lunedì 19 dicembre 2011

La Carnia di Guido Della Schiava.

E’in edicola la nuova fatica letteraria di Guido della Schiava. Dopo l’originale e piacevole “Onorevole Pescivendolo” simpatica e curiosa presa in giro di personaggi locali, Guido fa un salto di qualità nell’impegno e negli obiettivi che si assume, e pubblica ora il frutto di una non facile ricerca, condotta con meticolosità, volta a ricostruire alcuni momenti significativi della storia del suo paese, Lovea di Arta Terme. Già nella copertina si anticipa in una sintesi molto efficace il contenuto. Carnia, dalle storie ignorate al mito del cavallino rampante è il titolo. Da un lato quindi l’obiettivo di fissare sulla carta le storie dei paesi per evitare che vadano dimenticate, ora che s’è persa la tradizione e quindi il piacere del raccontare. Dall’altro la volontà di mettere in evidenza i momenti nei quali la grande storia si incrocia con la piccola storia. E infatti un sottotitolo a margine riassume in una sorta di indice i temi trattati: le guerre, i disastri aerei, Francesco Baracca, Benito Mussolini, la gente comune, il logo Ferrari. Un mix che può far pensare ad un guazzabuglio di fatti accostati a caso e che invece costituisce la vera originalità del libro. Guido cerca di cogliere il riflesso che hanno lasciato nella storia locale i personaggi della grande storia, per far sì che da questo riflesso tragga importanza anche quello che è soltanto il quotidiano d’un piccolo paese. Punta la sua attenzione sui momenti della guerra, perché è quella la circostanza nella quale l’uomo al di là del rango, delle origini, della ricchezza, si trova a misurarsi con la morte, in una discriminante assolutamente individuale tra vigliaccheria ed eroismo. Carnia e non Lovea è giustamente il titolo del libro perché la storia d’uno dei paesi diventa emblematica della storia del territorio, e la storia del paese alle falde del Sernio, nella ricostruzione di Guido, si incrocia e si fonde con quella della Carnia. Centrale nel libro la figura di Francesco Baracca, eroe nazionale dell’aviazione. Una figura che viene ricostruita in tutta la sua Francesco Baracca ricorda come una delle sue “belle vittorie” l’abbattimento di un d’un aereo, finito nel Selet di Lovea. Ma il Selet è oggi un intrico di liane che copre i prati abbandonati, regno dell’edera, che si insinua nel muro degli stavoli. La storia di Baracca così si insinua nella storia dei luoghi, delle donne che si recavano ogni giorno ad accudire le bestie, dei prati che venivano falciati dei campi coltivati con grandi fatiche, in una parola, d’una Carnia che non c’è più. E come impigliate nel ricordo del grande aviatore, tornano a galla le storie della gente comune, o quella di Pra Rinaldo, il prete Archimede, le immagini della prima guerra mondiale, negli stralci dei diari dei preti del tempo, e quelle della seconda, con l’aereo che si schianta sul Sernio, ma anche le figure del Pastòr di Cuc e di Fulvia uccisi dai partigiani. E l’aereo abbattuto da Baracca nella prima guerra mondiale riporta, come fosse un eco, al rumore di quello che si è schiantato contro il Sernio nella seconda guerra mondiale, recuperato e trasformato in tanti arnesi di uso comune, dai bravi artigiani di Lovea. O all’episodio di fine guerra, con la scena dei paracadute che piovono sulla campagna del paese e con il bombardiere americano che si schianta tra gli stavoli del paese. La povera donna intenta alla mungitura “aprì a stento la porta e si affacciò all’uscio: di fronte, a pochi metri dall’ingresso della stalla, c’era la punta dell’enorme ala del bombardiere che quasi poteva toccare allungando il braccio” Momenti di spavento e di paura, ma anche occasione per dimostrare la l’umanità d’un paese che rischia cercando di nascondere gli aviatori perché non vengano trovati dai cosacchi, con Pra Rinaldo che non fa in tempo a vestire d’una sua tonaca uno dei malcapitati cercando di farlo passare per prete.. Come nel racconto così anche nella interessante documentazione fotografica, le immagini di rilievo nazionale si mescolano a quelle locali. Fianco a fianco, solo per fare un esempio, si trova Baracca che posa nel Salèt accanto all’aereo abbattuto e la prima squadra di calcio del paese di Lovea che giocava nel campo di calcio realizzato nei pressi del punto ove era finito l’aereo. Ma poi, come s’è detto, da Lovea l’obiettivo si apre sulla Carnia. Così Carducci che racconta della sua gita fino a Paularo, diventa una guida per riscoprire le bellezze della Val Chiarsò. Mentre Benito Mussolini soldato in Carnia nella prima guerra mondiale diventa una guida per conoscere la Carnia dei torrenti che “urlano tra le gole dei monti” e “intanto ad Illegio arriva il re” a controllare assieme a Cadorna i lavori della nuova strada per Lunze. Ma su tutti i racconti pare aleggi insistente ancora l’ombra di Francesco Baracca che volteggia nella val Chiarsò ed abbatte il suo quarto aereo. Che invece sarebbe il quinto. E “secondo il rituale bellico-cavalleresco del tempo la quinta vittima consentiva al pilota da caccia di assumere la qualifica di asso, ed era usanza che, a ricordo dell’avvenimento venisse adottata come insegna quella dell’ultimo nemico abbattuto. Era il cavallino rampante insegna della città di Stoccarda, che così divenne insegna dell’aereo di Baracca e che poi i genitori dell’eroe affidarono ad Enzo Ferrari. Un piccolo paese Lovea, ma anche altri piccoli paesi sono diventati famosi perché vi si sono svolti fatti importanti. Qui potrebbe aver avuto origine il mito del cavallo rampante della Ferrari. Guido ci crede. E s’immagina già il pellegrinaggio di tanti fans della Ferrari, a vedere il posto dove è nato il mito…Perché no?...

1 commento:

Anonimo ha detto...

Lo scrittore Riferendosi al cavallino rampante di Francesco Baracca riporta che tale cavallino fu preso dallo stesso come proprio simolo di battaglia dopo aver abbattuto un aereo nemico il cui equipaggio provenicva da Stoccarda. A me risulta che l'allora capitano Baracca ufficiale di cavalleria del reggimento Piemonte Reale Cavalleria(2°)volle fregiarsi del cavallino sulla propria fusoliera prendendo spunto dallo stesso stemma araldico del reggimento di cavalleria di provenienza , appunto i dragoni di Piemonte,di cui lui fece parte prima di diventare maggiore della neonata aviazione militare proprio per indicare la sua arma di provenienza di cui era molto fiero. Lo stemma riporta il cavallino rampante con la scritta "Venustus et Audax" traduzione: bBello e Audace, motto dello stesso reggimento ancora in attività e inquadrato nella Brigata di Cavalleria "Pozzuolo del Friuli" attualmente di stanza a Villa Opicina in prov. di Trieste e li si potrà vedere e ancora trovare lo stemma di cui si fa riferimento. Firmato un Ufficiale di Piemonte in congedo.