di là dell’acqua del Tagliamento ove ci sono ora le case di Pioverno nelle grotte sotto all’attuale chiesa dell’Immacolata si erano insediate le Agane. La scelta non era stata casuale. A quei tempi si viveva secondo natura, non c’era la necessità di lavorare la terra, ma ci si doveva collocare dove la terra produceva i suoi frutti. Sulla sinistra del Tagliamento cresceva spontaneo il frumento il cibo preferito dagli Sbilfs. Sulla destra invece cresceva quella che oggi chiamiamo lavanda, il profumo preferito dalle Agane. A primavera la stretta tra il S.Simeone e il Plauris pareva la valle dell’eden con l’acqua limpida che si scioglieva in riflessi di cristallo, tra la distese dorate del frumento da una parte e del viola della lavanda dall’altra. Gli Sbilfs che credevano nella Madre Natura, avevano dato un nome femminile alle piante da cui traevano sostentamento e le avevano chiamate spighe. Le Agane che vivevano del profumo dei fiori avevano dato un nome maschile alle loro piante e chiamano spigo i gambi di quella che noi oggi chiamiamo lavanda.
Quando nel rincorrersi dei secoli iniziò la storia degli uomini le nostre montagne furono prima popolate dai Celti venuti dll’Est, e infine anche da queste parti arrivarono i romani a portare la civiltà con la guerra e gli eserciti. I soldati venivano reclutati da ogni parte dell’Impero. Fu così che arrivò nella piana di Venzone una legione tutta formata da Galati, i Celti dell’Asia Minore. Fra loro c’era un centurione di nome Venzo, finito a fare il militare per dimenticarsi le pene d’amore.
In patria era un alchimista innamorato del suo lavoro. Coltivava una pianta che i greci chiamavano nardo celtico, appunto perché coltivato dai Celti d’Asia minore, ed i romani invece lavandula spica. Dalle radici aveva imparato a distillare degli oli essenziali e dei profumi d’una delicatezza raffinata, e degli unguenti che avevano del miracoloso. Di lui si era innamorata una bellissima donna di nome Maddalena. Si erano sposati. Egli l’amava nel profondo del suo cuore, ma tutto preso dal suo lavoro la trascurava. Passava le notti a studiare nuove ricette, cercando le soluzioni più innovative per ricavare il massimo beneficio dalle virtù della pianta del nardo. Fu così che un mattina e non trovò più Maddalena in casa. La cercò invano per tutto il paese, ma invano. Si accorse che era sparito anche l’asino, e che era stato svuotato il magazzino nel quale teneva i suoi prodotti. Un amica della moglie gli riferì che s’era caricata i profumi e gli unguenti sull’asino e che era partita alla volta della Palestina, dove aveva sentito stava predicando un nuovo profeta di nome Gesù. Qualcuno sostiene sia la stessa donna di cui parla l’evangelista Luca raccontando che si era introdotta nella casa d’un fariseo ove Gesù si trovava a pranzo, “era venuta con un vasetto di olio profumato e stando dietro presso ai suoi piedi, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato”. Era conosciuta come una peccatrice ma per quel gesto Gesù le disse “Ti sono perdonati i tuoi peccati”. Forse il collegamento può essere fantasioso oppure no, dal momento che non si specifica di che olio profumato si trattasse. Ma in una scena analoga nella quale a ungere i piedi di Gesù d’olio balsamico è Maria di Betania, la sorella di Lazzaro il resuscitato, si dice espressamente che ha usato “una libbra di olio profumato di vero nardo” e quindi non si può escludere si sia trattato proprio dell’olio di Venzo..
Comunque il nostro essendosi trovato alla porta della Carnia, celta galata a dover combattere contro altri Celti, i Carni, entrò in crisi di nuovo e chiese di essere congedato ed ottenne la proprietà dei campi di lavanda che già dal tempo degli Sbilfs cresceva dove oggi sorge il paese di Pioverno. Prese dimora nella grotta che s’apriva nel rilievo sul quale sorge ora la Chiesa del paese. Grotta che era stata delle Agane, e che lo è ancora perché non è che le fate dell’acqua siano sparite, sono solo diventate invisibili per l’incapacità dell’uomo a vedere oltre la dimensione del reale, come è diventata invisibile la grotta perché l’imboccatura è crollata a seguito d’un dei terribili terremoti che hanno interessato ed interessano ancora il monte S.Simeone
Qui, non più distratto dalle grazie della bella Maddalena, riprese con nuova lena le ricerche sulle proprietà benefiche dello spigo e a forza di innesti ed impianti riuscì a sviluppare un nuovo tipo di pianta con maggiori proprietà terapeutiche. Mentre dal nardo celtico l’olio essenziale ed il profumo si ricava dalla radice, nella nuova pianta le proprietà benefiche si trasferirono nel fiore esaltandosi. Divenne in breve famoso in tutta la Carnia perché con i medicamenti tratti da questo nuovo spigo sapeva curare ogni tipo di malattia.
