sabato 5 maggio 2007

Nel Vinadia con i Celti

IL SENTIERO DEL VINADIA.

La discesa nella forra del Vinadia anche se è stata attrezzata molto bene, comporta comunque qualche difficoltà. Non fosse altro per la necessità di dover guadare alcuni specchi d’acqua. La prima parte del percorso invece, fino all’attacco della via attrezzata, si presta per una passeggiata senza alcuna difficoltà, per turisti della domenica in scarpe da ginnastica.
Già questo primo tratto tuttavia, è un percorso da proporre ai turisti che amano la Carnia, per le suggestioni uniche e indimenticabili che riesce a suscitare.
Si riescono a provare le emozioni di chi scende in una grotta senza la dover subire la paura per il buio, anzi con il vantaggio di godere dei giochi di luce che il sole disegna filtrando tra gli alberi e le rocce, con lame di luce che sembra vogliano penetrare la terra attraverso la fenditura che la tettonica ha prodotto milioni d’anni or sono, e nella quale da milioni d’anni l’umore dell’acqua del Vinadia sta scavando il proprio letto.
Quando da queste parti vivevano i Carni per i quali l’acqua era una manifestazione della divinità, nella loro mitologia avranno certamente pensato a Vinadia come ad una dea innamorata del fiume Tagliamento. Un amore impossibile, ostacolato dalla natura che aveva relegato Vinadia a vivere chiusa tra i monti di Vinaio. Ma la forza dell’amore è più forte delle rocce, più forte delle montagne, non c’è natura che la possa tenere. E con la forza dell’amore Vinadia aveva scavato, goccia dopo goccia, giorno dopo giorno. Nel suo pianto silenzioso aveva sciolto la sofferenza del desiderio non appagato. Aveva superato la difficoltà del quotidiano, nella caparbia convinzione che al fondo ci fosse la luce. E infine aveva vinto…e la storia della sua vittoria è segnata tra le faglie delle rocce che contengono il letto del torrente.
Il sentiero per ricostruire questa storia parte all’altezza della cabina elettrica sulla strada di accesso a Vinaio, un centinaio di metri prima di arrivare in paese. Si scende su un ripido declivio coperto di noccioli, che si sono sostituiti all’erba d’un tempo, diventata inutile perché nessuno si curava più di falciarla. Girando a destra, si entra nell’alveo del torrente, attraverso un passaggio reso agevole dalla sistemazione fatta dai volontari della Pro Vinaio.
Tra i sassi dell’alveo colpisce subito la stranezza d’un masso con un lato lavorato per ricavarvi una sorta di lavello, che ricorda l’attrezzo di legno che si usava per raccogliere la spremitura del mosto di pere e di mele. Chi l’ha scavato? Da dove è venuto? Perché non pensare sia stato scolpito proprio qui, dove si entra nel seno del Vinadia? Potrebbe essere ciò che è rimasto d’un altare, forse la parte dove si raccoglieva il sangue dei sacrifici, anche umani, che i Carni offrivano alla divinità…
Che il Vinadia possa essere stato un luogo di culto per i Carni, primi abitatori di queste montagne non sarebbe una sorpresa. La loro religione era naturalistica. Identificazione della divinità era considerata la natura, e come manifestazione della divinità erano sacri gli alberi, sacre le fonti. Particolare era il culto per l’acqua, la cui sacralità è legata al suo potere di fecondare, di penetrare e scaturire dalle viscere della terra.
L’idea di Vinadia come divinità, e del torrente Vinadia come luogo di culto, si rafforza dopo pochi metri di discesa nell’alveo del torrente, scorgendo il passaggio più suggestivo di tutto il percorso. Un enorme masso si è staccato dalla parete di sinistra appoggiandosi a quella di fronte, a formare la volta d’una naturale chiesa gotica. L’idea che si sia finiti in un naturale luogo di culto per celebrare la fecondità della terra, si conferma nella figura che il masso è venuto a creare, e nella sensazione di essere veramente dentro alla terra, di essere quell’acqua che è capace di penetrarla per farla fiorire, d’essere quei fili di luce che s’infiltrano tra gli alberi in alto, in un vibrante luccichio, e scendono fin quaggiù a colorare le rocce di mille sfumature.
Non potrebbe essere vero?... Quaggiù venivano certamente i Carni a pregare, quando pregare non era ancora chiedere grazie, ma era mettersi in relazione con l’Infinito per sentirlo, nel cielo e nelle sue manifestazioni sulla terra. Chiusi tra queste rocce, con il fruscio dell’acqua, contrappuntato dallo scrosciare delle cascate, dal ticchettio di tante gocce, il sentimento dell’Infinito cresce nel viandante come coscienza del proprio esistere, dimensione del proprio essere. Vinadia diventa quindi il luogo della manifestazione dell’energia individuale, tesa nello sforzo di congiungersi all’Energia.
