venerdì 26 gennaio 2024

Il passo di Monte Croce Carnico.

 


 

                 Nella introduzione alla storia della Carnia, ripubblicata da Biblioteca dell’Immagine l’anno scorso, scrivo che:

“Nel mio racconto, la storia della Carnia si sviluppa avendo come asse portante la strada per il Passo di Monte Croce Carnico. Ci sono momenti nei quali il Passo diventa luogo di transito e di comunicazione tra il Centro Europa e l’Adriatico, Coincidono con i momenti positivi di sviluppo economico, sociale culturale della Carnia. Ci sono momenti nei quali vengono privilegiati altri percorsi di collegamento come il Canal del Ferro. Il Passo perde allora importanza e il territorio diventa un imbuto. L’economia ne risente, ne risente quindi il modo di vivere di chi vi abita, ne risente l’atteggiamento culturale”

            Se questa premessa è vera, la frana che ha chiuso la strada per il passo la notte del primo dicembre scorso  è una frana che non blocca soltanto una strada, ma rischia di travolgere e celebrare le esequie di una Carnia già in crisi, per tanti altri motivi.

             Da qui l’urgenza di trovare delle soluzioni per quanto possibile risolutive, ma anche  in tempi molto rapidi.

             Tuttavia la soluzione non è semplice, come dimostra la stessa storia di questa strada. E’ stata voluta dai Romani perché costituiva il percorso più diretto e quindi più breve tra Aquileia e il Norico, il Centro Europa. Le tre iscrizioni che ci sono rimaste, scolpite sulle rocce del  percorso, testimoniano che nei quattro secoli di vita come strada romana, è stata soggetta a complessi lavori di manutenzione, con modifiche del percorso per superare le rocce del Malpasso da un lato (un nome che già dice tutto) o , dall’altro, per evitare le cadute massi dal Pal Piccolo.

            Comunque i Romani si erano tenuti sul versante opposto al Pal Piccolo, è stato il Genio Militare, nel primo dopoguerra, per individuare un percorso al riparo dai tiri d’artiglieria nemica che  ha avuto la idea rischiosa di intaccare con i tornanti di una strada,  le pareti del Pal Piccolo. La montagna è diventata così “una bomba ad orologeria” come scrive Corrado Venturini il geologo nato a Timau, che, per raggiunti limiti d’età,  ha da poco lasciato all’Università di Bologna la cattedra che era stata di Michele Gortani.

            Per il giornale di Timau “Asou Geats” ,senza mezzi termini., ha scritto che “ il fatto che non ci siano state ancora vittime,configura l’evento come un monito lanciato dalla montagna e dalle sue rocce. Un avvertimento per chi avesse intenzione in futuro di insistere pervicacemente nel riattivare quel medesimo tragittto sperando, ingenuamente, di rendere stabile il versante. Un versante lungo il quale ulteriori numerosi ordigni a tempo attendono solo di concludere il proprio conto alla rovescia”.

            Aggiunge che “la ragione di tale diffusa criticità va ricercata indietro nel tempo, a 360 milioni di anni fa”, e poi cerca di spiegare, con esempi apparentemente semplici concetti tutt’altro che semplici, come si siano venute formando le montagne della Carnia in questi milioni di anni, creando la bomba ad orologeria del Pal Piccolo.

             Lasciando a una prossima puntata il riassunto delle sue spiegazioni, le conclusioni a cui arriva il geologo, credo sconsiglino qualsiasi tecnico dal mettere la firma, su qualsivoglia progetto di riattivazione e sistemazione dell’attuale percorso, individuato da Lequio a fini militari  e poi trasformato in strada nazionale negli anni trenta del secolo scorso.dall’Anas di allora.

            Del resto, lo stesso ingegnere Carpenedo che come tecnico potrebbe essere chiamato a garantire con la sua firma il futuro della strada, come scrittore nel suo pregevole lavoro di ricerca storica intitolato “la strada di Monte Croce Carnico” pubblicato dal Circolo Culturale Enfretors di Paluzza, senza mezzi termini, a proposito della strada costruita dalla impresa Paladini scrive che “venne costruita una strada molto bella nel posto sbagliato. In quel versante la caduta di massi, a volte di grandi dimensioni, provenienti dalle bancate calcaree verticali e persino a franappoggio che sovrastano la strada, è inarrestabile.”

            Se cosi è, messa da parte l’idea di riprendere a crogiolarsi con la suggestione del traforo, una volta accertato che gli austriaci non sono interessati, se proprio non sono contrari,  senza sprecare altro tempo, è necessario riprendere in mano il percorso della strada romana, con le tecnologie oggi a disposizione, avendo cura di lavorare in sintonia con la Soprintendeza archeologica per mettere in luce e valorizzare i resti della strada romana, evitando i conflitti inutili che ritardano la realizzazione della pista ciclabile Amaro-Tolmezzo sulla ex ferrovia.

            Si legge sulla stampa dell’esistenza già di due proposte progettuali che interessano il versante della strada romana: una la strada definitiva che dovrebbe sostituire quella attuale, l’altra una pista forestale.

            Non ho le competenze tecniche per esprimersi al riguardo ma mi piace pensare che si dia da subito l’avvio ai lavori per la strada forestale, propedeutica alla nazionale. Se realizzata con i criteri imposti dalla UE e che si vedono applicati nelle recenti strade agro-forestali, come quella che da Castel Valdaier porta a Stua Ramaz. attiverebbe comunque un collegamento seppure provvisorio con la Carinzia, e potrebbe essere utilizzata anche come strada di cantiere per la strada principale.

            Per i finanziamenti la strada forestale potrebbe essere di competenza regionale e quindi immediatamente cantierabile, mentre quella definitiva dovrebbe rifarsi a finanziamenti nazionali, essendo indubbio il carattere di strada nazionale a valenza internazionale che ha la strada per il passo di Monte Croce. Lo spiegava già molto bene Giuseppe Marchi nell’esposto (che giustamente l’ing. Carpenedo ha voluto riportare in forma anastatica in appendice al suo libro) quando, all’inizio del secolo scorso, richiedeva un intervento dello Stato per riattivare una strada, che dopo secoli di incuria era ridotta a poco più che un sentiero.

            Alla fine con la tecnica di due piccioni con una fava, avremo una bella strada sicura che si connette al tratto che scende a Mauthen, già messo in sicurezza dagli austriaci, e un pista ciclabile a grande valenza storico-paesaggistica perché potrebbe riportare  in luce e  valorizzare altri  resti della strada romana, oltre a quelli esistenti.

            Da un lato una strada che riporta la Carnia al ruolo di ponte tra l’Europa e il mare, recuperando la visione lungimirante dei Romani che ha favorito a suo tempo lo sviluppo di Iulium carnicum. Dall’altro, un circuito ciclabile di valenza internazionale che collega Tarvisio a Tolmezzo attraverso la valle della Gail, e unisce la valle del But  al Canal del Ferro valorizzando ancor di più la ciclovia Alpe Adria.

            Per una volta, mettendo assieme lungimiranza e urgenza. Binomio non facile da realizzare in politica! Ma non è detto che questa non sia la volta buona!...     

martedì 19 dicembre 2023

Michele Gortani raccontato nel "suo" Museo.

 

Come racconterei la vita di Michele Gortani a dei ragazzi in visita al Museo, in una lezione introduttiva che li aiuti a condividere quell’amore che portò Michele a dedicare gli ultimi anni della sua vita ad allestire questa raccolta-memoria di come si è vissuti in Carnia fino al Novecento?

 

Penserei a un breve filmato con il quale i ragazzi vengono introdotti alla visita del Museo. Immagino una lezione di 30 minuti, organizzata in scene, tenuta da una giovane insegnante, accompagnata da slides, sulla base dello schema riprodotto sulla parete di sinistra della sala.

 

I scena – Michele Gortani nasce in Spagna perché lì si trova la sua famiglia per lavoro. Suo padre non è però il solito emigrante carnico ma un ingegnere. I Gortani sono famiglie importanti nella Carnia dell’Ottocento. Giovanni, suo prozio, a cui è dedicata una  via a Tolmezzo è stato uno studioso della storia locale, scrittore di storia e leggende, garibaldino e sindaco di Arta. Anche suo padre è uno studioso di storia locale.

            Michele ha quindi il vantaggio di non partire da una famiglia di umili origini. Ma ciò che insegna la sua vita è che non importa da dove si è partiti, con quali handicap di partenza, la differenza la farà la convinzione con cui si assumono degli obiettivi e la conseguente determinazione a impegnarsi a metterli in atto.

            Dal Padre (foto) gli viene l’interesse e la passione per la geologia, a 21 anni si laurea a Bologna e decide di darsi alla carriera universitaria per coltivare la sua passione che focalizza in particolare sulla Carnia che ha scoperto essere uno scrigno di sorprese geologiche. Come si vede nella presentazione del Geoparco delle Alpi Carniche. Come hanno poi studiato tanti suoi alunni, ultimo il carnico Corrado Venturini che ha avuto l’onore di succedergli sulla cattedra all’Università di Bologna.

 

II – Ma come avviene spesso nella vita di ognuno di noi, dice il proverbio che l’uomo vede e Dio provvede. A cambiare la sua vita intervenne la scelta del territorio di candidarlo alle elezioni del 1913, accettò perché in lui amore per la scienza e amore per la Carnia si fonderanno per tutta la vita. A trenta anni arrivò vosì in Parlamento a rappresentare la Carnia.

 Ma due anni dopo il cambiamento nella sua vita, come in tanti suoi coetanei, fu più radicale: nel 1915 scoppia la Prima Guerra Mondiale e viene  chiamato alle armi, sul fronte di casa.

Pensa di essere utilizzato per le conoscenze che ha delle montagne del fronte, è invece si trova come addetto di fureria e cercare alloggi per i militari al fronte. A ulteriore testimonianza di come vengono male utilizzate le competenze inn quella guerra, in Carnia c’è anche il generale  Douhet un esperto internazionale di aviazione, relegato alla fare il fante di montagna. I due si incontrano pensano sia un loro dovere far avere al Parlamento le loro critiche alla conduzione della guerra. Ma lo scritto della loro denuncia viene intercettato Douhet rischia la corte marziale e la pena di morte, Gortani perché parlamentare, se la cava con tre mesi di prigionia al forte di Osoppo.

 

III – Caporetto

            Gli errori nella conduzione della guerra denunciati da Gortani portano alla disfatta di Caporetto, e quindi per la Carnia alla tragedia della profuganza. Qualcuno decide di restare sotto il dominio austroungarico, ma molti preferiscono fuggire e si disperdono in ogni parte d’Italia. Come soldato e parlamentare Gortani si prodiga a favore dei profughi.

            Con la battaglia di Vittorio Veneto del 4 novembre 1918, termina la guerra Anche in Carnia si cerca di tornare a una difficile normalità. Gortani  pensa d’avere dei meriti come ex combattente e si candida al parlamento appunto nella lista degli ex combattenti. Ma non viene eletto. Prova così che cosa è l’ingratitudine, ma anche che cosa è la politica. Ha perso infatti per il mancato appoggio della Chiesa, perché cattolico ma anche liberale.

 

IV   Gortani riprende a fare l’insegnante universitario  . Ma in Italia sta cambiando tutto. Per superare la situazione di ingovernabilità che si è creata a fine guerra il re chiama a formare il Governo Benito Mussolini che Gortani ha certamente già conosciuto quando nel 1906/7 faceva il maestro elementare a Tolmezzo.

            Ha inizio quella che sarà chiamata l’era fascista. Gortani che fascista non è capisce fa suo il detto che contro la forza ragion non vale e per ragionare a favore della Carnia anche con il fascismo, chiede la tessera. Ma si oppone la  sezione tolmezzina del fascio, e Gortani fa le prove di come sia vincente in Carnia il sentimento dell’invidia. Non demorde e nell’intento di contribuire comunque al benessere della Carnia nel 1928 con Giovanni Pittoni fonda l’Associazione Pro Carnia –per lo sviluppo del turismo. Anticipando l’idea che questo settore economico avrebbe potuto essere quello del futuro della Carnia.

 

V – Con la fine di Mussolini destituito il 25 luglio del 1943, l’Italia pone fine alla disastrosa alleanza con il nazismo di Hitler. L’8 settembre il generale Badoglio, nuovo capo del Governo, comunica l’alleanza con gli Anglo-Americani che dalla Sicilia stanno risalendo l’Italia e sono arrivati a Roma.

            Ma il nord Italia continua ad essere occupato dai nazisti alleati con i fascisti che hanno dato vita al Governo della Repubblica di Salò. La Carnia addirittura diventa territorio tedesco, inglobata nell’Adriatiches Kustenland. Nella primavera del 44 anche in Carnia si sviluppa il movimento partigiano.

Con i tedeschi che si sono ritirati a Tolmezzo, la Carnia si dichiara Zona Libera, Per alcuni è stata una “estate di libertà”, per altri una estate da guerra civile “di carnici contro carnici”. Comunque alla fine dell’estate a porre ordine per conto dei Tedeschi arrivano i Cosacchi, non solo un esercito ma un popolo cui è stata promessa la Carnia come nuova patria. L’8 di ottobre Tedeschi e Cosacchi decidono di riprendersi il territorio con l’operazione Waldlaufer. Lo fanno con forze ingenti. L’Arcivescovo sconsiglia una inutile resistenza per evitare le conseguenti rappresaglie sulla popolazione. Gortani interpreta in Carnia la posizione del Vescovo , ma i partigiani oppongono una opposizione di principio. Gortani dovrà così registrare nel racconto che farà di quei giorni intitolato, il Martirio della Carnia, del saccheggio della  valle del But, delle donne stuprate, mentre i partigiani distruggevano inutilmente i ponti, creando ulteriori disagi alla popolazione.

 

VI Anche in Carnia  arriva il 25 aprile della liberazione, con uno strascico però, quello della strage di Ovaro del 2 maggio per l’assurda pretesa dei partigiani di obbligare i Cosacchi a consegnare le armi.

            Si apre il difficile periodo della ricostruzione, materiale ma anche sociale perché la Carnia ha vissuto una guerra civile.

            Gli intellettuali carnici, Gortani compreso, pensano che dall’autonomia possa derivare la soluzione per i problemi della montagna. Gortani media tra le diverse posizioni e nasce così la Comunità Carnica. Una esperienza che porterà Gortani (di nuovo senatore e costituente dal 1948 al 1953 per la Democrazia Cristiana) a battersi a livello nazionale a favore della montagna e sono anche merito suo i due articoli della Costituzione in cui di parla di montagna e artigianato.

            Beffa delle beffe. Quando Gortani vecchio chiederà di continuare a far parte dell’Assemblea della Comunità, come delegato del Comune di Tolmezzo, gli verrà negato l’incarico e dovrà ricorrere alla generosità del Comune di Ovaro.

            Avrebbe ben avuto motivo per prendersela con i carnici, e invece dal suo lavoro nella parte finale della sua vita nasce il Museo che oggi si può visitare, vero monumento alla storia della Carnia.

VIII – In visita per ricordare e capire cosa è Gortani per la Carnia dovete pensare a che cosa è costato in tempo e pazienza raccogliere una documentazione così completa degli oaggetti che hanno fatto al storia della Carnia.

            Ma ogni oggetto ha una sua storia, la storia di chi l’ha usato, ma anche la storia di chi l’ha immaginato e costruito. Pensando all’uso che se n’è fatto rivediamo la storia della gente di Carnia che viveva, spesso sopravviveva, di allevamento del bestiame e di emigrazione. Una storia che è morta.

            Pensando al come è stato realizzato l’oggetto riflettiamo sulla “ingegnosità” del carnico che già Fabio Quintiliano Ermacora, (il primo storico della Carnia, ricordato in una delle vie centrali di Tolmezzo) nel suo De Antiquitatibus Carneae  definisce “callido et sagaci ingenio - d’ingegno furbo e perspicace».

            Una ingegnosità che non è morta, che ha visto espressioni eccelse come in Jacopo Linussio, ricordato in tante sale del museo, ma che può trasmettersi anche dalle suggestioni che possono venire a ognuno di noi dalla visita al Museo, se sappiamo fare in modo che la visita diventi una esperienza personale dentro all’anima della gente che ha fatto la storia della Carnia.

            Il Museo che Gortani ha pensato e voluto, nasce dal suo amore per la Carnia, non è un luogo per coltivare la nostalgia ma per allevare la speranza.

 

domenica 8 ottobre 2023

Danrte Spinotti: un esempio.

 

            Dante Spinotti con Nicola Lucchi

            “Il sogno del cinema. La mia vita, un film alla volta”.

 

            A leggere l’autobiografia che Dante Spinotti ha scritto assieme a Nicola Lucchi per la editrice “La nave di Teseo”, mi sono sentito nei panni di un pastore che, senza essere mai uscito dalla Carnia, un giorno s’è visto atterrare nei suoi pascoli una specie di marziano  che veniva dall’aver girato il mondo, dall’aver vissuto la vita fantastica di Hollywood.

            Ma non si trattava di  una marziano! Poteva sembrare impossibile ma era anche lui un carnico! Autentico, DOC. Non tanto perché è nato a Tolmezzo il 24 agosto di ottanta anni fa, ma perché è della stirpe degli Spinotti. Il nonno paterno Riccardo è stato, assieme a Cella  il fondatore della Cooperativa Carniva.            Nella casa di Muina in Carnia, ereditata dal prozio del padre, Giovanni Antonio Spinotti, Dante bambino, ha potuto “cimentarsi” con le attrezzature di un laboratorio fotografico. Poi ha potuto mettere a frutto la passione acquisita, al seguito dello zio Renato che faceva il fotografo nientemeno che in Kenya.

            Per recensire una biografia è necessario in qualche modo condividere gli interessi e la passione di chi ha scritto. Io, in comune con Dante, ho solo l’anno di nascita. A 17 anni io frequentavo il cinema ai terzi posti del “De Marchi” di Tolmezzo, lui faceva le prime esperienze con le cineprese in Africa.

            Io sono il pastore rimasto in Carnia lui s’è costruito un percorso di vita come direttore della fotografia in ambito cinematografico che viene ben sintetizzato già nel titolo del libro “Il sogno del cinema. La mia vita, un film alla volta”.

            Ammirato, faccio mio con piacere il giudizio di Anthony Hopkins che lo definisce “uno dei più grandi direttori della fotografia italiani del XXI secolo” e mi fermo al giudizio di questo grande attore, quando aggiunge che Dante: «Ha un talento straordinario, usa la cinepresa per catturare quello che non è visibile a occhio nudo.»

            Non è affar mio recensire il libro di un direttore della fotografia, anche se mi pare di capire che ripensando la sua vita, Dante scrive brillantemente la storia del cinema degli ultimi cinquanta anni. Per questo vorrei provarmi a dire qualcosa sul  libro dell’uomo Dante, consigliandone la lettura in particolare ai giovani.

            È il romanzo di una vita che  inanella una serie di quelle che lui chiama “fortunate circostanze”, ma dalla quale emerge una grande capacità di “cogliere al volo le occasioni”.

            Nella vita di ognuno scrive si presentano dei “turning point”, momenti di cambiamento e trasformazione, che si deve avere il coraggio di affrontare.

             Ma se è vero che la fortuna aiuta gli audaci, la vita di Dante, dimostra che è l’inventiva, la capacità di essere innovativi che consente di emergere.

            Al capitolo intitolato “fortunate circostanze” fa immediatamente seguito quello intitolato “parola d’ordine: sperimentare”. L’intuizione su un particolare gioco di luci, cambia l’immagine, riesce a rendere più intensa un’ emozione.       Questa sensibilità, questo intuito per l’invenzione,  che fa la differenza per il direttore della fotografia, può farla :in qualsiasi ambito ci si trovi ad operare. Ed è una sensibilità che in qualche modo ha a che vedere con le tue radici.

            Ho conosciuto Dante quando mi ha coinvolto nel documentario “Inchiesta in Carnia” con il quale avrebbe voluto “dare una scossa” ai Carnici. È la stessa scossa che dovrebbe venire ai carnici dalla lettura del racconto della sua vita. In particolare ai giovani che, a quanto si dice, si sentono soffocare dall’atmosfera civile e culturale che opprimerebbe la Carnia.

            Scrive a pag. 308:«Nella zona di Santa Monica in cui risiedo, mi capita spesso di uscire per lunghe camminate. Tutto e curato, sereno, impeccabile, ma nonostante questo manca qualcosa: Sono passeggiate che svolgo per lo più per il mio benessere psicofisico, per svagarmi o fare esercizio. In queste lunghe camminate, io mi annoio. Qualcosa che in Carnia, percorrendo gli stessi chilometri, in qualsiasi luogo, non accade.             In Carnia non ci si annoia perché è possibile sentire sotto i piedi migliaia di anni di cultura che in qualche modo ti appartengono. Significa percepire la bellezza di tutto ciò che ti circonda e che ti ha preceduto e che, evidentemente, ha lasciato un segno nel tuo DNA.»

            Volendo scrivere la mia recensione per i carnici, mi sono permesso di scrivere Carnia, dove lui ha scritto Italia. Ma non credo d’aver falsato il suo pensiero visto che poco prima aveva scritto: «C’è sempre qualcosa che in me si muove quando torno in Italia, soprattutto in Carnia, dove affondano le mie radici.»

                                   Igino Piutti dal sito “Cjargne Online”

mercoledì 4 ottobre 2023

Carnia domani.

 

          Ai tempi del mio impegno come amministratore pubblico (Sindaco di Tolmezzo e Presidente dell’Agenzia per lo sviluppo economico della montagna), pensavo che la montagna si dovesse salvare dalla piaga dello spopolamento, portando i posti di lavoro in montagna. Ora che mi interesso della storia (è appena uscita la seconda edizione della Storia della Carnia), m’è venuto il dubbio ch l’approccio si stato sbagliato.

