mercoledì 18 marzo 2020

Ricordando Tiziano Dalla Marta


 Tiziano Dalla Marta, amico carisimo,
non c’è amicizia più intensa e sincera di quella che nasce tra due persone che hanno idee e modi di pensare diversi, ma che proprio in questa diversità trovano il modo di confrontarsi, crescendo intellettualmente assieme, rispettandosi a vicenda, riconoscendosi reciprocamente l’onestà intellettuale. E’ stata questa la storia della nostra amicizia durata cinquanta anni.
            Negli ultimi anni ci siamo trovati a condividere la comune passione per la scrittura. Quando ti ho visto qualche giorno fa, per l’ultima volta, avrei voluto dirti che sono tornato a scrivere favole. Ma il destino ha voluto riportarmi, bruscamente, alla realtà, imponendomi di ricordare la frase di Ungaretti che abbiamo discusso come introduzione al mio ultimo romanzo storico: “la morte si sconta vivendo”. Sul tuo viso si vedeva che il tempo aveva ormai scavato tutti i segni dei tuoi 97 anni. Come il tempo nei millenni ha segnato le nostre montagne. Ma tu parlavi ancora di quando hai sfidato quelle montagne da scalatore provetto, a volte spericolato. Respingevi la debolezza con la quale i tanti anni di vita, inesorabilmente avevano segnato  il tuo corpo, nel ricordo di quando facevi a gara a dimostrare la tua forza: “invincibile a braccio di ferro”:
            A seguito del mio interesse sull’argomento, negli ultimi anni è stata la storia della Resistenza in Carnia i leit motiv delle nostre accese discussioni, nei nostri frequenti incontri. Tu che avevi contribuito a costruire il mito del Movimento della Resistenza. Io che considero negativo l’aver voluto trasformare la realtà in mito e che sento quasi come impegno civile quello di ristabilire la verità storica. Due visioni opposte che ci hanno portato a puntualizzazioni anche vivaci, ma nel rispetto sempre delle reciproche posizioni, ricordando più volte Voltaire nella frase che gli viene attribuita: “non sono d’accordo con ciò che dici, ma sarei disposto a perdere la vita perché tu abbia la libertà di dirlo”.
            Ma la nostra amicizia viene da molto più lontano. Nel 1970 come consigliere comunale sono entrato a far parte della tua squadra di Sindaco di Tolmezzo al secondo mandato. Giovane, fresco di idee. entusiasmi e comportamenti sessantottini, sono entrato in un conflitto con te con una foga che tu hai sopportato e capito solo perché intuivi che veniva dal comune impegno che ci portava a spenderci per lo sviluppo della nostra comunità. Entrato a far parte della tua Giunta, l’ho messa in crisi, spaccando il gruppo consiliare di cui entrambi facevamo parte.
            Ne abbiamo parlato tante volte, perché è nata proprio lì quella strana e originale amicizia tra due persone che agli occhi degli altri, potevano sembrare nemici.
            Una amicizia che si è rinsaldata quando da Sindaco della Ricostruzione, sono ricorso a te per utilizzare la preziosa competenza che ti veniva dal fatto di  poter unire  l’esperienza d’amministratore alle conoscenze dell’architetto. E ci siamo trovati, in quel momento particolarmente difficile per la nostra comunità a collaborare sinceramente, in ruoli diversi, ma sullo stesso obiettivo, con lo stesso impegno civile, la stessa passione politica.
            La nostra amicizia però è un fatto personale, seppure con risvolti pubblici. Da tuo successore come Sindaco, desidero  anche  ricordare e sottolineare la tua grandezza come Sindaco che ha scritto una pagina importante e decisiva della storia della nostra comunità.
            “Non omnis moriar! “ scrive il poeta latino Orazio, non morirò completamente se il ricordo di ciò che ho fatto mi sopravviverà, se resterà d’esempio.
