Rinnovo il ringraziamento ai prof. Zannini e
D'Avolio per aver accettato di partecipare ieri sera alla presentazione del mio libro “L’Assedio
della Carnia” pur non condividendone i contenuti. Mi scuso per il fatto che l’andamento
della discussione non mi ha consentito di rispondere puntualmente alle loro
critiche. Lo faccio ora, nell’intento di continuare ed allargare il dibattito
on line sul tema della storia della Resistenza in Carnia.
L’ho ripetuto più
volte nella presentazione, non mi ritengo uno storico e il mio libro non ha la
pretesa d’essere storico. Da insegnante di storia ho cercato di fare un libro
di divulgazione, attingendo a quel che si è detto in tanti libri e in tanti convegni,
ma pensando di avere come lettori la grande parte dei carnici che non ho mai
visto a questi convegni, e tanto meno a leggerne gli atti. Come fa un insegnante
di storia mi sono letto dei libri sull’argomento (non tutti per carità!), mi
sono fatto una mia idea, l’ho tradotta in appunti che penso di presentare ad
una ipotetica classe di carnici. So che all’Università spesso le tesi di laurea
si misurano sulla corposità della bibliografia, la mia invece è solo l’elenco
dei libri che ho letto. Non posso non tener presente che nella ipotetica classe quello che
gli alunni sanno dei Partigiani non è ciò che si dice nei convegni, ma ciò che
hanno visto se anziani, ciò che hanno sentito raccontare da genitori o nonni, se
giovani. Pensare che la verità sia quella dei convegni e ciò che si è
tramandato la gente sia falso è quantomeno ingeneroso verso i carnici. E’ da
ingenui cercare la verità, e pensare che sia quella della gente. Ma l’accusa d’ingenuo
in questo caso me la prendo come titolo onorifico. Da laico comunque penso che
la verità possa stare in mezzo!
Provi l’ANPI a sponsorizzare
una tesi di laurea come inchiesta su ciò che si dice in Carnia, da paese a
paese, sui partigiani, e forse non ci si stupirà quando riporto dei giudizi
negativi o addirittura l’affermazione
non mia che “è stato meno difficile convivere con i cosacchi che con i
partigiani”. Se non credendo a quanto
dice una vecchia, si fa una inchiesta per sentire ciò che pensa la gente delle
borgate di Vinaio su Salvins, su Teresa Santellani, sui camarins, etc. etc.
qualcuno potrebbe finire per accusarmi
di essere stato troppo poco “ingenuo”.
Il prof. Zanini facendomi
rilevare le ovvietà di certi miei assunti mi ha invitato a leggere il libro che riporta gli atti dell’ultimo
convegno, gli ho risposto educatamente che lo conoscevo, avrei dovuto replicare
invitando lui alla lettura. Nell’intervento conclusivo Smuraglia presidente dell’ANPI nazionale
scrive: è indispensabile abbandonare ogni retorica ed ogni ritualità perché non
è più sufficiente far leva sul ricordo diretto o sul dolore ma bisogna riempire
ogni spazio con la riflessione e la conoscenza se vogliamo suscitare una reale
attenzione e desiderio di sapere…entrare nel cuore delle vicende di cui ci
occupiamo, cercando di ricostruire non solo gli atti, ma anche i pensieri, le
aspirazioni, le utopie dei protagonisti di allora. E’ ciò che ho cercato di
fare, cercando di metterci un po’ più di onestà intellettuale, di quella che si
è usata in questi anni.
Monica Emanuelli
nello stesso libro sintetizza l’attività della giunta provvisoria di Ampezzo,
in quindici giorni, dal 26 settembre al 10 ottobre, tre sedute, cinque
decreti fra cui uno sulla gestione del patrimonio boschivo ed uno sul
censimento delle giacenze alimentari da farsi entro novembre (mentre Tedeschi e
Cosacchi avevano già occupato la Val del Lago!). D’Avolio mi ha accusato di
aver esagerato usando l’ironia nello sminuire l’importanza della Repubblica di
Ampezzo. Ma se questi sono i dati, non è che invece ci si sia sprecati ad
enfatizzare in questi anni questo fatto, che Mario Lizzero (non io!) definisce
derivato dalla necessità di sostituire il CLN carnico “incapace di far fronte
ai giganteschi problemi presenti in una zona libera tanto vasta”?