            Nel nuovo capitolo che ho inserito, intitolato “Carnia in Crisi”, metto in evidenza come c’è una fuga in atto non motivata più dalla mancanza dei posti di lavoro, ma proprio dal rifiuto di vivere in montagna. All’entusiasmo di quelli che vengono da fuori e ne scoprono la bellezza, fa riscontro nei nativi  una sorta direi quasi di odio derivato forse dai maggiori sacrifici sia economici che personali che comporta la vita in montagna ma anche come rileva Patrick Heady, citato  nel mio testo, dal fatto che per i giovani non è facile vivere con un “popolo duro” in un’atmosfera sociale dominata dal binomio “invidia ed egoismo”.

            Comunque la si pensi, dalla storia si ricava che la Carnia, come in genere la montagna, è stata abitata intensamente, perché consentiva in qualche modo di sopravvivere. Prima nella forma comunitaria delle vicinie, poi anche nella parcellizzazione esasperata dei terreni,  l’erba dei prati consentiva di allevare degli animali che con i loro prodotti garantivano la possibilità di vita degli uomini. Ci si è spinti così a raccogliere fin l’ultimo filo d’erba a ridosso delle rocce, distribuendo gli insediamenti umani ovunque ci fossero dei fili d’erba da raccogliere.

            Ora che l’erba ha perso ogni valore, che senso ha investire per convincere la gente a restare dove è finita per necessità e non per scelta?

            Da altre parti si è saputo sostituire il valore dell’erba con quello della bellezza del territorio e si è sviluppata un’ economia basata sul turismo. Ci aveva provato anche la Carnia all’inizio del secolo scorso. Ma  come testimoniano i tanti alberghi chiusi, si è preso atto che non era dei carnici la vocazione al turismo.

            E quindi?

            In attesa che qualcuno mi aiuti a darmi una risposta, in una visione distopica, immagino la Carnia con i paesi tornati allo stato di vicinie, con i prati commassati nel diritto d’uso e gestiti da un’unica azienda agricola in grado di reggersi economicamente, nelle modalità dell’agriturismo. Azienda che diventa punto di riferimento per un nuovo originale movimento turistico di quelli che dalla pianura e dalle città vogliono salire in Carnia per approfittare del silenzio dei paesi diventato assoluto e recuperare l’equilibrio psicofisico. O per ricercatori, studiosi e intellettuali che collegati in rete con il mondo vogliono approfittare del silenzio per spremere meglio le meningi.

           

martedì 17 gennaio 2023

Ancora la ciclabile nella lettera al Direttore del Messaggero Veneto.

 

Preg.mo Sig. Direttore,

            La ringrazio per il rilievo che ha voluto dare sul giornale al mio precedente intervento sulla pista ciclabile Amaro Tolmezzo.       Dopo aver premesso l’apprezzamento per l’idea di utilizzare a questo scopo il sedime inutilizzato dell’ex ferrovia, di fronte ai vincoli posti dalla Soprintendenza per “il mantenimento dell’armamento ferroviario esistente anche al fine di possibili futuri utilizzi a fini ferroviario-turistici” e al conseguente aggravio dei costi, suggerivo di rinunciare all’idea e proponevo un percorso alternativo. Sbagliando!


            Il Consorzio ha in proprietà il sedime dell’ex ferrovia e quindi non sono necessari espropri con relativi costi. Ma ci sono i costi imposti dalla Sovrintendenza!... Assurdi!

            Che senso ha infatti, mi dica Lei, obbligare il Consorzio a proteggere i binari sovrapponendovi la ciclabile? L’ipotesi a monte di questa decisione può essere solo quella che il Consorzio in futuro cambi idea, butti all’aria i soldi spesi per fare una pista ciclabile per riutilizzare il sedime ad altri fini! Ma sarebbe una pazzia!

            E la Sovrintendenza obbliga a spendere soldi pubblici perché questa follia rimanga realizzabile? Peraltro, dopo aver perso di vista i ben più storici binari della Carnia-Tarvisio, che hanno (opportunamente!) lasciato il posto alla pista ciclabile Alpe-Adria!...

            Il consigliere regionale Mazzolini ha giustamente sottolineato la assoluta priorità di questo intervento per lo sviluppo turistico della Carnia. Mi auguro sappia far intervenire da Roma il “Governo del lasciar fare e lasciar lavorare” a dire alla Soprintendenza che la Carnia non ritiene di dover sprecare dei soldi regionali per tenere aperta la possibilità di legare il suo futuro turistico al fumo di una locomotiva a carbone che sale da Stazione per la Carnia a Tolmezzo.