Vinadia diventa anche l’energia che ha segnato la storia di questa terra. Nel vibrare dell’aria che scende nella forra, senti che non è sola, c’è una folla con lei, la folla delle Agane, delle fate d’acqua. O forse è piuttosto la folla delle donne che sono vissute come Vinadia nell’attesa di qualcuno, nella speranza d’un domani diverso in queste che sono state da sempre terre di emigrazione. Anche sui loro volti ci sono i solchi scavati dalle lacrime, dall’abisso della sofferenza necessaria per sopravvivere su queste montagne, anche loro guardano in alto alla fessura di cielo che porta la luce.
Ma prima di arrivare a cogliere queste emozioni, prima d’arrivare alla chiesa naturale, seguendo i segnavia che tracciano il sentiero, dopo aver scavalcato il ruscello, si può risalire a vedere la cascata dalla quale scende dal paese il ramo principale del torrente. L’acqua sembra volere giocare con le rocce. Scende schiumante e fragorosa, s’adagia in onde concentriche in un pittoresco laghetto e poi sparisce, come inghiottita dalle pietre. La si ritrova più sotto a dar inizio al torrente, scavato tra le rocce nei millenni, in una profondità che suggestiona, la si ritrova a scivolare sulle lastre lucide, che fanno da base ad una grotta naturale, per poi scendere ad attraversare quella che ci era parsa una chiesa...
Forse fu veramente una chiesa finché anche quaggiù non arrivò la furia iconoclastica del Concilio di Tours del 567 “sia distrutto l’uso pessimo e incompatibile con la religione di quanti persistono nella stoltezza di praticare culti presso alberi, pietre e fonti…”
Con questa digressione storica si arriva nel punto dove da sinistra confluisce il rio Pichions. Val la pena di deviare un po’ e risalirlo per alcuni metri. Tra gli alberi ti si offre come d’incanto la cascata.
Lo scrosciare dell’acqua in un pulviscolo di luce, per poi acquietarsi nello specchio d’acqua alla base, richiama l’idea dell’acqua che purifica. Forse anche i Carni avevano un loro battesimo. Questo era certamente il luogo ideale per celebrarlo. Qui è possibile vivere la speranza dell’uomo oltre la vita, farsi confondere nella convinzione di venire assorbiti come gocce nel vibrare della luce, per rientrare nella luce del sole, dalla quale si ha l’impressione sgorghi l’acqua della cascata.
Riprendendo il sentiero, sembra ora di seguire un normale torrente di montagna, con la sola particolarità che il letto è al fondo d’un canyon profondo trenta quaranta metri. Poi, d’un tratto, il canyon si chiude. Una parete di roccia s’erge davanti a sbarrare la scorrere dell’acqua. Ma è solo una impressione!..L’acqua infatti l’ha vinta ancora, è riuscita a scavare nel tempo una fessura molto stretta, ed anche ora filtra e penetra in una grotta profonda.
E’ qui che inizia la via attrezzata della forra del Vinadia. Utilizzando i primi pioli e i primi tratti di corda ci si può inoltrare fin dentro la grotta, a guardare l’acqua che sembra sparire risucchiata dalle rocce. Qui, secondo un’altra leggenda, s’è dissolta nel vuoto e nel tempo Vinadia l’ultima regina dei Carni, con il resto del suo esercito.
La leggenda si richiama indubbiamente alla storia di Budicca regina dei Britanni, che si è tolta la vita per non sopravvivere alla distruzione del suo esercito ad opera dei Romani. L’ultimo scontro dei romani con i Carni, secondo questa leggenda, sarebbe avvenuto nella gola di Tristchiamp sopra Vinaio. I romani avevano accerchiato i Carni salendo da Ovaro e da Zuglio e lo scontro si è risolto in un massacro dei Carni. Da qui il nome di “triste campo” che ha assunto la località.
Vinadia, secondo la leggenda, non si sarebbe arresa, ma con il resto del suo esercito sarebbe scesa verso Vinaio, e quindi attraverso il percorso che appena abbiamo descritto, sarebbe scesa nel torrente, per dissolversi assieme al suo esercito nella forra.
Le leggende restano leggende, ma spesso hanno anche un fondo di verità. Diversi pescatori che vanno a gettare la lenza all’imbocco della forra hanno raccontato e raccontano ancora che, in giornate particolarmente ventose, dalla forra esce un lamento lugubre, come un pianto di tante persone…
Per questo il sentiero del Vinadia è consigliato soltanto per le giornate d’estate piene di sole!!!

1 commento:

Piero Favero ha detto...

Che "prove" storiche o archeologiche ci sono di una associazione del torrente con la dea?