sabato 30 giugno 2007

La cultura del vivere in montagna.

"Con l’energia sottratta alla montagna hanno illuminato le città, ed hanno fatto in modo che, attratti da queste luci, le forze più vive e più giovani, siano fuggite dalla montagna”.
Oggi lo scenario può cambiare: si può cominciare a pensare alla montagna non come a un luogo di emarginazione da abbandonare appena possibile, ma ad un luogo dove anche un giovane che non vuole rinunciare alle opportunità che gli derivano dal vivere nel terzo millennio, può pensare di progettare il proprio futuro.
Lavorare ad un nuovo progetto montagna signfica lavorare, perchè questo avvenga in maniera sistematica: creare le condizioni perchè vivere in montagna possa essere non una maledizione ma una scelta per chi vi è nato e per chi puo pensare di trovarvi un modo di vivere e di realizzarsi più completo rispetto a chi vive in città. Se questo è l’obiettivo, è molto secondario, e per certi versi fuorviante discutere di questioni ordinamentali, di riordino di comunità e comuni, di autonomia.
Più importante sarebbe forse chiedersi come mai l’uomo della Carnia, fuori dal suo contesto diventa dinamico, propositivo, tendenzialmente imprenditore, nel suo contesto è portato a delegare agli altri la soluzione dei propri problemi, ad accontentarsi, preferisce vedersi come dipendente che come imprenditore.
Interessante sarebbe chiedersi se la scuola fa qualcosa per modificare queste condizioni culturali di base o se invece, gli insegnanti che vengono da fuori, sentendosi in qualche modo come relegati al confino, non favoriscano la cultura della fuga dalla montagna. Se la Chiesa stessa che per anni ha usato la montagna come luogo di punizione per i suoi preti, non abbia contribuito a trasmettere l’idea che la montagna è un luogo si “sofferenza e di dolore”.

Nessun commento: