martedì 30 ottobre 2007

SI ALL'ELETTRODOTTO

Si all'elettrodotto. Con questo titolo avevo inserito una post di provocazione nel blog piutti.blogspot.com. Gino Grillo ne aveva tratti alcuni spunti e l’aveva trasformato in articolo. In questi giorni ho cercato di approfondire il tema e dalla provocazione, così mi sono convinto sia il caso di passare dalla provocazione alla riflessione. Anche perché nel frattempo è intervenuta la proposta di un nuovo tracciato aereo, con la riduzione per qualche anno del costo dell’energia per gli abitanti dei Comuni interessati, e la Giunta della Comunità Montana ha preso a discutere su un piano energetico per la Carnia.
C’era una volta il confine! Ed ha costituito un grave handicap per lo sviluppo dei nostri territori. Poi è caduto e ci hanno detto che sarebbe diventato una opportunità. Ma al di là di qualche contributo a pioggia sui programmi Interreg Italia-Austria, non abbiamo intravisto grandi vantaggi.
Finchè non sono arrivati Pittini e Fantoni e farci capire che di là dal confine l’energia elettrica ed il gasolio da riscaldamento costano la metà. Basta allacciarsi oltre confine e se ne traggono i vantaggi! Poi è arrivata la Burgo a dire che il vantaggio restava anche con i maggiori costi per fare una condotta interrata. Poi dal primo luglio di questo anno è arrivata la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica anche per le utenze private.
Credo che a questo punto ci siano tutti gli elementi per ripartire, come si suole dire, a bocce ferme. Alla Burgo che chiede di passare sul nostro territorio, sotto a sopra non ha importanza, io direi subito che: “Abbiamo già dato!”. Non può chiederci di inquinare qualcosa d'altro nè sopra nè sotto il suolo, dopo, fra l'altro, aver venduto la centrale di Magnanins.
A Pittini e Fantoni direi grazie per averci indicato l’opportunità. Ma se l’opportunità è tale per l’industria, dal primo luglio, è tale anche per il territorio. E quindi la sfruttiamo assieme! Loro si prendono la parte di energia necessaria per i loro stabilimenti, noi quella necessaria per il territorio di tutta la Carnia, per tutte le aziende insediate ad iniziare dall'ex-Seima, e per tutte le abitazioni e quindi per tutte le famiglie. Se ne dovesse avanzare, prima di rivenderla all’Enel, potremo allargare il vantaggio ad altre industrie del Medio Friuli.
Per la parte che ci riguarda come territorio, la Comunità Montana ha già costituito la società EnergyMont che ha tra gli scopi l’acquisto di energia elettrica. La legge regionale 29 del 2006 prevede la costituzione di gruppi di acquisto dell’energia, come società cooperative di almeno 10.000 soci. Più o meno quanti sono gli utenti in Carnia! EnergyMont può quindi entrare nella società per l’elettrodotto per la quota necessaria ai consumi della Carnia, e cederla al gruppo di acquisto, e quindi a tutti gli utenti sia produttivi che privati. Non si vede perché in una operazione di questo livello non possa o debba entrare anche Friulia, mettendo le risorse finanziarie necessarie, nell’interesse delle aziende dell’Alto Friuli. In questo modo l’elettrodotto diventerebbe una opera di interesse regionale, e quindi la Regione potrebbe intervenire per favorire gli aspetti autorizzativi sia con i Ministeri competenti che con la Corinzia.
A questo punto i Sindaci dei territori interessati al tracciato si troverebbero ad un tavolo a discutere del passaggio di una opera pubblica a diretto beneficio di tutto il territorio. In questi termini credo che riuscirebbero a trovare facilmente una intesa, mediando tra impatto ambientale e interesse generale. La costituzione del gruppo di acquisto che dovrebbe coinvolgere evidentemente tutti i 28 Sindaci e la Comunità, al di là dell’aspetto pratico, potrebbe avere un valore emblematico significativo. Sarebbe forse la prima volta nella quale ci troveremmo tutti assieme, pubblico e privato, Comunità e Comuni, con lo stesso obiettivo. E chissà che su questa prima volta, non nascano altre volte nelle quali l’obiettivo generale dello sviluppo della Carnia diventa un obiettivo condiviso al di sopra degli interessi particolari di ogni Comune, nella convinzione che è solo dallo sviluppo generale della Comunità, che può discendere il beneficio per ogni singolo Comune.
Al di là dell’aspetto pratico per cui tutte le famiglie della Carnia avrebbero il beneficio di una consistente riduzione della bolletta della luce, mi auguro che i Sindaci e la Comunità Montana, avvertano, la portata storica dell’evento, e quindi l’importanza dell’iniziativa.

domenica 28 ottobre 2007

Progetto Energia.


