Nel più profondo caos.
Il
caos provocato dalle mosche bianche si è rivelato una bazzecola rispetto a
quello provocato successivamente dalla
nuvola informatica. Arrivò anche in questo caso, non si sa da dove, né come nè perché,
una nuvola. Quella delle mosche era parsa di rugiada, questa era proprio una
nebbiolina leggera. Sospesa nell’aria, persino profumata. Sembrava una cosa
molto bella e tutti gli animali del bosco presero a respirarla a pieni polmoni.
Non dava disturbi. Anzi!
Ci
volle del tempo perché ci si accorgesse degli effetti. Tutti gli animali,
indistintamente, d’ogni specie e d’ogni luogo, lentamente cominciarono a
perdere la memoria, poi gli istinti e quel po’ di ragionamento che madre natura
consente anche ai non umani. Dire che perdevano è giusto sul piano individuale,
sbagliato sul piano della realtà. In effetti nulla si perdeva ma tutto veniva
assorbito nella nuvola. Gli animali non avevano bisogno di nessuna forma di
pensiero perché a pensare era la nuvola, che all’inglese prese il nome di Cloud.
Non era più necessario ne ricordare né pensare a cosa fare perché l’unico
istinto, rimasto agli animali era quello di chiedere al Cloud, e la nuvola ricordava e pensava e quindi
decideva per loro.
Invece
che continuare a surfare, stando in equilibrio sulla cresta dell’onda, come
inutilmente aveva continuato a consigliare, con una bella e poetica metafora il
gufo, ci si era lasciati andare e si era finiti nel caos dei flutti, o, fuori
di metafora, ancor peggio nella quiete della nuvola. Peggio perché nel caos dei
flutti, l’istinto di sopravvivenza porta a cercare di nuotare per salvarsi.
Ceduto il cervello al Cloud, gli animali erano finiti in una pace assoluta,
molto simile però alla pace della morte.
Con
quale morale si può chiudere la favola? Si potrebbe ricorrere ancora al prof.
De Toni, ma più che a sapere la morale della favola il lettore di sicuro è interessato a sapere il seguito. Ma per
questo dovrà attendere la favola successiva. A domani!....
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