ILMIOLIBRO - L’Altopiano di Lauco - Libro di Igino Piutti (kataweb.it)
mercoledì 1 settembre 2021
venerdì 20 agosto 2021
giovedì 12 agosto 2021
LA CACCIATA DI FURIO.
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La ex canonica di Fusea. Nel balcone a sinistra l'alloggio di Furio. |
L’edificio è sempre
stato diviso, per quanto io ricordi, in due parti con accessi diversi: quella
che era l’abitazione del parroco con gli uffici parrocchiali, e l’asilo infantile.
Furio si sistema nell’ex asilo infantile.
Però la canonica è di proprietà del Comune di Tolmezzo con vincolo
di destinazione al culto (?) salvo un pezzetto di proprietà della Parrocchia.
(In termini di rendita catastale 764,56 contro 165,06). Ristrutturando l’ex
asilo Furio ingloba anche la parte della Parrocchia, ne consegue che il Comune
avrebbe dovuto stornare parte dell’affitto riscosso, a favore della Parrocchia.
Nulla di più semplice!
La gran parte dell’edificio resta a disposizione della Parrocchia di Fusea (nel
frattempo soppressa e inglobata in quella di Cazzaso!) e del Comune, per le
rispettive diverse attività. In qualche modo Furio fa anche da custode
dell’intero edificio!....
Ma deve essere stato
almeno il diavolo a infilare la coda e rendere tutto complicato. La Parrocchia
chiede di “disporre effettivamente dell’uso della intera Canonica di Fusea”.
Come già non l’avesse! Ad abundantiam anche senza la porzione occupata da
Furio. Ma che il problema sia Furio lo si capisce dalla convenzione nella quale
si specifica che la parrocchia rinuncia a rivalersi delle quote di affitto
indebitamente riscosse e il Comune alle pretese che potrebbe accampare per le
migliorie apportate da Furio anche nella proprietà della parrocchia.
Il Comune aderisce
alla richiesta “restituisce alla Parrocchia (di Cazzaso perché quella di Fusea
è stata soppressa!) la parte di proprietà di quest’ultima e rimette la
Parrocchia stessa in condizione di disporre effettivamente dell’uso dell’intera
Canonica di Fusea”, mantenendo a proprio carico l’onere per la manutenzione
straordinaria per la parte di sua proprietà
(sic!).
A suo tempo avevo
pensato che qualcuno in Consiglio Comunale sollevasse l’assurdità di questa
convenzione, ma forse si dovrà attendere che la prenda in mano la Corte dei
Conti.
Ma che ne è di Furio? Nessun problema, il parroco gli fa avere una bozza di contratto di affitto, lasciando così intendere che cambierà solo il locatario.
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L'ex asilo occupato da Furio ora con evidenti i segni dell'abbandono. |
Ma a convenzione
stipulata (19.06.2017) il 28 novembre il
Parroco di Cazzaso a sorpresa si rende conto che ha un abusivo nella
canonica di Fusea. Una cosa insopportabile! Sarà perché trattasi di professore
universitario che chissà quali devianze culturali può portare in paese, sarà
perché convive more uxorio con una donna senza essere unito dal vincolo
sacramentale, sarà…la coda del diavolo!
Una urgenza insopprimibile! Tant’è che intima al malcapitato di andarsene e, con le buone maniere lo informa che “trascorsi inutilmente sessanta giorni di tempo dalla ricezione della presente, la Parrocchia dovrà procedere con tutte le azioni a tutela degli interessi della Parrocchia stessa nelle sedi opportune”.
Perché?
Perché nel frattempo ha scoperto che “non è nemmeno ipotizzabile stipulare un
contratto di qualsivoglia natura con con
la S.V….perchè configgente con la destinazione d’uso che l’immobile deve
mantenere”. Cioè vuoto! Ma la bozza di contratto che aveva precedentemente
recapitato a Furio? Boh!
Se fossi in Consiglio
Comunale mi farei qualche domanda sia sull’uso delle proprietà comunali, sia
sull’esempio che abbiamo dato a favore del ripopolamento della montagna o della
cultura su cui anche il Parroco di Cazzaso sostiene che dobbiamo contare come
settore per lo sviluppo.
Se fossi…Ma non
sono…Chiudo quindi con una aneddoto personale che mi lega a quella canonica.