Io non sono
storico ma il prof. Zannini sì, e se è vero che nomina sunt consequentia rerum,
nello stesso libro potrebbe leggere dall’intervento di Fulvio Salimbeni che non
è mai esistita una Repubblica Partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli.
Come è vero il
fatto delle donne carniche che raggiungevano il Friuli in cerca di viveri,
rivissuto nella canzone “La mari dai Cjargnèi” con la quale ho voluto chiudere
il libro. Mi si è opposto che i partigiani avevano dato vita all’organizzazione
Montes dei rifornimenti. Si è trascurato il fatto che questo organizzazione è
stata attivata alla fine di settembre ed è durata quindici giorni. Prima valeva
la teoria di Gracco per la quale i carnici affamati sarebbero stati più
disponibili alla rivoluzione.
Sugli scontri all’interno
del movimento, sulla mia ipotesi tutta da verificare, che anche in Carnia ci
sia stata una sorta di Porzùs strisciante, anche Zannini ammette che qualcuno
immaginava a fine guerra un confine al Tagliamento. Ma appunto la Carnia è al
di qua del Tagliamento. Volendo passare dalla cronaca alla storia, dal come al perché,
io credo si debba analizzare il perché di tante morti importanti da Arturo a
Mirko. Credo sia necessario passare dall’ottica della Carnia a quella per cui
la Carnia era una zona strategica, per capire come certe rappresaglie sono
diventate stragi. Ma sono solo opinioni!
Sono stato
accusato d’aver preso la parte degli attendisti. Di quelli che dicevano, attendiamo che arrivino a
salvarci gli americani. No, credo che se fossi vissuto al tempo, con il mio
carattere sarei stato tra i Partigiani, ma al Ponte di Noiaris a dare mano
forte ad Arturo che voleva obbligare i tedeschi a togliere dal quadro delle
loro vie di comunicazione la strada per Monte Croce, non tra quelli che hanno
tolto l’acqua e la luce ai cittadini di Tolmezzo, o a quelli che hanno ucciso
il pastore di Malga Cuc, con moglie e figlio, episodio da cui ha preso avvio il
mio romanzo “Il Partigiano Gianni”.
Il mio libro si
apre e chiude con la frase “al ère l’an dai puls e da fan”. Per la gente è
stato certamente questo. Per gli intellettuali è stata invece una “Estate di
Libertà”, avessero almeno aggiunto che si trattava della “quiete prima della
tempesta” che si sarebbe abbattuta con l’arrivo dei Cosacchi.
3 commenti:
Trascrivo il commento che un amico mi ha fatto privatamente, ribattendo all'affermazione che il mio libro non ha novità "è di cinquanta anni fa"...
Carissimo hai egregiamente sopportato l'assedio del popolo di sinistra cui tu stesso peraltro appartieni per questo sono stati benevoli con te...
Il professore professorale non mi est piaciuto. Sulla resistenza in Carnia mai est stato scritto un libro del genere, ok? Questo est il primo e delle altre migliaia (scritti in Italia, come dice lui) non interessa proprio a nessuno. Questo est il primo qui e tu sei stato coraggioso e anche temerario. Questo libro non est di 50 anni fa perché 50 anni fa nessuno avrebbe osato scrivere queste cose, altro che datato. Oggi est facile asserire questo perché il muro del mito resistenziale est crollato da alcuni anni. Se tu avessi osato scrivere queste cose 50 anni fa ti avrebbero lapidato in piazza...
Immagino la Resistenza in Carnia come un campo nel quale assieme al grano si è inserita tanta zizzania. Dobbiamo sforzarci di separare il grano dalla zizzania, se vogliamo che arrivi ad apprezzare il valore del grano, anche chi è stato costretto ad assaggiare solo il sapore della zizzania.
