venerdì 23 dicembre 2011

Ricordando Sergio Giatti.

E’ morto Sergio Giatti, già Sindaco di Villa Santina ai tempi del terremoto e per ben diciotto anni. Ci univa l’amicizia che è più vera quando nasce in momenti non facili. Era un uomo che sapeva travolgerti con la sua simpatia ed il suo entusiasmo. Se dovessi ricordarlo con una frase direi che era un Sindaco di “quelli di una volta”. Aveva quella che si chiamava “passione civile”, una pianta che si è estinta (salvo rare e fortunate eccezioni). Cosa intendo? Ora si amministra la cosa pubblica con la freddezza d’un ragioniere che gestisce una azienda. Giatti amministrava il suo Comune con la stessa passione con la quale seguiva la sua famiglia. Non è differenza da poco! Per la famiglia ci metti passione, entusiasmo, fai dei sogni, immagini un futuro, gioisci e soffri. Per un azienda badi all’equilibrio di bilancio ed all’attività che giustifica la sopravvivenza dell’azienda. E la tua, nel periodo nel quale l’azienda ti è affidata. Di Giatti mi resta il ricordo e l’esempio d’un Sindaco con una grande sentita e sofferta “passione civile”.

lunedì 19 dicembre 2011

La Carnia di Guido Della Schiava.