            Per questo mi pare doveroso ricordarti con l’ammirazione e la stima che ho sempre avuto nei tuoi confronti. Vorrei portarti come esempio agli amministratori di oggi come la figura di un Sindaco che non si è fermato ad amministrare il presente, ma ha voluto e saputo pensare e immaginare il futuro della comunità che democraticamente era stato chiamato ad amministrare. Il piano regolatore del 1969 che imponeva a Tolmezzo un futuro da centro industriale, in conflitto con gli agricoltori proprietari dei terreni, è un esempio di lungimiranza, d’un saper guardare al futuro anche a danno dei propri interessi politici immediati. Esempio di concretezza poi, l’impegno che hai messo nel dare contenuti alla sua scelta, cercando gli imprenditori, come Apollo Candoni, che poi avrebbero segnato il futuro di Tolmezzo.
\           “Exegi monumentum aere perennius” continua ancora il poeta ricordando il lascito del suo spirito . “Ho lasciato un monumento più duraturo del bronzo”. Altrettanto puoi dire tu per i segni che hai lasciato oltreché come amministratore, come architetto e anche come scrittore e pittore. Come scrittore ricordo libri che non hanno avuto il successo che si meriterebbero come “Il volo del rondone” e “Il ritorno del Gismano”. Titolo quest’ultimo che ho voluto richiamare nel mio romanzo storico in uscita “Il ritorno del Cosacco” nel quale un capitolo, intitolato “Tiziano” ti vede come personaggio. Ricordo anche l’inedito “Mia, Romania” la bella elegia con cui evochi il rapporto di grande umanità che sei riuscito a costruire con la badante, negli ultimi dieci anni della tua vita, dopo la morte della amata Caterina.
            Di te come pittore parleranno altri più competenti di me. Voglio però ricordare il ciclo destinato a richiamare la tua storia personale nella Resistenza, non a caso la prima opera che hai lasciato è il lunotto nelle chiesa di Cludinico che hai dipinto da giovane partigiano.
            Come opere dell’architetto mi piace ricordar la Chiesa del Sacro Cuore di Betania che ben interpreta l’aspirazione all’infinito, all’esistenza nella dimensione dell’immortalità che è stata oggetto di tante nostre riflessioni negli ultimi tempi.
            La morte, che come la falce manzoniana” tutte pareggia l’erbe del campo” mi toglie dalla vista un grande amico, ma i sentimenti che ci hanno uniti vanno oltre la morte. Resti e resterai tra noi, finchè resta il ricordo dell’amico, finchè durerà il ricordo di te in una comunità come quella di Tolmezzo che tanto ti deve.
            Scherzando, mi avevi fatto assumere l’impegno di farti l’orazione funebre in chiesa. “Don Angelo non lo permette” ti ribattevo. Il destino ha voluto che tu sia venuto a mancare in questo strano momento nel quale non sono permessi addirittura i funerali, non solo le orazioni funebri. Questo mi consente di ricordarti in modo meno formale, meno forbito se vuoi, come a te avrebbe fatto piacere, perché ci tenevi a scrivere in una forma meno rustica della mia, ma  certamente più sincero.
            Tiziano, il mio romanzo l’Ebreo Errante che abbiamo condiviso l’anno scorso, può essere considerato in qualche modo un saggio sull’immortalità. Ne abbiamo parlato tanto. Una realtà  in una dimensione diversa, per me senza Inferni e Paradisi (anche qui in disaccordo!), ma comunque eternamente vivi.
            Io ci credo! Ti penso lì. Pur non mancando di fantasia non riesco a immaginare come. Ma so che sei vivo. Che mi stai aspettando, per continuare i discorsi. Come stai aspettando la tua grande famiglia di figli nipoti e pronipoti. Non metterci fretta però! Mi raccomando!
            Mandi Tiziano.

1 commento:

Friuli in rete ha detto...

Potrebbe essere uno dei Toi bei racconti ma questa volta è un bel ritratto reale