Con la forza dell’acqua della montagna
Hanno portato la luce alle città
Perché attratti da quelle luci
Gli uomini abbandonassero le montagne.
Riportiamo la luce ad illuminare le montagne
Perché tutti vedano
Che si vive meglio in montagna
Rispetto alla pianura
Si vive meglio in un paese
Rispetto ad una città!

Scheda per iniziare a discutetere su un
PIANO ENERGETICO DELLA CARNIA.

La più importante risorsa caratteristica della montagna era l’energia elettrica.
Era perché in gran parte viene trasferita altrove senza ricadute significative sul territorio. Ma c’è una quota che è ancora rimasta e che se utilizzata razionalmente può costituire un vantaggio competitivo sia per vivere che per produrre in montagna. L’esempio della Secab nell’Alta Valle del But è signficativo.Il piano può quindi partire dall’idea di trasferire a tutta la Carnia il vantaggio di cui si gode in Alto But.
Ci sono due problemi:
- la Secab non ha la quantità di corrente necessaria per tutta la Carnia,
- - sarebbe necessario che la Secab diventasse proprietaria di tutte le linee elettriche di distribuzione della Carnia.
Nel frattempo è nata EnergyMont una spa che mette assieme tutti i produttori di energia della Carnia, compresa la Secab.
Nel frattempo la LR 29/2006 ha previsto la costituzione di gruppi di acquisto di energia elettrica con cooperative di consumatori di almeno 10.000 utenti per ottenere sconti nell’acquisto di energia.
E’ possibile intervenire sugli impianti sia privati che pubblici con interventi che portino a risparmi nel consumo di energia elettrica.

Su questi elementi in premessa come si potrebbe immaginare un piano energetico che porti alla riduzione dei costi dell’energia elettrica per chi risiede ed opera in Carnia?
Si potrebbe partire immaginando che sia la Secab ad attivare il gruppo di acquisto per un primo passo verso la riduzione dei costi.
Si può immaginare un piano pluriennale regionale di interventi a favore della Secab per il progressivo acquisto delle reti nei vari Comuni, trasformando progressivamente gli aderenti al gruppo di acquisto in aderenti e quindi soci della Secab, per finire con una Secab-Carnia.
EnergyMont può trasferire al gruppo di acquisto l’energia prodotta dai suoi associati, e quindi in particolare quella prodotta dalla Comunità Montana?
EnergyMont può entrare nella Spa di Pittini e Fantoni per importare energia a favore del gruppo di acquisto della Carnia?
EnergyMont o la Comunità Montana può completare il piano per lo sfruttamento razionale della risorsa acqua residua, per aumentare la produzione da trasferire al gruppo di acquisto?

Atteso che:
Ad Arta c’è l’impianto di cogenerazione a biomassa;
A Paluzza c’è l’impianto di cogenerazione della Casa di Riposo.
A Paluzza Sutrio ci sono gli impianti idroelettrici della Secab.
Al confine ci sono gli impianti eolici austriaci e comunque con la valle del Gail sono già in atto rapporti di collaborazione.
Al CRP di Amaro sono in corso delle ricerche molto avanzate sul fotovoltaico.
A Paluzza ci sono i locali dell’ex Irfop.
E’ possibile immaginare un Centro di Ricerche applicata e di trasferimento tecnologico sull’Energia come sviluppo del Centro di Innovazione Tecnologica dell’Agemont, collegandolo ad un Centro di formazione avanzato di specializzazione post universitaria e post diploma sulle energie alternative e sul risparmio energetico in genere?
Le risposte implicano una serie di conoscenze che mancano ma che potrebbero essere acquisite ad esempio attraverso una collaborazione con l’Università di Udine, finanziando un dottorato di ricerca ed alcune tesi sul tema

sabato 27 ottobre 2007

Elettrodotto: dalla protesta alla proposta.