E’in edicola la nuova fatica letteraria di Guido della Schiava. Dopo l’originale e piacevole “Onorevole Pescivendolo” simpatica e curiosa presa in giro di personaggi locali, Guido fa un salto di qualità nell’impegno e negli obiettivi che si assume, e pubblica ora il frutto di una non facile ricerca, condotta con meticolosità, volta a ricostruire alcuni momenti significativi della storia del suo paese, Lovea di Arta Terme. Già nella copertina si anticipa in una sintesi molto efficace il contenuto. Carnia, dalle storie ignorate al mito del cavallino rampante è il titolo. Da un lato quindi l’obiettivo di fissare sulla carta le storie dei paesi per evitare che vadano dimenticate, ora che s’è persa la tradizione e quindi il piacere del raccontare. Dall’altro la volontà di mettere in evidenza i momenti nei quali la grande storia si incrocia con la piccola storia. E infatti un sottotitolo a margine riassume in una sorta di indice i temi trattati: le guerre, i disastri aerei, Francesco Baracca, Benito Mussolini, la gente comune, il logo Ferrari. Un mix che può far pensare ad un guazzabuglio di fatti accostati a caso e che invece costituisce la vera originalità del libro. Guido cerca di cogliere il riflesso che hanno lasciato nella storia locale i personaggi della grande storia, per far sì che da questo riflesso tragga importanza anche quello che è soltanto il quotidiano d’un piccolo paese. Punta la sua attenzione sui momenti della guerra, perché è quella la circostanza nella quale l’uomo al di là del rango, delle origini, della ricchezza, si trova a misurarsi con la morte, in una discriminante assolutamente individuale tra vigliaccheria ed eroismo. Carnia e non Lovea è giustamente il titolo del libro perché la storia d’uno dei paesi diventa emblematica della storia del territorio, e la storia del paese alle falde del Sernio, nella ricostruzione di Guido, si incrocia e si fonde con quella della Carnia. Centrale nel libro la figura di Francesco Baracca, eroe nazionale dell’aviazione. Una figura che viene ricostruita in tutta la sua Francesco Baracca ricorda come una delle sue “belle vittorie” l’abbattimento di un d’un aereo, finito nel Selet di Lovea. Ma il Selet è oggi un intrico di liane che copre i prati abbandonati, regno dell’edera, che si insinua nel muro degli stavoli. La storia di Baracca così si insinua nella storia dei luoghi, delle donne che si recavano ogni giorno ad accudire le bestie, dei prati che venivano falciati dei campi coltivati con grandi fatiche, in una parola, d’una Carnia che non c’è più. E come impigliate nel ricordo del grande aviatore, tornano a galla le storie della gente comune, o quella di Pra Rinaldo, il prete Archimede, le immagini della prima guerra mondiale, negli stralci dei diari dei preti del tempo, e quelle della seconda, con l’aereo che si schianta sul Sernio, ma anche le figure del Pastòr di Cuc e di Fulvia uccisi dai partigiani. E l’aereo abbattuto da Baracca nella prima guerra mondiale riporta, come fosse un eco, al rumore di quello che si è schiantato contro il Sernio nella seconda guerra mondiale, recuperato e trasformato in tanti arnesi di uso comune, dai bravi artigiani di Lovea. O all’episodio di fine guerra, con la scena dei paracadute che piovono sulla campagna del paese e con il bombardiere americano che si schianta tra gli stavoli del paese. La povera donna intenta alla mungitura “aprì a stento la porta e si affacciò all’uscio: di fronte, a pochi metri dall’ingresso della stalla, c’era la punta dell’enorme ala del bombardiere che quasi poteva toccare allungando il braccio” Momenti di spavento e di paura, ma anche occasione per dimostrare la l’umanità d’un paese che rischia cercando di nascondere gli aviatori perché non vengano trovati dai cosacchi, con Pra Rinaldo che non fa in tempo a vestire d’una sua tonaca uno dei malcapitati cercando di farlo passare per prete.. Come nel racconto così anche nella interessante documentazione fotografica, le immagini di rilievo nazionale si mescolano a quelle locali. Fianco a fianco, solo per fare un esempio, si trova Baracca che posa nel Salèt accanto all’aereo abbattuto e la prima squadra di calcio del paese di Lovea che giocava nel campo di calcio realizzato nei pressi del punto ove era finito l’aereo. Ma poi, come s’è detto, da Lovea l’obiettivo si apre sulla Carnia. Così Carducci che racconta della sua gita fino a Paularo, diventa una guida per riscoprire le bellezze della Val Chiarsò. Mentre Benito Mussolini soldato in Carnia nella prima guerra mondiale diventa una guida per conoscere la Carnia dei torrenti che “urlano tra le gole dei monti” e “intanto ad Illegio arriva il re” a controllare assieme a Cadorna i lavori della nuova strada per Lunze. Ma su tutti i racconti pare aleggi insistente ancora l’ombra di Francesco Baracca che volteggia nella val Chiarsò ed abbatte il suo quarto aereo. Che invece sarebbe il quinto. E “secondo il rituale bellico-cavalleresco del tempo la quinta vittima consentiva al pilota da caccia di assumere la qualifica di asso, ed era usanza che, a ricordo dell’avvenimento venisse adottata come insegna quella dell’ultimo nemico abbattuto. Era il cavallino rampante insegna della città di Stoccarda, che così divenne insegna dell’aereo di Baracca e che poi i genitori dell’eroe affidarono ad Enzo Ferrari. Un piccolo paese Lovea, ma anche altri piccoli paesi sono diventati famosi perché vi si sono svolti fatti importanti. Qui potrebbe aver avuto origine il mito del cavallo rampante della Ferrari. Guido ci crede. E s’immagina già il pellegrinaggio di tanti fans della Ferrari, a vedere il posto dove è nato il mito…Perché no?...

venerdì 16 dicembre 2011

Nuova gestione alla mensa comunale!

