Dalla rivista IN CARNIA maggio 2019 edita da Andrea Moro.
Molti degli
alpini che hanno fatto la naja nelle caserme della Carnia potrebbero dire di
conoscere le montagne carniche e la Carnia meglio di tanti carnici. L’hanno
conosciuta infatti “dal di dentro” nell’esperienza dei “campi”, percorrendo le
impervie mulattiere che l’attraversano.. Non facili e sempre faticosi i campi estivi. A
volte terribili quelli invernali. Credo che il ritorno a Tolmezzo per il Raduno
Triveneto del 14-16 giugno, possa dare a molti l’input per ripensare a quei giorni, a rivivere quell'esperienza
e quindi a mettere in programma dei ritorni sull’onda del richiamo della
nostalgia.
Non perché la mia vicenda abbia qualcosa di
particolare, ma proprio perché è solo “una delle tante”, immagino possa servire
come mappa mentale e stimolo ad altri a ripensare alla propria esperienza, e a
mettere in programma il ritorno da turisti.
Per questo
voglio raccontare il mio campo estivo nel 1967. Alpino semplice non idoneo al
grado di caporale Btg Tolmezzo 114 compagnia mortai, specialista al tiro. “Siam
partiti..”, come dice la canzone, a giugno e ci siamo fatti quindici giorni
imboscati in una poetica abetaia a Sella Nevea. Per passatempo: una scarpinata
quotidiana ai piani del Montasio per giocare a
sparare con i mortai da 120 ai
bersagli collocati sui ghiaioni. Suggestiva la prova notturna!. Trasferimento
quindi per quindici giorni di “campo base” a Collina. Nella faggeta di Plan di Val
di Bos a verificare quanto sia vera la leggenda che il muoversi degli alpini
porta la pioggia in Carnia. In verità in quindici mesi di naja, da qualsiasi
parte siano arrivati, tutti i militari hanno scoperto che in Carnia, per la
pioggia, non c’è bisogno di dar la colpa agli alpini!. Piove ad ogni piè
sospinto!. Ma come in quei quindici giorni, anche a me che sono carnico, pareva non avesse ami piovuto! Con i teli
tenda che facevano acqua da tutte le parti, nel fango tra una tenda e l’altra! Il
campo base serve come allenamento per il
campo mobile. Per questo era in programma ogni giorno una sgambata fino al Rifugio
Marinelli, per piazzare i mortai alla
Malga “La Plotta”. Non si sa mai che si debba tornare a difendere il passo di
Monte Croce Carnico!..
Sconfitti
gli Austriaci e fatti i muscoli
eliminando l’acido lattico, si parte. Ma i mortai da 120 nella guerra alpina
sono portati dai muli, quindi la compagnia mortai deve condividere le gite di
trasferimento con una compagnia conducenti. Si scopre così il vantaggio della
coda di queste brave bestie quando ti manca il fiato in salita, compensata però
dalla fatica a frenare i carichi sui basti, in discesa.
Prima tappa Sappada e
poi l’affasciante traversata del passo Siera. Bella d’estate un po’ meno
d’inverno. Tant’è che facendola ora ci si imbatte nella lapide a ricordo di
Ettore Detorre l’Artigliere alpino morto nel campo invernale dello anno
successivo 1967.
. Splendidi gli altipiani di Casera Razzo. Un po’ meno splendida,
per non dire illogica, l’idea di portare un mortaio sulla cima dei monti Brentoni."Un arma a tiro curvo, come il mortaio, non si piazza in cima salle montagne. Ma sono idee di uno non idoneo al grado di caporale. E il servizio militare serviva anche a insegnare che a volte si deve ubbidire "a prescindere".
S. Francesco in Canal di Cuna nel quadro di Silva Florit |
Piove a dirotto mentre si attraversa il passo Rest, così il l capitano suggerisce di togliersi la giacca
a vento, per averla asciutta all’arrivo. E dire che avrebbe dovuto essere
impermeabile! Piove a Tramonti, al punto che quei bravi paesani ci offrono di
dormire nei fienili, evitando di montare le tende. “Per l’amor di Dio senza
fumare!” Da lì fino a S.Francesco per la suggestiva attraversata del Canale di
Cuna, facendo all’inverso il percorso che nella prima guerra mondiale consentì
a molti alpini del Generale Rocca, in ritirata dopo Caporetto, di sfuggire alla
morsa degli Austroungarici, evitando la battaglia di Pradis che invece costò la
vita a molti alpini.
Un’ultima
sgroppata e si scende finalmente ad Alesso a vedere il lago di Cavazzo. Con un’ultima
passeggiata si raggiunge la Caserma di Venzone, sede a quei tempi del Btg.
Tolmezzo, ad apprezzare finalmente la branda. “Meglio d’un materasso a molle!”
Per tutte le
imprecazioni con le quali avevo accompagnato le marce quotidiane, pensavo che
non avrei mai rivisto quei percorsi. Invece li ho ripetuti più volte da civile,
ed è stata sempre una esperienza interessante, come sono le gite nelle quali ti
porti al seguito la suggestione dei ricordi. Per questo mi pare di poter
consigliare ad altri di rifarsi da borghesi le esperienze che si sono fatte,
magari imprecando, da militari. Sarà un
modo per ritrovare il fascino della Carnia (possibilmente non in giorni di
pioggia!) filtrato attraverso il ricordo di quei giorni, nella nostalgia della propria
giovinezza, quando erano “nostri i silenzi e le cime” e si poteva dire con
convinzione: “Mai daùr”.
Credo che l’esperienza
dei campi in montagna sia uno degli elementi che ha reso originale il servizio
militare con le truppe alpine. Una originalità d’un vissuto e d’un sentire che
fa dei raduni alpini un incontro tra vecchi amici. E’ stata anche la
condivisione di queste esperienze, in giro per la Carnia, che ha costruito la
“fraternità” che caratterizza il rapporto tra quanti, alpini o artiglieri
alpini, hanno avuto l’opportunità di portare la penna sul cappello e, per questo, hanno voluto ritrovarsi a
Tolmezzo per il Raduno del Triveneto.
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