Come primo lavoro appena diplomato maestro a diciassette anni ho avuto
l’incarico di addetto al censimento del 1960. In tale veste sono entrato in
quella canonica. Le solite malelingue facevano girare delle voci sulla donna
che vi abitava. Ho chiesto al Parroco se la dovevo registrare come “perpetua”.
“No, no!”, mi ha risposto “scrivi, convivente”
Perché Furio si metta
il cuore in pace, chiudo con un altro aneddoto. I locali da lui occupati erano
quelli dell’asilo infantile parrocchiale, che come era d’uso, aveva una piccola
sala teatro.
Con l’entusiasmo dei
vent’anni avevo scritto una farsa e allestito una “compagnia teatrale di
Cazzaso” che la recitasse. L’abbiamo data anche nel piccolo teatro di Fusea.
Era destino che quei locali finissero in farsa! Se poi ci si mette anche la
coda del diavolo il destino diventa per forza “configgente” con chi si diletta
di studi di storia e del fascino della valle del But.
Facciamocene una
ragione!
LA VERITA’ CI RENDE LIBERI.
Avevo deciso d’ abbandonare l’argomento della cacciata di Furio Bianco,
ma avendo qualcuno messo in dubbio la verità dei fatti, tenendo alla verità, mi
sento in dovere di riassumerli.
1 – 18.09.2017 - Il Comune
di Tolmezzo notifica a Bianco d’aver ceduto alla Parrocchia di Cazzaso i locali
della ex canonica di Fusea nei quali abita da anni in affitto dopo averli
sistemati e chiede anche gli arretrati a saldo, di 535,28 euro.
2 – Precedentemente, (mentre è
in corso la trattativa tra Comune e Parrocchia), il parroco fa avere a Furio
una bozza di contratto di locazione. Per far credere al Comune che avrebbe
mantenuto i rapporti con l’affittuario?
3 – 28.11.2017 – il Parroco rovescia il tavolo e scrive a Furio che
“non è nemmeno ipotizzabile stipulare un contratto di qualsivoglia natura con
la S.V. in quanto la competente autorità ecclesiastica, cui ogni atto di tale
genere è giurisdizionalmente sottoposto, non lo potrebbe autorizzare, oltre che
risultare configgente con la destinazione d’uso che l’immobile deve
mantenere…trascorsi sessanta giorni dalla ricezione della presente, la
Parrocchia dovrà procedere con tutte le azioni a tutela degli interessi della
Parrocchia stessa nelle sedi opportune”
Sessanta giorni di tempo perché la Parrocchia di Cazzaso, diventata
proprietaria della Canonica di Fusea aveva urgenza di ripristinare l’uso che
l’immobile deve mantenere. Cioè vuoto! Anche perché i locali occupati da Furio
erano propriamente non quelli storicamente utilizzati come canonica ma quelli
destinati ad Asilo infantile.
Che vi continuasse ad
abitare un uomo di cultura che, andato in pensione poteva continuare a dare il
suo contributo di studio al paese e alla Carnia è configgente con la
destinazione a vuoto!!!
Resta di capire perché
il Comune abbia ceduto un bene di sua proprietà perché restasse inutilizzato,
mantenendo l’impegno alla manutenzione straordinaria. Ma questa è un’altra
storia!
lunedì 22 marzo 2021
Paesi di prossimità
Per occupare il lokdown, fra gli altri libri sto rileggendo “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger e mi ha colpito il commento del Papa alla parabola del buon samaritano (pag. 231). In questi giorni dominati dalla necessità del distanziamento, mi sono trovato a riflettere su come la nostra società abbia perso il valore della prossimità. Nei paesi della società contadina, tutti erano prossimi tra loro. Tutti conoscevano tutto di tutti. A volte solo per sparlare. Ma anche lo sparlare è in qualche modo condivisione. Oggi non si sa nulla neppure di chi ha l’appartamento che dà sul nostro stesso pianerottolo.
Cosa significa avere dei “prossimi”? Chi è il
tuo prossimo? Alla domanda, ricorda il papa Emerito, il Vangelo risponde con la parabola del
samaritano. C’era un uomo ferito sulla strada, ma un sacerdote ed un levita
passarono oltre. “Forse più per paura che per indifferenza” commenta il Papa.