            Sogno di poter percorrere tra breve in bicicletta una pista realizzata nel massimo rispetto dell’ambiente e anche con interventi che mantengano la memoria storica della ferrovia, ma senza l’assurdo di inguainare l’armamento ferroviario a futura memoria, di come si sapevano sprecare i soldi nel 2023. Vista la mia età, spero comunque non si perda altro tempo.     

mercoledì 4 gennaio 2023

 

La ciclabile Iulia-Augusta.

 

                 L’idea di trasformare la vecchia ferrovia Carnia-Tolmezzo in una pista ciclabile era una idea intelligente perché con la unica possibile diversa destinazione si salvavano i manufatti (i ponti e la galleria) e quindi  la memoria storica dell’opera. Di diverso avviso la Soprintendenza,  ritiene ancora possibile “scelte future di riuso della linea anche a fini ferroviario-turistici e quindi impone soluzioni che non compromettano queste possibili scelte". Con un sensibile aggravio dei costi.

Il manufatto che
andrebbe salvato

            L’idea della Soprintendeza è pura utopia, ma proprio per questo non può essere discussa, ma neppure presa in considerazione per lo spreco di denaro pubblico che implicherebbe. Mentre, come giustamente sottolinea il consigliere regionale Mazzolini “ il tratto  che collega Tolmezzo ad Amaro arrivando fino all’Alpe Adria, sarebbe strategico per lo sviluppo turistico estivo dell’Alto Friuli”.

            Non resta quindi che pensare a una soluzione alternativa, che,  siccome al dire di  mio nonno “no l’è un mal ca non seti encie un ben”, potrebbe risultare migliorativa, con un tracciato più piacevole, rispetto ai rettilinei della ex ferrovia. Per quel che può saperne un pensionato, dopo una sommaria verifica, lasciando ai tecnici di definire le soluzioni progettuali, immagino una ciclabile che prende idealmente il nome di Iulia-Augusta, perché invece di quello ferroviario dell’inizio del Novecento, riprende il tracciato voluto da Giulio Cesare per raggiungere Iulium Carnicum e poi il passo di Monte Croce. Basterebbe seguire la  vecchia strada statale, affiancandola  o allontanandosi, ove possibile, per rendere più suggestivo il percorso.

            Si potrebbe partire da Campiolo, nella fiduciosa attesa di quando il nuovo ponte sul Fella, avrà anche la corsia ciclabile. Si potrebbe  così far apprezzare le bellezze del quel percorso poco frequentato (le fortificazioni, il torrente Glagnò, la suggestiva cascata “Favarines”).

La porto dell'ipogeo
 del Vallo Littorio
La strada romana
al Sasso Tagliato
            Si arriverebbe ad Amaro affiancando la nazionale sulla destra, senza grossi problemi. Lascerei all’Amministrazione Comunale di Amaro di decidere tra la diverse soluzioni possibili per attraversare il paese in modo che la ciclabile diventi elemento di sviluppo locale. Non comporta nessun problema invece l’affiancamento alla statale  da Amaro a Pissebus, salvo qualche tratto da risolvere a sbalzo, come quello in coincidenza della caduta massi che sta obbligando alla chiusura attuale della strada. Al Sasso Tagliato invece che in galleria, si potrebbe riprendere proprio il percorso della vecchia strada romana, aggettante sul Tagliamento e intagliata nella roccia. La porta che consente l’accesso alla fortificazione del Vallo Littorio,  suggerirebbe l’idea di recuperi a fini turistici anche di quell’originale ipogeo voluto da Mussolini...Ma sarà per un’altra volta!
Si intravedono i resti
della vecchia strada
dei carri e delle diligenze

            Dopo Pissebus preferirei lasciare sia la nazionale che la ferrovia per abbassarmi nella campagna abbandonata infestata da rovi e noccioli, ombreggiando la pista  con un filare di gelsi a ricordo di un’altra pagina della storia della Carnia. Si dovrebbe pensare al costo degli espropri, ma trattandosi di terreni incolti, l’incidenza sarebbe senz’altro minore di quella degli oneri imposti dalla Soprintendeza per utilizzare la ex ferrovia.

            Arrivati a Chiampaman penserei a un bivio.

