giovedì 18 ottobre 2007

Un progetto per la montagna


PER UN NUOVO PROGETTO MONTAGNA.

“Con l’energia sottratta alla montagna hanno illuminato le città, ed hanno fatto in modo che, attratti da queste luci, le forze più vive e più giovani, siano fuggite dalla montagna”.
Oggi lo scenario può cambiare: si può cominciare a pensare alla montagna non come a un luogo di emarginazione da abbandonare appena possibile, ma ad un luogo dove anche un giovane che non vuole rinunciare alle opportunità che gli derivano dal vivere nel terzo millennio, può pensare di progettare il proprio futuro.
In passato progettare lo sviluppo della montagna significava soprattutto intervenire sul versante dell’occupazione per evitare che la mancanza di posti di lavoro costituisse il presupposto per l’emigrazione. Oggi anche in montagna si è raggiunta la piena occupazione, ma la montagna continua a perdere popolazione, e ciò che è più grave, perde soprattutto le risorse umane più giovani
Lavorare ad un nuovo progetto montagna signfica lavorare, per chè la montagna possa diventare “terra di elezione” e quindi per creare le condizioni indispensabili perchè vivere in montagna possa essere non una maledizione ma una scelta per chi vi è nato e per chi puo pensare di trovarvi un modo di vivere e di realizzarsi più completo rispetto a chi vive in città. Se questo è l’obiettivo, è molto secondario, e per certi versi fuorviante discutere di questioni ordinamentali, di riordino di comunità e comuni, di autonomia.
Più importante sarebbe forse chiedersi come mai l’uomo della montagna, fuori dal suo contesto diventa dinamico, propositivo, tendenzialmente imprenditore, nel suo contesto è portato a delegare agli altri la soluzione dei propri problemi, ad accontentarsi, preferisce vedersi come dipendente che come imprenditore.
Interessante sarebbe chiedersi se la scuola fa qualcosa per modificare queste condizioni culturali di base o se invece, gli insegnanti che vengono da fuori, sentendosi in qualche modo come relegati al confino, non favoriscano la cultura della fuga dalla montagna. Se la Chiesa stessa che per anni ha usato la montagna come luogo di punizione per i suoi preti, non abbia contribuito a trasmettere l’idea che la montagna è un luogo si “sofferenza e di dolore”.
Ma recriminare sul passato o piangere riflettendo sui punti di debolezza della montagna non porta da nessuna parte. Un nuovo progetto per la montagna deve partire da un approccio radicalmente nuovo. Da un approccio in positivo che prenda in considerazione i punti di forza su cui si può impostare un progetto di sviluppo. Si può partire dall’idea della centralità della montagna, dall’idea dell’innovazione come motore di questo nuovo progetto.
Parlare di centralità a proposito della montagna sa di paradosso. Di norma al termine montagna sono associati quelli di marginalità e perifericità.. Ma ancora più paradossale può apparire la tesi se si volessebb sostenere la centralità della montagna rispetto al tema emergente dell’innovazione. Al contrario, se non ci lasciamo condizionare a fuorviare dai luoghi comuni del passato, credo sia invece più che sostenibile la tesi d’una montagna della innovazione, cioè della montagna come ambiente ideale per l’innovazione. L’ambiente è favorevole all’innovazione quando ingenera negli individui lo sviluppo di una “agilità cognitiva”. Ebbene, non c’è nessun ambiente come quello della montagna, con la sua varietà di stimoli e con l’esigenza forte di adattamento imposta dalla particolarità del territorio montano, che favorisca l’agilità cognitiva. L’uomo della montagna è da sempre stato definito l’uomo dalle scarpe grosse e dal cervello fino. Ma al di là delle battute è storicamente dimostrabile l’ingegnosità dell’uomo di montagna. Questa “ingegnosità” oggi si chiamerebbe capacità di innovazione.
Il territorio ideale per lo sviluppo delle nuove imprese basate sull’innovazione, è un territorio che produce conoscenza. In passato si collocavano in montagna le imprese che potevano sfruttare le risorse della montagna: il bosco e l’acqua. Il futuro può essere quello d’una montagna nella quale si sviluppano e si collocano le imprese che vogliono utilizzare il valore aggiunto dell’ingegnosità dell’uomo di montagna, appunto la sua capacità di produrre conoscenza.
Se questo è lo scenario possibile che si immagina anche per la montagna friulana, è necessario partire da una sorta di rivoluzione culturale, che veda nella scuola il punto di riferimento principale. Se la conoscenza deve essere la risorsa su cui impostare il progetto di sviluppo, e’ necessario partire da una scuola che non si limiti alla trasmissione di saperi, ma insegni a conoscere. Un ambiente carico di stimoli facilita l’insegnare a conoscere, se si parte dall’approfondimento della conoscenza del proprio territorio.