Dalla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica una nuova opportunità di sviluppo per la Carnia. Potrebbe essere questo il nuovo tema da approfondire, derivato dalle discussioni sugli elettrodotti dall’Austria, evitando sterili contrapposizioni tra i fautori del sì e del no.
In effetti gli industriali ci hanno dato un suggerimento intelligente. Perché non coglierlo? Dal primo luglio il mercato dell’energia è libero, perché non approfittare quindi del fatto che al confine della Carnia c’è l’energia elettrica ed il gasolio da riscaldamento che costano la metà. Basta collegarsi! Non ci siamo sempre lamentati per l’handicap dei costi del riscaldamento per chi vive in montagna?
La Comunità Montana ha già costituito la società EnergyMont che mettendo assieme la produzione di energia elettrica della Carnia, ha assunto anche l’obiettivo della realizzazione e gestione di nuovi impianti e della compravendita di energia.
Questa società può entrare come socia in Alpe Adria Energia assieme a Fantoni e Pittini per importare l’energia necessaria per tutta la Carnia, sia per gli usi privati che per quelli produttivi.
La Regione con la legge 29 del 2006 intende agevolare la costituzione di gruppi di acquisto in forma di società cooperativa, costituiti da almeno 10.000 soci che vogliono acquistare energia elettrica o gas. Credo più o meno quanti siamo in Carnia tra utenti privati, pubblici e produttivi. Se costituiamo la Carnia in gruppo d’acquisto, possiamo tutti indistintamente acquistare da EnergyMont l’energia importata a prezzi agevolati. La Secab a Paluzza Sutrio e Cercivento dimostra che il prezzo può essere quasi dimezzato, perché non estendere a tutta la Carnia questo beneficio? La Secab stessa potrebbe dare un supporto alla nascita del gruppo di acquisto. Se andiamo a controllare le ultime fatture dell’Enel e pensiamo che potrebbero essere dimezzate, ci renderemmo conto che il beneficio è consistente. Tale comunque da farci accettare l’impatto di un nuovo elettrodotto, anche aereo. Ma in questa ipotesi non si accetta nulla, ci si siede allo stesso tavolo mettendo assieme gli interessi di chi deve vivere in Carnia, con gli interessi di chi deve mantenere i posti di lavoro, e gli interessi della salvaguardia ambientale. E' tutto un altro modo di ragionare!!!

venerdì 26 ottobre 2007

Lenticchie ed energia.

Si all’elettrodotto dicevo in un post precedente. Ma un sì contrattato alla pari, non vendendosi per un piatto di lenticchie. Sono entrato sull’argomento tardi e non ho elementi adeguatamente verificati per entrare nella discussione. Ma tanto per capirci…
Sono d’accordo sul fatto che Pittini e Fantoni passino con l’energia necessaria per rendere competitive le loro industrie. Ma se fosse vero, come sento dire, che importano una quantità doppia rispetto a quella che serve a loro. Sull’altra metà mi sembrerebbe giusto che il territorio e quindi la Comunità Montana entrassero nel business.
Se poi fosse vero, come sento dire, che l’aereo costa la metà dell’interrato, 30 milioni di euro contro i 60 milioni, significherebbe che l’impatto negativo che accettiamo di subire può essere valutato 30 milioni di euro in cambio di che cosa?
Se infine fosse vero, come sento dire, che ci sarà un finanziamento pubblico sull’iniziativa, mi piacerebbe sapere a quanto ammonta ed a che titolo.
Se per ipotesi la Regione avesse 15 milioni di euro da investire sulla iniziativa li potrebbe passare alla Comunità Montana che potrebbe entrare in società al 50% per tenersi poi il 50% dell’energia per abbassare i costi per tutti residenti, privati ed aziende. Avremmo così, allo stesso tempo, salvaguardato l’occupazione del Medio Friuli e creato condizioni di sviluppo per l’Alto Friuli.
Mi sembrerebbe infine importante che per una volta l'idea della Carnia prevalesse su quella degli interessi dei singoli Comuni. Se c'è un ristorno, e soprattutto se ci potrà essere un ritorno, mi sembrerebbe giusto che ricadesse su tutto il territorio della Carnia, e non solo sui Comuni in cui ci saranno i piloni
Ma immagino che se i dati del mio ragionamento fossero veri, il Presidente della Comunità, i Sindaci e il Comitato del No, li avrebbero già fatti valere!!!
Le mie restano quindi le solite considerazioni d’un pensionato all’osteria.

giovedì 18 ottobre 2007

Un progetto per la montagna


PER UN NUOVO PROGETTO MONTAGNA.

