VERCELLIA.
Il
prof Pierin famoso glottologo dell’Università di Padova di cui si parla
ampiamente nel sito di presentazione del B&B "LA GERLA BLU", era salito a
Verzegnis per scoprire il mistero del paese che non c’è. Ma dal giorno in cui
in visita alla Chiesa di Villa di Verzegnis, come si legge nel sito, gli era
capitato di sentire le voci delle indemoniate,
non aveva resistito al desiderio di darsi una spiegazione d’un fenomeno così originale e straordinario che
aveva interessato il paese nell’Ottocento.
S’era così messo a studiare la
storia del paese ed aveva scoperto che
secondo lo storico tolmezzino Fabio Quintiliano Ermacora, che ha scritto la Storia
Antica della Carnia in latino. sulle colline a ponente di Tolmezzo in origine c’era una chiesa la Plebs
Vercelliarum. Seguendo il vocabolario,
il professor Pierin avrebbe dovuto tradurre la Pieve di Vercelli, ma ha poi pensato che fosse più appropriato Verzellis, da cui
per successive storpiature, a suo parere sarebbe derivato l’attuale Verzegnis. Già infatti il
castello che nel Medioevo avrebbe sostituito la Pieve, secondo lo stesso
storico, portava questo nome. Il castello sarebbe poi stato demolito come tutti
gli altri castelli della Carnia dal Patriarca Niccolò di Lussemburgo fratello
dell’Imperatore Carlo IV, per vendicare l’assassinio del suo predecessore Bertrando di Saint Geniès, avvenuto per una
congiura alla quale, a suo dire, avevano partecipato tutti i castellani della
Carnia. Prima aveva assediato quello di Ermanno di Luint considerato il capo
della congiura, mandando a morte lui ed il figlio Enrico. Poi era passato a
quello di Socchieve, mettendo a morte il conte Roberto, colpevole tra l’altro
d’aver rapito e stuprato delle ragazze di nobile famiglia, poi a quello di
Invillino e poi alla fine, per non fare
ingiustizie, li aveva fatti radere al suolo
tutti e quindi anche quello di Vercellis diventato già Verzegnis
Ma qui si
perdevano i dati storici. Di solito il nome del castello è rimasto alla
“villa”, al paese sottostante. Qui invece la villa non aveva mutato nome, e
quello del castello s’era come dissolto e distribuito sull’intero territorio
d’un Comune.
Aveva controllato l’archivio parrocchiale, aveva
anche fatto una puntata all’archivio di stato di Udine, ma non era arrivato a
capo di nulla. Finchè una sera…
Stava per addormentarsi, ma era ancora in quel
dormiveglia nel quale si è ancora presenti a sé stessi. Gli parve di sognare ad occhi aperti. Ma da svegli
non si sogna e quindi la persona che gli era comparsa nella stanza, non era
frutto d’un sogno. Non poteva avere dubbi: era proprio una visione.
Era una bellissima ragazza, con un viso dai
lineamenti dolcissimi, incorniciato da lunghi capelli biondi con sfumature
d’ambra, con due occhi azzurri profondi che sembrava volessero assorbirlo con l’intensità dello sguardo. Non so perché guardandola
per una strana associazione d’immagini, gli era tornata in mente l’immagine del
lago di Verzegnis in una giornata
d’ottobre, mentre il bosco attorno si inebria di mille sfumature. Lo guardava sorridendo con una espressione di
simpatia e compassione allo stesso tempo. Avrebbe dovuto chiederle: “Come hai fatto ad entrare?...Da
dove vieni?...” Alla fine, vincendo l’emozione ed anche la paura che aveva
provato vedendola, le chiesi soltanto: “Chi sei”, come se la sua presenza fosse
un fatto normale.
“Sono Vercellia, la figlia del castellano di
Vercellis”
“Mi vuoi prendere in giro per le conclusioni a cui
sono arrivato studiando la storia di questo paese?”, le replicò, come se avesse
avuto a che fare con una persona già conosciuta, venuta a fargli visita e con la quale
era logico parlassero delle sue ricerche
sul mistero del paese che non c’è..
“No, sono a confermarti che non avevi sbagliato,”
mi disse invece.
Quando
qualcuno ti dice che hai ragione, già ti diventa simpatico! Mi lasciai prendere
dal discorso, dimenticando la stranezza di ciò che mi stava capitando.