Finalmente c’è un cambio di gestione alla mensa comunale! Si rincorre la notizia negli ambienti solitamente bene informati, con quel “finalmente” che mi pare profondamente ingiusto per la memoria del precedente gestore Toni Job. Se poi il finalmente lo si ritrova sulla bocca di qualcuno che passava per suo amico, non si può non riflettere su quanto sia squallida la realtà sociale che stiamo vivendo…
Finalmente perché? Se è vero come è vero che per quaranta anni Toni è riuscito a fare della mensa uno dei più qualificati servizi di Tolmezzo, in un rapporto eccezionale di qualità e prezzo? Finalmente perché se con la sua esperienza è riuscito a far decollare la mensa della zona industriale di Amaro, togliendola da una situazione critica e rilanciandola come qualificato servizio per la zona industriale di Amaro?
Finalmente perché se anche i suoi eredi nella gara che li ha visti soccombenti hanno perso malgrado avessero offerto un prezzo per gli studenti, inferiore di cinquanta centesimi, con una migliore varietà dei menù. Finalmente perché? Se non sono ricorsi al trucco di offrire delle migliorie, caricandole poi sul costo del pranzo degli studenti della Carnia. Memori in questo dell’insegnamento di Toni, per il quale il gestore doveva guardare prima di tutto alla qualità del servizio percepita dagli utilizzatori. Per il rinnovo dell’arredo il Comune può ben ricorrere ad altri finanziamenti….
In tutto questo rincorrersi di finalmente c’è un dato certo, che gli studenti dal primo gennaio si ritrovano la sorpresa del costo del pasto che passa da 4,70 a 6.00 euro con un aumento quindi del 27%. Anche su questo possiamo dire: finalmente? Ma alla mensa comunale ricorrono solo gli studenti delle Frazioni e quelli dei paesi della Carnia, quindi al Consiglio Comunale di Tolmezzo la cosa può anche non interessare, come pare non interessi!!!...
Con buona pace di Toni Iob, nel cui ricordo, per l’amicizia e la reciproca stima che ci legava, e perché non vadano così presto dimenticati i meriti di chi pur facendo giustamente anche gli interessi della propria impresa, ha saputo tuttavia fare anche gli interessi della comunità, e dare del suo alla comunità del suo paese, ho sentito il dovere morale di farmi questo appunto. A futura memoria, visto che il passato di dimentica così finalmente!...

sabato 10 dicembre 2011

L’assedio della Carnia.

L’assedio della Carnia.: Una rilettura della storia della Resistenza in Carnia dalla quale nasce una serie di domande che mette in discussione la

domenica 4 dicembre 2011

Vivistolvizza, un modello per la montagna.