“Con l’energia sottratta alla montagna hanno illuminato le città, ed hanno fatto in modo che, attratti da queste luci, le forze più vive e più giovani, siano fuggite dalla montagna”.
Oggi lo scenario può cambiare: si può cominciare a pensare alla montagna non come a un luogo di emarginazione da abbandonare appena possibile, ma ad un luogo dove anche un giovane che non vuole rinunciare alle opportunità che gli derivano dal vivere nel terzo millennio, può pensare di progettare il proprio futuro.
In passato progettare lo sviluppo della montagna significava soprattutto intervenire sul versante dell’occupazione per evitare che la mancanza di posti di lavoro costituisse il presupposto per l’emigrazione. Oggi anche in montagna si è raggiunta la piena occupazione, ma la montagna continua a perdere popolazione, e ciò che è più grave, perde soprattutto le risorse umane più giovani
Lavorare ad un nuovo progetto montagna signfica lavorare, per chè la montagna possa diventare “terra di elezione” e quindi per creare le condizioni indispensabili perchè vivere in montagna possa essere non una maledizione ma una scelta per chi vi è nato e per chi puo pensare di trovarvi un modo di vivere e di realizzarsi più completo rispetto a chi vive in città. Se questo è l’obiettivo, è molto secondario, e per certi versi fuorviante discutere di questioni ordinamentali, di riordino di comunità e comuni, di autonomia.
Più importante sarebbe forse chiedersi come mai l’uomo della montagna, fuori dal suo contesto diventa dinamico, propositivo, tendenzialmente imprenditore, nel suo contesto è portato a delegare agli altri la soluzione dei propri problemi, ad accontentarsi, preferisce vedersi come dipendente che come imprenditore.
Interessante sarebbe chiedersi se la scuola fa qualcosa per modificare queste condizioni culturali di base o se invece, gli insegnanti che vengono da fuori, sentendosi in qualche modo come relegati al confino, non favoriscano la cultura della fuga dalla montagna. Se la Chiesa stessa che per anni ha usato la montagna come luogo di punizione per i suoi preti, non abbia contribuito a trasmettere l’idea che la montagna è un luogo si “sofferenza e di dolore”.
Ma recriminare sul passato o piangere riflettendo sui punti di debolezza della montagna non porta da nessuna parte. Un nuovo progetto per la montagna deve partire da un approccio radicalmente nuovo. Da un approccio in positivo che prenda in considerazione i punti di forza su cui si può impostare un progetto di sviluppo. Si può partire dall’idea della centralità della montagna, dall’idea dell’innovazione come motore di questo nuovo progetto.
Parlare di centralità a proposito della montagna sa di paradosso. Di norma al termine montagna sono associati quelli di marginalità e perifericità.. Ma ancora più paradossale può apparire la tesi se si volessebb sostenere la centralità della montagna rispetto al tema emergente dell’innovazione. Al contrario, se non ci lasciamo condizionare a fuorviare dai luoghi comuni del passato, credo sia invece più che sostenibile la tesi d’una montagna della innovazione, cioè della montagna come ambiente ideale per l’innovazione. L’ambiente è favorevole all’innovazione quando ingenera negli individui lo sviluppo di una “agilità cognitiva”. Ebbene, non c’è nessun ambiente come quello della montagna, con la sua varietà di stimoli e con l’esigenza forte di adattamento imposta dalla particolarità del territorio montano, che favorisca l’agilità cognitiva. L’uomo della montagna è da sempre stato definito l’uomo dalle scarpe grosse e dal cervello fino. Ma al di là delle battute è storicamente dimostrabile l’ingegnosità dell’uomo di montagna. Questa “ingegnosità” oggi si chiamerebbe capacità di innovazione.
Il territorio ideale per lo sviluppo delle nuove imprese basate sull’innovazione, è un territorio che produce conoscenza. In passato si collocavano in montagna le imprese che potevano sfruttare le risorse della montagna: il bosco e l’acqua. Il futuro può essere quello d’una montagna nella quale si sviluppano e si collocano le imprese che vogliono utilizzare il valore aggiunto dell’ingegnosità dell’uomo di montagna, appunto la sua capacità di produrre conoscenza.
Se questo è lo scenario possibile che si immagina anche per la montagna friulana, è necessario partire da una sorta di rivoluzione culturale, che veda nella scuola il punto di riferimento principale. Se la conoscenza deve essere la risorsa su cui impostare il progetto di sviluppo, e’ necessario partire da una scuola che non si limiti alla trasmissione di saperi, ma insegni a conoscere. Un ambiente carico di stimoli facilita l’insegnare a conoscere, se si parte dall’approfondimento della conoscenza del proprio territorio.
Ma la rivoluzione partendo dalla scuola è necessario che coinvolga l’intero territorio. L’innovazione è infatti prima di tutto, un atteggiamento mentale positivo. Non ci può essere innovazione in un luogo che viene percepito come “luogo di sofferenza e di dolore”. In un luogo del quale si enfatizzano solo i punti di debolezza, senza mai sottolineare i punti di forza, senza valutare i vantaggi competitivi, anche in termini di qualità della vita.