“Però sul tua esistenza non ho trovato traccia
alcuna,” obiettai.
“Non avresti potuto, perché è come se non fossi mai
esistita.”
“Come mai?”
Alla sua domanda rispose con una racconto incredibile
che al professor Pierin si impresse
nella mente sin nei minimi particolari, perché veniva a completare con tante risposte e a dare una logica ai pochi dati storici che
aveva ricavato da Quintiliano Ermacora.
Era figlia unica, nata come san Giovanni Battista,
quando ormai i suoi genitori pensavano di non poter più avere figli. Ma come il
cugino di Gesù, era nata con poteri straordinari, dei quali non riusciva a
darsi una spiegazione ma che aveva subito messo a disposizione degli altri. Al
solo tocco della sua mano gli storpi riprendevano a camminare, le ossa rotte di
chi s’era infortunato si riattaccavano. E senza neppure dover toccare il corpo, ma solo facendo il gesto di
imporre le mani, riusciva a riportare l’equilibrio in chi era andato fuori di
senno, a riportare la serenità in chi era disperato.
Roberto di Socchieve il più scapestrato tra i
castellani della Carnia del momento, l’aveva rapita per usare dei suoi poteri,
ma poi l’aveva costretta a subire le sue voglie e l’aveva stuprata.
Era evidentemente una delle ragazze di cui parla Ermacora.
Il Patriarca l’aveva liberata ed aveva fatto demolire il castello di Socchieve.
Aveva poi voluto accompagnarla personalmente nel castello di Verzegnis. Ma qui (quel vigliacco!), la sera stessa,
quasi a voler essere ringraziato per averla liberata pretese che gli si
concedesse. Lei aveva reagito schifata da tanta impudenza, ed era scappata a
chiudersi nella torre più altra del castello.
Allora il Patriarca infuriato aveva abbandonato il castello ed aveva ordinato che fosse dato
immediatamente alle fiamme. Non voleva che la ragazza potesse testimoniare
sulle proferte oscene che aveva avuto da lui, e quasi a dare una
giustificazione generale alla distruzione di quel castello, decise che fossero
distrutti anche tutti gli altri sparsi in giro per le montagne carniche.
Ermacora nella sua Storia Antica della Carnia non entra in questi dettagli, ma
nelle parole della giovane trovava comunque conferma il dato storico da lui riportato della distruzione dei
castelli della Carnia.
“Bruciai con il mio castello! Il mio corpo si
disciolse nelle pietre del castello, evaporò nel fumo dell’incendio e si depose
come la rugiada nella notte nella campagna circostante. Mentre nel tormento delle fiamme che mi avvolgevano
lasciavo questo mondo, pregavo che i miei poteri restassero al territorio. E
fui esaudita”.
“Come fai a dire che fosti esaudita”
“Perché anche tu che sei forestiero hai potuto
capire che questo territorio è particolare. La rugiada con il mio corpo è
penetrata nella terra lasciandovi i miei poteri, che anche le pietre del castello hanno
mantenuto. I ruderi del castello sono
diventati una cava di pietra alla quale hanno attinto i paesani per costruirsi
le loro case, distribuendo i miei poteri
nelle case ove sono finiti i sassi. Nelle viscere del terreno scorre un’acqua
che fuoriesce nella sorgente che è stata chiamata del Paradiso, con virtù che
voi non avete ancora saputo sfruttare, come non avete saputo beneficiare
dell’aria della vostra montagna. Prova a darti una spiegazione del fenomeno
delle indemoniate alla luce di quanto ti ho detto. Prova a chiederti come
Ansule, sia stata famosa in tutto il territorio della Carnia per la capacità di
aggiustare le ossa, senza avere nessuna nozione di ortopedia.
In effetti, a pensarci bene le donne che
nell’Ottocento era passate per indemoniate, avevano solo dimostrato di
possedere dei poteri particolari. Anche Pierin aveva potuto di persona
sperimentare le capacità taumaturgiche
della donna alla quale accorrevano da
tutta la Carnia per farsi rimettere a posto le ossa rotte. Da dove le venivano
questi poteri? Da dove quelli delle cosiddette indemoniate? Perché non pensare
che la donna avesse ereditato in qualche modo i poteri di cui parlava questa
Vercellia? Perché non pensare che a
passare per indemoniate fossero le donne che abitavano le case dove erano
finiti i sassi del castello? In fondo, per quel che era riuscito a ricostruire,
all’inizio la demonopatia loro
diagnosticata si era rivelata come capacità delle donne di prevedere qualcosa o
di vedere cosa stesse capitando in altro luogo, solo dopo, sottoposte alle
pressioni dei preti ed alle cure degli psichiatri del tempo, e quindi come
conseguenza di queste pressioni e cure, avevano iniziato a manifestare veri
segni di pazzia.