Arrivò un samaritano, un estraneo se non un nemico ed ebbe invece compassione.
Traduciamo in questo modo un termine molto più forte perdendo “l’originaria
vivacità del testo”: più esatto sarebbe tradurre “gli si spezzò il cuore”,
continua il Papa. La vista dell’uomo ferito lo prese nelle viscere, nel
profondo dell’anima.
Il valore della prossimità sta non in un
atteggiamento caritatevole o assistenziale, ma nel sentire il prossimo dentro
di noi, parte di noi. Il prossimo, non soltanto l’amico!
Il samaritano non è né un prete né un levita, ma
è uno che ha il coraggio di essere uomo. In quanto uomo sente il prossimo come
un fratello del quale non ci si può disinteressare. Perché, dice il Papa, se
sei veramente uomo, l’altro, il fratello entra in te, diventa parte di te, come
se fosse un elemento del tuo corpo. La ferita anche del dito mignolo è un
grande dolore per tutto il corpo.
E questa non è una verità di fede, ma un
discorso assolutamente laico per i laici. Il bello del libro, a mio avviso, è che per la prima volta un Papa scrive da
laico.
Non è un discorso di sinistra, perché il
samaritano non lascia tutto per mettersi a fare il missionario nella pretesa di
salvare l’umanità. Il samaritano è un mercante, iscritto alla confcommercio se
non alla confindustria, che continua a fare il suo mestiere. Ma è prima di
tutto un uomo, cui si spezza il cuore quando incontra un prossimo…Possiamo
immaginarci una società di mercanti ai quali si spezza il cuore? Perché no? Un
ideale è sempre un punto di arrivo, non di partenza.
Nell’ultimo
capitolo della Storia della Carnia che ho pubblicato per Biblioteca
dell’Immagine prima che scoppiasse la pandemia, immagino una ripresa di
sviluppo del territorio che parta dai paesi, ricostituiti come erano le
storiche “vicinie”. La pandemia rende ancora più attuale la prospettiva. Avrà
un senso vivere in montagna se avrà un senso vivere nei paesi ridiventati luoghi di prossimità. Perché forniti dei
servizi di prossimità. Certo. Ma anche perché ridiventati luoghi ove si vivono
i rapporti di prossimità nei termini su cui porta a riflettere il Papa emerito.
Sarebbe un passo importante, se attraverso i servizi di prossimità si riuscisse
a reintrodurre il valore della prossimità. Il vivere in paese diventerebbe
allora un modello di eccellenza per la qualità della vita, capace di attrarre
gente, non di indurla a emigrare, come ora avviene.
mercoledì 6 gennaio 2021
Identità carnica (ancora!!!)
“Attenzione però!” scrive Gian Mario Villalta direttore di Pordenone legge sul MV di lunedì 4, a parlare di idioma friulano, idioma ha la stessa radice etimologica greca di idiozia, l’atteggiamento di chi si chiude in se stesso, dell’uomo senza cultura.
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Sul punto più alto della Carnia. |
Forse per questo
qualcuno ha fatto giustamente rilevare nei commenti su face book che a volte ci
si vergogna a usare l’idioma non volendo passare per “contadini” .
Ma è proprio qui, ( a
parer mio parere di contadino rifatto!)
che abbiamo sbagliato! E continuiamo a sbagliare. Il vantaggio dell’idioma
friulano sta proprio nel fatto che è (ìdios=particolare, questa la traduzione
del termine!), particolare perché così diverso dall’italiano, ma così legato a
un ambiente particolare a una particolare storia. Ove “particolare” sta per
originale, pieno di fascino. Dovremmo menar vanto di conoscere il friulano. Ma
non per aver imparato a scuola quello della koinè, ma per
averlo “succhiato” in famiglia, “l’idioma che prima i padri e le madri
trastulla” come scrive Dante (Paradiso XV, 122). Un modo di essere e di sentire
prima ancora che un modo di dire.
E con l’inglese come
la mettiamo? E dimostrato che la diglossia favorisce l’apprendimento
linguistico. E con la globalizzazione come la mettiamo? Più ci si sente “particolari” più ci si sente
cittadini del mondo ma con una marcia in più, perché “glocali”.