Pensare alla centralità della montagna, significa rovesciare i parametri sui quali fin qui si è sempre immaginato lo sviluppo della montagna: una montagna al servizio della città, con un valore commisurato alla capacità più o meno alta di servire alla città. La montagna deve essere vista invece come alternativa alla città: un modello diverso, con un sistema diverso di servizi, con una diversa qualità della vita. Ma una diversità avvertita tutt’altro che come inferiorità! Se mettiamo a confronto le due realtà, confrontando i punti di forza e di debolezza, le opportunità e i rischi, in quella che gli esperti chiamano analisi Swot, il modello della montagna risulta ampiamente vincente rispetto a quello della città.
Eppure questa rivoluzione culturale fa fatica ad innescarsi! La spiegazione può essere trovata nella teoria degli attrattori. La resistenza al cambiamento è determinata da un attrattore. “Per ottenere il cambiamento si deve agire sulla generazione di nuovi attrattori, il cambiamento infatti non si può spingere ma si deve tirare”. Qual è l’attrattore che genera la resistenza al cambiamento? Quale può essere l’attrattore su cui puntare per “tirare” il cambiamento? A mio avviso l’attrattore che resiste è il vittimismo, il desiderio masochistico di piangersi addosso nella “terra di sofferenza e di dolore”. L’attrattore su cui fare riferimento è la valorizzazione delle opportunità che offre la montagna in termini di qualità di vita, l’individuazione degli asset che rende competitiva la montagna rispetto alla città sotto il profilo della qualità della vita.
Ancora troppo spesso, affrontando i temi della montagna, si assume come centrale il tema del territorio. Centrale è invece il tema dell’uomo che vive in montagna. Il problema del territorio si risolve di conseguenza se la montagna è abitata da un uomo che vi ha scelto di vivere perché la ama.
In questa ottica, analizzando i mali della “montagna malata” potremmo arrivare a considerare che il male origine di tutti gli altri è la disaffezione degli abitanti verso la montagna, il fatto di vivere l’essere nati in montagna come una maledizione, il sentire la montagna come “terra di sofferenza e di dolore”.
Se il vivere in un paese di montagna è una disgrazia, sono soldi sprecati i contributi per incentivare chi ci resta. Non c’è contributo che giustifichi il far subire ai propri figli la disgrazia d’essere nati in un posto sbagliato, se non si è costretti dalla impossibilità materiale di partire!
“Non è vero!” mi ha obiettato un amico, scandalizzato dalla mia provocazione. “Neppure dopo morto lascerei il paese di montagna nel quale sono nato”.
“E i tuoi figli?”
“Quelli fortunatamente hanno potuto studiare e hanno potuto trasferirsi in luoghi più vivi, abbandonando la morte dei nostri paesi!”
Ma se tutti la pensano così è facile immaginare quale è il futuro che attende la montagna, indipendentemente dai pannicelli caldi con i quali possiamo alleviare i suoi dolori! Tra le opere dei vari programmi tutti hanno dimenticato di prevedere il miglioramento dei cimiteri!...
Ma cosa c’entrano questi discorsi con il mancato sviluppo della montagna? C’entrano più di quanto si possa pensare. E mi spiego con l’esempio del turismo.
Qualcuno sostiene che il mancato sviluppo turistico sia colpa della carenza di infrastrutture, altri invece che sia da imputare alla carenza di ricettività. Ma come si ritiene possa attrarre turisti un luogo i cui abitanti, con il muso lungo e la faccia scura, lamentano continuamente d’essere rasseganti a vivere in un posto abbandonato da Dio e dagli uomini?... Per accogliere i turisti è necessario l’entusiasmo e l’ottimismo di chi è convinto d’essere nel luogo più bello del mondo e con il suo entusiasmo trasmette questa sensazione ai nuovi arrivati, richiama nuove presenze…
Se la mia non è soltanto una provocazione, se, per caso avessi ragione, allora sui tavoli di consultazione e concertazione sulla montagna malata, è mancata la diagnosi sul male vero, che non è infrastrutturale ma culturale. Se avessi ragione, sarebbe assumendo come obiettivo quello di far in modo che sia più bello e interessante sotto il profilo della realizzazione personale vivere in un paese di montagna, piuttosto che nella periferia di una città. Ma allo stesso tempo è indispensabile rispiegare a chi vive in montagna, (una volta che abbia risolto il problema del posto di lavoro) quali vantaggi abbia, rispetto a chi abita in città. Purchè tuttavia ci siano questi vantaggi!... Perché se in effetti non ce ne fossero, se ci fossero solo disagi, non si vede perché si debba convincere qualcuno a continuare a subire questi disagi. Per la salvaguardia e la manutenzione del territorio? Ma per questo potrebbero bastare le capre!...

