domenica 16 giugno 2019

Campi estivi in Carnia.


Dalla rivista IN CARNIA maggio 2019 edita da Andrea Moro.          
                     Molti degli alpini che hanno fatto la naja nelle caserme della Carnia potrebbero dire di conoscere le montagne carniche e la Carnia meglio di tanti carnici. L’hanno conosciuta infatti “dal di dentro” nell’esperienza dei “campi”, percorrendo le impervie mulattiere che l’attraversano..  Non facili e sempre faticosi i campi estivi. A volte terribili quelli invernali. Credo che il ritorno a Tolmezzo per il Raduno Triveneto del 14-16 giugno, possa dare a molti l’input  per ripensare a quei giorni, a rivivere quell'esperienza e quindi a mettere in programma dei ritorni sull’onda del richiamo della nostalgia.
             Non perché la mia vicenda abbia qualcosa di particolare, ma proprio perché è solo “una delle tante”, immagino possa servire come mappa mentale e stimolo ad altri a ripensare alla propria esperienza, e a mettere in programma il ritorno da turisti.
            Per questo voglio raccontare il mio campo estivo nel 1967. Alpino semplice non idoneo al grado di caporale Btg Tolmezzo 114 compagnia mortai, specialista al tiro. “Siam partiti..”, come dice la canzone, a giugno e ci siamo fatti quindici giorni imboscati in una poetica abetaia a Sella Nevea. Per passatempo: una scarpinata quotidiana ai piani del Montasio per giocare a  sparare con i mortai da  120 ai bersagli collocati sui ghiaioni. Suggestiva la prova notturna!. Trasferimento quindi per quindici giorni di “campo base” a Collina. Nella faggeta di Plan di Val di Bos a verificare quanto sia vera la leggenda che il muoversi degli alpini porta la pioggia in Carnia. In verità in quindici mesi di naja, da qualsiasi parte siano arrivati, tutti i militari hanno scoperto che in Carnia, per la pioggia, non c’è bisogno di dar la colpa agli alpini!. Piove ad ogni piè sospinto!. Ma come in quei quindici giorni, anche a me che sono carnico,  pareva non avesse ami piovuto! Con i teli tenda che facevano acqua da tutte le parti, nel fango tra una tenda e l’altra! Il campo base serve come allenamento  per il campo mobile. Per questo era in programma ogni giorno una sgambata fino al Rifugio  Marinelli, per piazzare i mortai alla Malga “La Plotta”. Non si sa mai che si debba tornare a difendere il passo di Monte Croce Carnico!..
            Sconfitti gli  Austriaci e fatti i muscoli eliminando l’acido lattico, si parte. Ma i mortai da 120 nella guerra alpina sono portati dai muli, quindi la compagnia mortai deve condividere le gite di trasferimento con una compagnia conducenti. Si scopre così il vantaggio della coda di queste brave bestie quando ti manca il fiato in salita, compensata però dalla fatica a frenare i carichi sui basti, in discesa. 
Prima tappa Sappada e poi l’affasciante traversata del passo Siera. Bella d’estate un po’ meno d’inverno. Tant’è che facendola ora ci si imbatte nella lapide a ricordo di Ettore Detorre l’Artigliere alpino morto nel campo invernale dello anno successivo 1967.
. Splendidi gli altipiani di Casera Razzo. Un po’ meno splendida, per non dire illogica, l’idea di portare un mortaio sulla cima dei monti Brentoni."Un arma a tiro curvo, come il mortaio, non si piazza in cima salle montagne. Ma sono idee di uno non idoneo al grado di caporale. E il servizio militare serviva anche a insegnare che a volte si deve ubbidire "a prescindere".
S. Francesco in Canal di Cuna nel quadro di Silva Florit
                 Piove a dirotto mentre si attraversa il passo Rest, così il l capitano suggerisce di togliersi la giacca a vento, per averla asciutta all’arrivo. E dire che avrebbe dovuto essere impermeabile! Piove a Tramonti, al punto che quei bravi paesani ci offrono di dormire nei fienili, evitando di montare le tende. “Per l’amor di Dio senza fumare!” Da lì fino a S.Francesco per la suggestiva attraversata del Canale di Cuna, facendo all’inverso il percorso che nella prima guerra mondiale consentì a molti alpini del Generale Rocca, in ritirata dopo Caporetto, di sfuggire alla morsa degli Austroungarici, evitando la battaglia di Pradis che invece costò la vita a molti alpini.
            Un’ultima sgroppata e si scende finalmente ad Alesso a vedere il lago di Cavazzo. Con un’ultima passeggiata si raggiunge la Caserma di Venzone, sede a quei tempi del Btg. Tolmezzo, ad apprezzare finalmente la branda. “Meglio d’un materasso a molle!”
            Per tutte le imprecazioni con le quali avevo accompagnato le marce quotidiane, pensavo che non avrei mai rivisto quei percorsi. Invece li ho ripetuti più volte da civile, ed è stata sempre una esperienza interessante, come sono le gite nelle quali ti porti al seguito la suggestione dei ricordi. Per questo mi pare di poter consigliare ad altri di rifarsi da borghesi le esperienze che si sono fatte, magari imprecando,  da militari. Sarà un modo per ritrovare il fascino della Carnia (possibilmente non in giorni di pioggia!) filtrato attraverso il ricordo di quei giorni, nella nostalgia della propria giovinezza, quando erano “nostri i silenzi e le cime” e si poteva dire con convinzione: “Mai daùr”.
            Credo che l’esperienza dei campi in montagna sia uno degli elementi che ha reso originale il servizio militare con le truppe alpine. Una originalità d’un vissuto e d’un sentire che fa dei raduni alpini un incontro tra vecchi amici. E’ stata anche la condivisione di queste esperienze, in giro per la Carnia, che ha costruito la “fraternità” che caratterizza il rapporto tra quanti, alpini o artiglieri alpini, hanno avuto l’opportunità di portare la penna sul cappello  e, per questo, hanno voluto ritrovarsi a Tolmezzo  per il Raduno del Triveneto.