mercoledì 6 gennaio 2021

 

Identità carnica (ancora!!!)

“Attenzione però!” scrive Gian Mario Villalta direttore di Pordenone legge sul MV di lunedì 4, a parlare di idioma friulano,  idioma ha la stessa radice etimologica greca di idiozia, l’atteggiamento di chi si chiude in se stesso, dell’uomo senza cultura.

Sul punto più alto della Carnia.

            Forse per questo qualcuno ha fatto giustamente rilevare nei commenti su face book che a volte ci si vergogna a usare l’idioma non volendo  passare per “contadini” .

            Ma è proprio qui, ( a parer  mio parere di contadino rifatto!) che abbiamo sbagliato! E continuiamo a sbagliare. Il vantaggio dell’idioma friulano sta proprio nel fatto che è (ìdios=particolare, questa la traduzione del termine!), particolare perché così diverso dall’italiano, ma così legato a un ambiente particolare a una particolare storia. Ove “particolare” sta per originale, pieno di fascino. Dovremmo menar vanto di conoscere il friulano. Ma non per aver imparato a scuola quello della koinè,   ma per averlo “succhiato” in famiglia, “l’idioma che prima i padri e le madri trastulla” come scrive Dante (Paradiso XV, 122). Un modo di essere e di sentire prima ancora che un modo di dire.

            E con l’inglese come la mettiamo? E dimostrato che la diglossia favorisce l’apprendimento linguistico. E con la globalizzazione come la mettiamo?  Più ci si sente “particolari” più ci si sente cittadini del mondo ma con una marcia in più, perché “glocali”.

            Non escludo, (anzi!) come scrive Villalta su MVe ripete D’Avolio in face book che ci si possa sentire friulani pur  senza conoscere il friulano. Il mio discorso è un altro. Sono partito da una affermazione non mia che l’identità può essere un valore aggiunto in un progetto di rilancio della Carnia, ho aggiunto la considerazione mia che la lingua può essere un elemento a favore di questa identità.

            Molti hanno ritenuto fosse un handicap per i figli il friulano e si è arrivati al paradosso dei genitori che parlano tra loro in friulano ma in italiano con i figli.

             Credo si debba ripartire anche da qui (certamente non solo da qui!). Penso che se nelle famiglie si riprendesse a parlare l’idioma dei singoli paesi, questo contribuirebbe a ricostruire l’identità dei paesi, che può essere il valore aggiunta per dare una nuova prospettiva ai paesi, e quindi alla Carnia come rete di paesi vivi con una loro identità.

domenica 3 gennaio 2021



 

Identità Carnica.

Una bella presentazione fotografica di Tolmezzo 
di Antonio Zuccon con un mio commento.

            Si sente dire che l’identità dovrebbe costituire un valore aggiunto per facilitare la ripartenza dopo la tempesta di Coronavirus. Una tempesta  che si è abbattuta su una Carnia già in crisi, come la tempesta Vaia sulle abetaie già infettate  dal bostrico. Ma cosa sarebbe poi questa identità? Si può veramente parlare di una identità carnica da assumere come valore nel quale affondare le radici della ripresa?

            Credo di si, e, per quel che può valere il mio parere, ritengo si fondi su due elementi la diglossia e il paese. Ora che va di moda parlare di bilinguismo io, (solitamente in controtendenza) preferisco il termine diglossia. Per diglossia si intende la compresenza nel bambino di due  codici linguistici (così dicono gli esperti), di cui uno, il dialetto, considerato inferiore all’altro. Per bilinguismo invece si intende l’utilizzo di due lingue di pari livello. Da qui le tante iniziative dei fatte dai friulanisti, in questi anni per elevare il dialetto a rango di lingua. A mio modesto avviso invece  l’operazione doveva essere l’opposto: considerare il codice linguistico friulano superiore all’italiano. In Carnia (come in Friuli) non si imparano e si conoscono di base due lingue, ma al contrario si succhia dalle parole della madre, come dal latte materno, un modo di esprimersi che è anche un modo di sentire. Più avanti si imparerà a tradurre questo modo di esprimersi in una lingua: l’italiano, con tanto di grammatica e di sintassi. Quella della madre,  è istintiva naturale. E’ sentimento. Quella che si impara è un’altra cosa. Sta alla prima come la prosa sta alla poesia E’ una parafrasi, che può spiegare ma non far sentire il brivido della poesia. Per dirne una, l’operazione dei friulanisti che si sono inventati il passato remoto, invece che spiegarsi perché il friulano si fermi al passato prossimo, mi pare una parafrasi mal riuscita.

            Questo codice di comunicazione, proprio per la sua radicale diversità da quello che si imparerà per colloquiare al di fuori del paese, è l’elemento fondante della identità di paese. Tra codice linguistico e paese si crea il circolo virtuoso della identità di paese,  che deve diventare il punto dove poggiare la leva per risollevare e rilanciare l’identità di paese, come la trama sulla quale intrecciare i valori della socialità, della prossimità, del fare di un paese una comunità.

            Per questo ritengo fondamentale che in una nuova  programmazione dell’attività scolastica vengano individuati dei momenti da vivere in paese, con la gente del paese, usando i termini in uso solo in quel paese, le inflessioni della lingua materna che si è storicamente affermata in quel paese ed è sempre diversa da quella dei paesi vicini. Anche formati a questo  modo (o proprio per questo!) ai nostri ragazzi riuscirà facile  leggere, per intuizione, i poeti e gli scrittori  carnici e friulani che giustamente non hanno scritto in “koinè” ma con i codici linguistici materni dei loro paesi.  Ma su questo intreccio di paesi che rivivono nella loro identità, attorno ai loro campanili senza peccare in campanilismo, valorizzando le individualità senza peccare in individualismo, sarà possibile ricostruire anche l’identità del popolo carnico e friulano e farne appunto il valore aggiunto per la ripresa.