Rimase per un po’ sovrapensiero pensando a queste
possibili coincidenze, poi le chiese: “Ma perché dici che non abbiamo saputo
beneficiare dell’aria della nostra montagna?”
“E’ l’aria che porta ancora il profumo di me, c’è
nell’aria il potere che io avevo di donare serenità. Basta si sappia entrare in sintonia con l’ambiente
per godere dei benefici influssi. Da soli o con l’aiuto di persone che sappiano
porsi come maestri nell’insegnare a sentire la suggestione della natura.
Per le coppie in difficoltà, una settimana nel
paese che non c’è, è un toccasana. Dissapori, incomprensioni si dissolvono come
i vapori della rugiada ai primi raggi del sole. Gli stessi motivi del
contendere diventano nuovi legami che rilanciano il rapporto”.
“E l’acqua
del Paradiso?” le chiesi, ancora più perplesso, “perché parli di virtù che non
abbiamo saputo sfruttare? Sappiamo che è salutare e molti ne fanno uso e vengono anche da Tolmezzo ad attingere a
questa piccola fonte per le sue virtù diuretiche.”
“So. Ma è molto sottovalutata. E’ in verità l’acqua che ha consentito a mia madre, di
concepirmi, quando ormai aveva perso ogni speranza. Tornando alla terra con il
mio corpo dissolto dal fuoco, io le ho conferito di nuovo questi poteri, ho
accentuato le sue virtù. Le coppie sterili che vi si dissetano mattina e sera
per quindici giorni, possono avere delle piacevoli sorprese”
“Già mi prendono per matto perché perdo il mio
tempo a cercare una spiegazione per “il paese che non c’è”, se adesso mi metto
in giro a parlare della capacità dell’acqua del Paradiso di curare
l’infecondità, mi faranno veramente ricoverare in manicomio, come è capitato
alle indemoniate”, obiettò il professore.
Ma come se non avesse sentito la sua obiezione lei
continuò a parlare, assorta, come dovesse dargli un oracolo: “Vedo la fonte
sistemata con la statua d’una donna come me. L’acqua le esce dalle mammelle e
si raccoglie nelle mani che tiene a conchiglia sul ventre, come se dovesse porgere
qualcosa. Dalle sue mani, divenute una fontana, le coppie raccolgono l’acqua in
bicchieri e bottiglie, mattina e sera, e, ospitate nelle case e negli alberghi
del paese, passano i giorni passeggiando sui sentieri più facili e poi più su,
fino ad arrivare almeno una volta alla grotta del Crist di Val”.
Seguendo le sue parole anche il professor Pierin immaginava la gente accorrere a Verzegnis, ma
mentre vedeva nella sua mente la gente, lei la bella ragazza dai capelli
d’ambra s’era come dissolta.
Era di nuovo
solo nella sua camera, cercando di darsi una spiegazione di ciò che gli era
accaduto, preoccupato per la sua salute mentale. Aveva pensato in un primo
momento di parlarne almeno con la sua padrona di casa. Ma, a mente fredda, si
rendeva conto che nessuno avrebbe potuto credere ad un racconto così bizzarro.
Allora aveva deciso di scrivere e nascondere il racconto dietro ad
un armadio nella sua camera, preoccupato che se non avesse reso la sua
testimonianza, si sarebbe potuto tirare addosso una qualche maledizione della
ragazza.
Così infatti si chiude, con una sorta di firma e
sottoscrizione il suo racconto: “Solo per questo ho scritto, per non incorrere
nelle ire della ragazza... Non so chi, come e quando troverà il mio quaderno.
Ma giuro che è tutto vero ciò che ho scritto”.
Nei lavori di sistemazione per trasformare l’affittacamere
di sua madre in un moderno B&B il racconto è venuto tra le mani di Pierin
il proprietario. Ha naturalmente ritenuto di divulgarlo, mettendo a
disposizione le sue camere di quanti volessero sperimentare la magia che si
respira e si vive sulle verdi colline su cui s’adagia Verzegnis, il paese che
non c’è.
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