Cena alla Baita Alpina di Stolvizza, organizzata dall’Associazione “Aglio di Resia”, per valorizzare la gastronomia a base di aglio. In una sera di pioggia e di nebbia, scendi dall’auto con l’impressione d’essere finalmente arrivato all’ultima stazione prima della fine del mondo. Ma nella valle vive un cuoco allievo di Gianni Cosetti e persino di Gualtiero Marchesi. E quindi i piatti hanno una raffinatezza proprio da fine del mondo... Il discorso a tavola non può che finire sul tema dello spopolamento della montagna. Stolvizza ha soli cento abitanti, ma poco più in là a Coritis, quando finalmente è arrivata la strada, paradossalmente il paese si è svuotato. E’ ora solo un paese per fantasmi. Rimbalzano tra i commensali le solite lamentazioni. “La vita in montagna è sempre più difficile”. Ma tra una lamentela e l’altra, emerge il quadro di un piccolo paese, con un grande fermento di vita che si materializza nell’associazione “Vivistolvizza”. In cento si sono inventati l’idea originale d’un cavo di teleferica che per la notte di Natale viene riciclato a filo portante d’una grande stella illuminata che scende dalla montagna, su un originale presepe vivente partecipato dagli abitanti. E tutto il piccolo paese per le feste diventa una mostra di presepi, in una gara tra gli abitanti a chi lo fa più bello ed originale. Ma, se non bastasse, il piccolo paese ha saputo allestire anche il museo dell’arrotino, a ricordo dei tempi nei quali il piccolo borgo si era caratterizzato per un proprio movimento di “cramàrs” specializzati nell’arte di fare il filo ai coltelli ed alle forbici. C’è poi in tutta la valle il fermento per il quale siamo finiti lì a mangiare: tutti i paesi in competizione a chi riesce a coltivare meglio l’aglio, recuperando una tradizione che ha fatto famoso appunto l’aglio di Resia.
E malgrado tutto questo fermento di vita, fra una portata e l’altra, tutti giù a parlare della fine della montagna, perché la gente frana in pianura!...
Al rientro mi sono trovato a pensare che forse abbiamo sbagliato tutto. E’ da pazzi pensare di arrestare una frana. Meglio lasciare che trascini il bosco ed attendere che si assesti. Si deve intervenire dopo per ripiantare il bosco sulla nuova situazione che si è venuta a creare. Fuor di metafora, non ha senso cercare di tenere la gente in montagna, meglio lasciare che se ne vada e lavorare perché ne venga di nuova, attratta dal modello di vita di Stolvizza.
In città, nelle grandi ma anche in una piccola come Tolmezzo, tra abitanti della stessa via, neppure ci si conosce ed è già tanto se ci saluta. Finito il lavoro ognuno si ritira nel loculo del suo appartamento (se di villa trattasi la sostanza non cambia!). I pensionati, che hanno perso anche il momento socializzante del lavoro, vi passano l’intera giornata davanti alla televisione in attesa del loculo già prenotato nel camposanto. A Stolvizza, finita la necessità del lavoro, si comincia il “vivistolvizza”, e si passa al lavoro come integrazione del reddito, vissuto come una sorta di hobby produttivo.
Eppure c’è ancora chi sostiene che la vita nei loculi, davanti alla televisione sia migliore!
Bisogna ripartire da una azione di marketing per vendere “il vivistolvizza” come valore aggiunto per la qualità della vita…. Però, è vero, ci sono anche tanti disagi… Le scuole che chiudono, una generale mancanza di servizi e quindi una maggiore difficoltà a conciliare lavoro ed educazione dei figli…Ma è su questo versante che si sono commessi gli errori maggiori: s’è voluto portare in montagna il modello della pianura, senza capire che la montagna è diversa! Per questo erano nate le Comunità Montane: enti peculiari della montagna per dare le risposte peculiari di cui la montagna ha bisogno. Ma ora le stanno chiudendo!
E allora (sarà stato per colpa dell’aglio?) sono finito per sognare un diverso “vivistolvizza” come diverso “vivimontagna”, da proporre per favorire il reimpianto della gente in montagna, ora che la frana dello spopolamento sta assestandosi. Nel sogno a Stolvizza sono arrivate nuove coppie che hanno preferito vivere in una realtà nella quale tutte le case sono diverse, invece che in loculi tutti uguali, in un ambiente nel quale si ammirano le albe ed i tramonti nello scenario sempre diverso delle montagne. Non c’è l’asilo nido ma il Comune ha finanziato l’avvio dell’esperienza delle Tagesmutter, e c’è quindi qualcuno che accudisce i bambini in paese. Quando poi crescono, sia per la scuola materna che per quella elementare, c’è un assistente all’infanzia che con lo scuolabus passa per i paesi raccoglie i bambini, li porta a scuola, pensa al loro pranzo, ed alla sera li riporta a casa. I bambini frequentano necessariamente della pluriclassi, ma queste sono collegate in un progetto di teledidattica con le scuole di città, in uno scambio della diversità d’esperienze che serve sia agli uni che agli altri. La maggiore disponibilità di stimoli ambientali fa sì che nella scuola della Val Resia i risultati per gli alunni siano migliori rispetto a quelli della città. Ma anche i genitori sono venuti ad abitare quassù, perché operano in telelavoro. La Regione ha fatto un investimento intelligente, portando la banda larga fino a Coritis, e si può lavorare da casa (è purtroppo solo un sogno!).
Per la città il telelavoro sarebbe un disastro, costringerebbe la gente a rinunciare al momento di socializzazione favorito dall’ambiente di lavoro, ed a richiudersi nel loculo a tempo pieno. Ma a Stolvizza il momento socializzante è quello del dopo lavoro, quando si comincia a vivere il paese con il “vivistolvizza”. Nel lavoro ci si può quindi isolare in casa davanti al computer, per concentrarsi meglio e produrre di più. Per socializzare c’è anche il lavoro della coltivazione dell’aglio, a gara per stabilire come meglio si coltiva come si deve essiccare, come si deve vendere per ottenere il risultato economico migliore. Il Comune di Resia ha già fatto una cosa molto intelligente, trasformando l’acqua, la risorsa peculiare della montagna, in risorsa finanziaria, ed ora le entrate aggiuntive vengono impegnate per migliorare la qualità della vita migliorando i servizi. Si è quindi attivata, oltre a quelli per i bambini, una serie di servizi di prossimità che rendono invidiabile la qualità della vita a Stolvizza. Così si richiama e si invoglia a venire nuova gente, e persino Coritis torna ad essere abitato..
E’ stato solo un sogno, per colpa dell’aglio, o può essere questo “modello Stolvizza” il modello per ripiantare la gente nella montagna friulana?