Riporto il commento che mi ha inviato un amico:
Ero presente alla presentazione del tuo libro l’Assedio della Carnia, e mi hai meravigliato per l’aplomb. Il professore ha utilizzato la tecnica dei talk show quella di partire all’attacco, non importa su che cosa. Tu parlavi delle stuprate della valle del But e lui se la prendeva con la tua bibliografia carente. Tu anticipavi di non considerarti uno storico e lui ti accusava di non esserlo, senza tuttavia contestare con elementi storici le tue affermazioni. Ma non è questo il motivo per cui ti scrivo. Ho letto il tuo libro e sono rimasto sorpreso. Dai l’impressione di esserti avvicinato alla verità ma di non aver avuto il coraggio di dirla. Nel blog rappresenti la Resistenza in Carnia con la metafora del campo di grano invaso dalla zizzania. Te ne suggerisco una più pertinente. Alla fine della guerra hanno preso il cadavere di ciò che avevano fatto e l’hanno rinchiuso in una bella bara ed hanno preso poi a fare le celebrazioni su quanto fosse bella la bara. Tu hai provato ad aprirla, ma dai l’impressione d’esserti ritirato appena ne hai intravisto il contenuto. Pare quasi che un sentimento di amore per la patria Carnia, ti abbia impedito di dire veramente cosa hai visto nella bara. Ho letto anche il tuo Partigiano Gianni, e lì mi pare che facendo finta di usare la fantasia per ricostruire i fatti, ti sia avvicinato di più alla verità. Immagini chissà quale retroscena per spiegare la morte di tanti capi, ma forse la realtà è molto più banale: gli imboscati eliminavano quelli che volevano prendere le cose seriamente, vedi Magrini. Anche Marchetti è stato degradato!. Di serio, dopo i due assalti ai convogli di Leone alla galleria e Arturo a Nojaris, non si ricorda altro. Goliardate o bravate, comprensibili per gente che aveva vent’anni, ma non giustificabili e tantomeno utilizzabili per farne una epopea.
Quella sera hai ricostruito la battaglia dell’8 ottobre, ma non hai avuto il coraggio di ricordare che finalmente il 2 ottobre in previsione di quanto stava per succedere avevano trovato l’intesa per un Comando Unico. Ma il giorno della battaglia il comandante appena nominato non c’era, perché era andato a mettere al sicuro la famiglia a Tramonti. Hai ricostruito la battaglia sulla scorta del Diario di Candotti, ma non credo ti sia sfuggito che sotto l’enfasi dell’autobiografia, si capisce bene che “i nostri” hanno resistito per modo di dire, una toccata e fuga, ma non è stato così per le donne stuprate per rappresaglia il giorno dopo non è stato così per il Parroco di Imponzo che ci ha lasciato la vita. Non avete parlato dei Cosacchi che si erano arresi e sono stati trucidati ad Avasinis, della follia di Ovaro ove i “resistenti” dell’ultima ora hanno demolito con l’esplosivo una scuola con dentro donne e bambini. Fatti che pure ricordi nel tuo libro.
Credo che noi Carnici possiamo trovare qualcosa di diverso di cui andare orgogliosi!
Dovevi dire al prof. Zannini che la vera epopea non è stata quella dell’Estate di presunta Libertà, è stata invece quello del popolo carnico che è riuscito a convivere per sette lunghi mesi con quarantamila cosacchi. La condivisione dei carnici non c’è stata verso la Resistenza, (e non poteva esserci per l’arroganza e la prepotenza dimostrata troppo spesso dai “resistenti” verso i loro compaesani), ma piuttosto, paradossalmente, verso i Cosacchi, che in molti casi sono stati salutati con le lacrime agli occhi.
Pensavo che tu finalmente fossi arrivato a scrivere ciò che tanti carnici come me avrebbero voluto scrivere ma non hanno trovato ancora il coraggio di fare. Ti ringrazio per il coraggio che hai messo nel dire ciò che hai detto e ti auguro di trovare il coraggio nel sequel di andare fino in fondo, se è vero, come dici citando San Giovanni che è solo la verità che ci rende liberi.
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