Ma la rivoluzione partendo dalla scuola è necessario che coinvolga l’intero territorio. L’innovazione è infatti prima di tutto, un atteggiamento mentale positivo. Non ci può essere innovazione in un luogo che viene percepito come “luogo di sofferenza e di dolore”. In un luogo del quale si enfatizzano solo i punti di debolezza, senza mai sottolineare i punti di forza, senza valutare i vantaggi competitivi, anche in termini di qualità della vita.
Pensare alla centralità della montagna, significa rovesciare i parametri sui quali fin qui si è sempre immaginato lo sviluppo della montagna: una montagna al servizio della città, con un valore commisurato alla capacità più o meno alta di servire alla città. La montagna deve essere vista invece come alternativa alla città: un modello diverso, con un sistema diverso di servizi, con una diversa qualità della vita. Ma una diversità avvertita tutt’altro che come inferiorità! Se mettiamo a confronto le due realtà, confrontando i punti di forza e di debolezza, le opportunità e i rischi, in quella che gli esperti chiamano analisi Swot, il modello della montagna risulta ampiamente vincente rispetto a quello della città.
Eppure questa rivoluzione culturale fa fatica ad innescarsi! La spiegazione può essere trovata nella teoria degli attrattori. La resistenza al cambiamento è determinata da un attrattore. “Per ottenere il cambiamento si deve agire sulla generazione di nuovi attrattori, il cambiamento infatti non si può spingere ma si deve tirare”. Qual è l’attrattore che genera la resistenza al cambiamento? Quale può essere l’attrattore su cui puntare per “tirare” il cambiamento? A mio avviso l’attrattore che resiste è il vittimismo, il desiderio masochistico di piangersi addosso nella “terra di sofferenza e di dolore”. L’attrattore su cui fare riferimento è la valorizzazione delle opportunità che offre la montagna in termini di qualità di vita, l’individuazione degli asset che rende competitiva la montagna rispetto alla città sotto il profilo della qualità della vita.
Ancora troppo spesso, affrontando i temi della montagna, si assume come centrale il tema del territorio. Centrale è invece il tema dell’uomo che vive in montagna. Il problema del territorio si risolve di conseguenza se la montagna è abitata da un uomo che vi ha scelto di vivere perché la ama.
In questa ottica, analizzando i mali della “montagna malata” potremmo arrivare a considerare che il male origine di tutti gli altri è la disaffezione degli abitanti verso la montagna, il fatto di vivere l’essere nati in montagna come una maledizione, il sentire la montagna come “terra di sofferenza e di dolore”.
Se il vivere in un paese di montagna è una disgrazia, sono soldi sprecati i contributi per incentivare chi ci resta. Non c’è contributo che giustifichi il far subire ai propri figli la disgrazia d’essere nati in un posto sbagliato, se non si è costretti dalla impossibilità materiale di partire!
“Non è vero!” mi ha obiettato un amico, scandalizzato dalla mia provocazione. “Neppure dopo morto lascerei il paese di montagna nel quale sono nato”.
“E i tuoi figli?”
“Quelli fortunatamente hanno potuto studiare e hanno potuto trasferirsi in luoghi più vivi, abbandonando la morte dei nostri paesi!”
Ma se tutti la pensano così è facile immaginare quale è il futuro che attende la montagna, indipendentemente dai pannicelli caldi con i quali possiamo alleviare i suoi dolori! Tra le opere dei vari programmi tutti hanno dimenticato di prevedere il miglioramento dei cimiteri!...
Ma cosa c’entrano questi discorsi con il mancato sviluppo della montagna? C’entrano più di quanto si possa pensare. E mi spiego con l’esempio del turismo.
Qualcuno sostiene che il mancato sviluppo turistico sia colpa della carenza di infrastrutture, altri invece che sia da imputare alla carenza di ricettività. Ma come si ritiene possa attrarre turisti un luogo i cui abitanti, con il muso lungo e la faccia scura, lamentano continuamente d’essere rasseganti a vivere in un posto abbandonato da Dio e dagli uomini?... Per accogliere i turisti è necessario l’entusiasmo e l’ottimismo di chi è convinto d’essere nel luogo più bello del mondo e con il suo entusiasmo trasmette questa sensazione ai nuovi arrivati, richiama nuove presenze…
Se la mia non è soltanto una provocazione, se, per caso avessi ragione, allora sui tavoli di consultazione e concertazione sulla montagna malata, è mancata la diagnosi sul male vero, che non è infrastrutturale ma culturale. Se avessi ragione, sarebbe assumendo come obiettivo quello di far in modo che sia più bello e interessante sotto il profilo della realizzazione personale vivere in un paese di montagna, piuttosto che nella periferia di una città. Ma allo stesso tempo è indispensabile rispiegare a chi vive in montagna, (una volta che abbia risolto il problema del posto di lavoro) quali vantaggi abbia, rispetto a chi abita in città. Purchè tuttavia ci siano questi vantaggi!... Perché se in effetti non ce ne fossero, se ci fossero solo disagi, non si vede perché si debba convincere qualcuno a continuare a subire questi disagi. Per la salvaguardia e la manutenzione del territorio? Ma per questo potrebbero bastare le capre!...

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