sabato 6 ottobre 2007

Sì all'elettrodotto!

Si all’elettrodotto. Titolo così il mio intervento, perché sia chiaro sin da subito che si tratta di una provocazione. E’ che in questi anni ho visto costituirsi in Carnia tanti comitati dei no. Mai un comitato del sì! Per dire sì infatti, è necessario condividere qualcosa. Sembra facile! Ma prova a girare per la Carnia in movimento e verifica se ci sono due che riescono a condividere la stessa idea! Restando in tema con la provocazione iniziale, vorrei costituire il comitato del si all’energia elettrica a prezzo ridotto.
Bella demagogia! E chi non ci starebbe.
Il fatto è che già in Carnia a Paluzza e Sutrio si paga l’energia elettrica, lira più lira meno, la metà di quanto si paga nel resto della Carnia e del Friuli. Perché non estendere il beneficio a tutto il territorio? Sarebbero necessari degli investimenti importanti per consentire alla Secab l’acquisizione delle reti di tutti i Comuni. Ma a fronte del beneficio generalizzato su tutte le utenze, sia quelle pubbliche che quelle private e quelle per gli insediamenti produttivi, forse si potrebbe anche scegliere di rinunciare a qualche ponte. O si potrebbero investire in questa direzione i finanziamenti oggi sprecati sui contributi per le legna da ardere. Acquisite le reti si dovrebbero mettere assieme le centraline della Comunità Montana.
L’energia prodotta non sarebbe ancora sufficiente a coprire il fabbisogno della Carnia. La si potrebbe allora importare dall’Austria, dicendo si ad un elettrodotto, che passerebbe portandosi l’energia per Pittini e per Fantoni, ma anche quella per la Secab-Carnia, lasciando anche un beneficio a tutto il territorio.
Ma dovrebbe essere aereo o interrato? In termini di impatto ambientale, facendo mente locale al passaggio dell’oleodotto, non so quale sarebbe il più pesante! Imitando l’Austria dove anche i parchi naturali a volte sono attraversati da imponenti elettrodotti, il comitato del si più che sull’alternativa aereo-interrato, potrebbe impegnarsi a studiare il dove l’impatto potrebbe essere meno evidente, e comunque a ragionare sempre in termini di costi-benefici. Valutando come costo il danno ambientale, e come benefici le ricadute economiche a favore del territorio. Così, indipendentemente dalla soluzione proposta sarei per un no di principio ad una industria, qualsiasi essa sia, che prima mi vende le sue centraline e poi mi chiede di passare con un elettrodotto. Valuterei invece positivamente il beneficio che può venire ad industrie che possono consolidare il loro sviluppo nel territorio dell’Alto Friuli.
Anche per quanto riguarda il percorso cercherei la soluzione più favorevole, in termini di rapporto costi-benefici. Così invece che pensare soltanto alla zona industriale di Osoppo, salirei pensando a quella di Trasaghis, di Bordano, di Carnia-Venzone, di Moggio e poi forse potrei anche riuscire a proseguire restando sempre nell’ambito dei territori del Comune di Moggio, facendo in modo comunque che ci siano delle ricadute a favore di tutte le industrie insediate nei Comuni attraversati.
Se non temessi d’andare fuori tema, vorrei soffermarmi anche ad immaginare gli sviluppi che potrebbe avere un cooperativa come la Secab-Carnia che avesse come utenti tutte le famiglie, i Comuni e le attività produttive della Carnia. Più che fuori tema è purtroppo una immaginazione fuori luogo, perché solo chi non è carnico potrebbe pensare alla possibilità di un Comitato del sì in Carnia. Ed io sono carnico doc. Per questo mi fermo a questa provocazione scritta per vincere la noia d’una giornata di pioggia!!!…