Non escludo, (anzi!)
come scrive Villalta su MVe ripete D’Avolio in face book che ci si possa
sentire friulani pur senza conoscere il
friulano. Il mio discorso è un altro. Sono partito da una affermazione non mia
che l’identità può essere un valore aggiunto in un progetto di rilancio della
Carnia, ho aggiunto la considerazione mia che la lingua può essere un elemento
a favore di questa identità.
Molti hanno ritenuto
fosse un handicap per i figli il friulano e si è arrivati al paradosso dei
genitori che parlano tra loro in friulano ma in italiano con i figli.
Credo si debba ripartire anche da qui
(certamente non solo da qui!). Penso che se nelle famiglie si riprendesse a
parlare l’idioma dei singoli paesi, questo contribuirebbe a ricostruire l’identità
dei paesi, che può essere il valore aggiunta per dare una nuova prospettiva ai
paesi, e quindi alla Carnia come rete di paesi vivi con una loro identità.
domenica 3 gennaio 2021
Identità Carnica.
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Una bella presentazione fotografica di Tolmezzo di Antonio Zuccon con un mio commento. |
Si sente dire che l’identità
dovrebbe costituire un valore aggiunto per facilitare la ripartenza dopo la
tempesta di Coronavirus. Una tempesta che si è abbattuta su una Carnia già in crisi,
come la tempesta Vaia sulle abetaie già infettate dal bostrico. Ma cosa sarebbe poi questa
identità? Si può veramente parlare di una identità carnica da assumere come
valore nel quale affondare le radici della ripresa?
Credo di si, e, per quel che può
valere il mio parere, ritengo si fondi su due elementi la diglossia e il paese.
Ora che va di moda parlare di bilinguismo io, (solitamente in controtendenza)
preferisco il termine diglossia. Per diglossia si intende la compresenza nel
bambino di due codici linguistici (così dicono
gli esperti), di cui uno, il dialetto, considerato inferiore all’altro. Per
bilinguismo invece si intende l’utilizzo di due lingue di pari livello. Da qui
le tante iniziative dei fatte dai friulanisti, in questi anni per elevare il
dialetto a rango di lingua. A mio modesto avviso invece l’operazione doveva essere l’opposto:
considerare il codice linguistico friulano superiore all’italiano. In Carnia
(come in Friuli) non si imparano e si conoscono di base due lingue, ma al
contrario si succhia dalle parole della madre, come dal latte materno, un modo
di esprimersi che è anche un modo di sentire. Più avanti si imparerà a tradurre
questo modo di esprimersi in una lingua: l’italiano, con tanto di grammatica e
di sintassi. Quella della madre, è
istintiva naturale. E’ sentimento. Quella che si impara è un’altra cosa. Sta
alla prima come la prosa sta alla poesia E’ una parafrasi, che può spiegare ma
non far sentire il brivido della poesia. Per dirne una, l’operazione dei friulanisti
che si sono inventati il passato remoto, invece che spiegarsi perché il
friulano si fermi al passato prossimo, mi pare una parafrasi mal riuscita.
Questo codice di comunicazione,
proprio per la sua radicale diversità da quello che si imparerà per colloquiare
al di fuori del paese, è l’elemento fondante della identità di paese. Tra
codice linguistico e paese si crea il circolo virtuoso della identità di
paese, che deve diventare il punto dove
poggiare la leva per risollevare e rilanciare l’identità di paese, come la
trama sulla quale intrecciare i valori della socialità, della prossimità, del
fare di un paese una comunità.
Per questo ritengo fondamentale che in una nuova programmazione dell’attività scolastica vengano individuati dei momenti da vivere in paese, con la gente del paese, usando i termini in uso solo in quel paese, le inflessioni della lingua materna che si è storicamente affermata in quel paese ed è sempre diversa da quella dei paesi vicini. Anche formati a questo modo (o proprio per questo!) ai nostri ragazzi riuscirà facile leggere, per intuizione, i poeti e gli scrittori carnici e friulani che giustamente non hanno scritto in “koinè” ma con i codici linguistici materni dei loro paesi. Ma su questo intreccio di paesi che rivivono nella loro identità, attorno ai loro campanili senza peccare in campanilismo, valorizzando le individualità senza peccare in individualismo, sarà possibile ricostruire anche l’identità del popolo carnico e friulano e farne appunto il valore aggiunto per la ripresa.