Proseguendo potrei attraversare Tolmezzo nel parco già realizzato sulla ex ferrovia. Prendendo a sinistra, invece, utilizzando strade esistenti, e la strada di servizio all’oleodotto, realizzerei la circonvallazione ciclabile di Tolmezzo. Si attraversa la zona industriale, si gira dietro alla Cartiera,  si affianca la pista Guida sicura e il Poligono di tiro. Si riattraversa la superstrada per un sottopasso che ai tempi della realizzazione avevo chiesto con l'idea del "non si sa mai" e che ora si rivela provvidenziale per congiungersi alla pista ciclabile esistente all'altezza del Bocciodromo. Da qui, si può entrare nuovamente a Tolmezzo per via Aldo Moro.

         Ma, proseguendo verso nord, per il tratto di circonvallazione già realizzata che passa dietro all’Ospedale, ci si collega alla già esistente Tolmezzo-Zuglio, portando poi i ciclisti a fare lo Zoncolan, con rientro dalla bella ciclabile Ovaro-Villa Santina.

Il ponte della ferrovia
 visto dalla nuova ciclabile
            Prendendo la ciclabile esistente verso sud, sperando che si allarghi con una ciclabile anche il ponte Avons, si raggiunge la suggestiva  Cavazzo-Pioverno attraverso la quale  i turisti possono tornare  a riprendere l’Alpe Adria a Venzone.

            Un sogno? Certo,  è necessario un progetto, una variante urbanistica…Ma i soldi ci sono già e se, come sottolinea Mazzolini  si conviene che “la tratta è troppo importante per lo sviluppo turistico per tutta la montagna dell’Alto Friuli” si sapranno trovare anche i tempi e i ritmi di priorità che, ai nostri tempi,  ci consentivano di operare rapidamente come Sindaci della Ricostruzione.


 



 

 

martedì 16 agosto 2022

 

           

RICORDANDO ALFIO ENGLARO          

  Ho  partecipato ieri sera a Paluzza al toccante e intenso ricordo di Alfio Englaro voluto e organizzato da Chei di Somavile. Mi sono sentito in colpa per non aver pensato a pubblicare un mio personale ricordo.

            Nella vita d’ognuno ci sono incontri che lasciano un segno. L’incontro con Alfio mi ha segnato nella mia passione per lo scrivere ma anche e soprattutto nel mio essere uomo. Avevamo idee diverse su tante cose, ma era un motivo per rendere stimolante il confronto.

            Era un grande uomo! Per la passione che aveva per la lingua latina era solito scrivermi le mail in latino. Homo sum humani nihil a me alienum puto. La frase di Terenzio (come uomo mi interessa tutto ciò che riguarda l’uomo) definisce bene il mio ricordo di una persona che viveva cercando il senso dell’essere uomo, in sé e nel confronto con gli altri.

            Era un grande medico! Perché curava uomini e non pazienti. Da ragazzo aveva pensato d’avere la vocazione al sacerdozio, rinunciato al sacerdozio, gli era rimasta la vocazione del sentirsi chiamato a dare se stesso agli altri.

            Ho perso un grande amico! Aveva il dono dell’empatia, perché ad un tempo sapeva dare e attrarre. Trasformava il rapporto tra individui in un rapporto tra uomini.

            La cultura carnica ha perso un personaggio importante! Cultura non è sapere, ma capire condividere e partecipare. Appunto! Capire il senso dell’essere al mondo e capire il contesto nel quale siamo al mondo, e quindi capire la storia dell’ambiente che ci circonda, e partecipare, per favorire il suo sviluppo per renderlo più a misura di uomo.  Per questo, a suo modo, Alfio è stato anche un grande politico, ad esempio nella battaglia a favore della Provincia dell’Alto Friuli. Nella convinzione (che io non condividevo!) che dall’autonomia potessero nascere nuove prospettive di sviluppo.

            Il sito di Cjargne online è la testimonianza di quanto e di come Alfio fosse un “pensatore”. Al suo “Paluzza in Carnia” deve tanto la mia “Storia della Carnia”.

            On omnis moriar (non morirò del tutto) diceva il poeta Orazio, vale anche per Alfio, per ciò che di lui resta in questo sito e nei suoi libri. Ma per lui, e per il mio rapporto con lui, vale il concetto di San Paolo sul quale, ricordo, discutevamo passeggiando sulla battigia di Lignano. Vita mutatur, non tollitur.    La vita ci viene trasformata, non tolta. Se è vero, come credo e credeva, il mio rapporto con lui si è solo trasformato: è diventato virtuale, in un’altra dimensione. Lo sento al mio fianco ogni volta che prendo la penna per scrivere qualcosa..