Per ogni tipo di dolore prescriveva dei bagni di spigo. Si deve lavare la parte malata, scriveva, e quindi prescriveva delle diverse composizione di acqua ed olio di spigo. Da militare aveva imparato la lingua latina e in latino le sue ricette iniziavano sempre con “lavanda est” si deve lavare, e così un poco alla volta gli uomini della Carnia presero a parlare di ricette di lavanda, e lo spigo finì per essere chiamato lavanda: la lavanda di Venzo, che in latino diventava appunto “Lavanda Venzonis”, termine oggi correttamente tradotto in italiano come “Lavanda di Venzone”. I botanici la chiamarono lavandula angustifolia per la caratteristica delle foglie strette, distinguendola dalla lavandola spica, detto anche nardo celtico o valeriana celtica, che si coltiva ancora nella montagna carinziana e viene utilizzata soprattutto nelle terme di Bar Kleinchirhheim.
A sentire l’attuale nome comune, di primo acchito viene da pensare che sia stato il paese a dare la denominazione alla lavanda, e invece la storia del legionario Venzo, dimostra il contrario in modo inconfutabile…Comunque anche nel caso dello spigo, le Alpi divennero confine e discrimine, il genere spica si continuò a coltivare al di là, mentre l’angustifolia si diffuse al di qua per tutto l’arco alpino fino alla Liguria per poi da qui debordare in Provenza.
I carnici son gente rude poco portata ai profumi: gli uomini nel bosco e le donne con la gerla, ma anche Carnia pur se è venuta meno, non è mai scomparsa l’usanza di coltivare la lavanda. Valentino Osterman in La vita in Friuli” scriveva alla fine dell’Ottocento che “è pianta benefica; si coltiva negli orti per raccoglierne i fiori che a mazzi vengono collocati tra la biancheria sia per il loro gradevole odore, sia perché si ritiene giovino a tener lontane le tignole l’incubo (calciùt) e le malie tentate contro il compimento dei doveri matrimoniali. Giova pure contro il mal di capo e di nervi, per curare le ferite e per regolare le funzioni muliebri. Ha maggiore virtù se colta nella famosa notte di S.Giovanni.
Con questa ultima annotazione il richiamo dell’Osterman a Venzo è evidente, perché ormai tutti gli studiosi concordano sul fatto che risalgono al Celti i riti della notte di S.Giovanni. Anche la messa in evidenza dei poteri sulle “malie tentate contro il compimento dei doveri matrimoniali” è probabilmente riconducibile a Venzo che nella solitudine della grotta di Pioverno, rimpiangeva di aver trascurato la bella Maddalena, che se n’era andata a far la peccatrice in Palestina.
A proposito! C’è qualcuno che sostiene d’aver letto nei soliti documenti di cui non si trova ormai traccia che lo stesso nome di Pioverno è legato al legionario. Alla sua morte infatti sarebbe stata costruita una chiesetta dedicata al Pio Venzo, delle cui fondamenta risulterebbe si sia trovata traccia quando è stata costruita la Chiesa attuale. Nei secoli poi, come è capitato spesso, il nome sarebbe stato storpiato in quello di Verno.
Ma forse queste sono illazioni di storici che si lasciano guidare dalla fantasia invece che dall’amore per la ricerca. Certo è invece il fatto che Venzo teneva a precisare, consegnando le sue ricette, che per trarne i massimi benefici, gli oli essenziali ed i profumi di spigo o lavanda che dir si voglia, devono essere diluiti nell’acqua delle sorgenti popolate dalle Agane. In Carnia ce n’è diverse, ma sembra che sopra tutte egli consigliasse l’acqua di Applis ad Ovaro, dove l’acqua sgorga fresca e purissima direttamente dal terreono.
Per inciso si deve ricordare che come sono presenti nel mondo degli umani le Agane, così sono ancora presenti gli sbilf anche se invisibili. Come è noto ce n’è di diversi tipi e nomi come il Gan, il Mazarot, il Bagan, e il Pavàr . Ci sono quelli favorevoli agli uomini e quelli pericolosi come il Cialciùt che nell’era moderna s’è montato la testa, ha cambiato nome e si fa chiamare “stress” all’inglese. Gira di notte per le case degli uomini diffondendo la malattia della depressione. Come già ricordava l’Ostermann il potere benefico della lavanda si riscontra soprattutto nel tener lontano gli incubi provocati dai Cialcùt.. In termini moderni, come è ormai ampiamente dimostrato da tanti studi, si direbbe che ha dei poteri quasi magici per vincere il male del secolo: la depressione causata dallo stress.