giovedì 18 dicembre 2014

Maestri Coraggiosi di Marisa De Pauli


Maestri  Coraggiosi – Storia del Sacerdote De Marchi e dei maestri comunali (1867-1914) di Marisa De Pauli Filipuzzi, Andrea Moro editore, Tolmezzo.

            Non è mai stata una professione facile quella del maestro elementare. Oggi i maestri sono alle prese con i genitori che stravedono per i loro figli e che comunque per principio sono portati a prendere le loro difese, contro i maestri che si permettono di fare qualche osservazione. Un secolo fa erano alle prese con gli alunni talmente indisciplinati da rendere improba l’impresa di “tenere la classe”. Ne seppe qualcosa anche Benito Mussolini che, incerto su che cosa fare da grande, s’era provato a fare il maestro nell’anno scolastico 1906/7  nella scuola elementare di Tolmezzo. Il Duce che per vent’anni terrà in pugno e imporrà la sua  disciplina all’Italia, nell’anno di esperienza come maestro a Tolmezzo, è costretto a confessare di non essere in grado di mantenere il controllo sulla classe, a gettare le armi chiedendo al Direttore didattico di intervenire espellendo gli indisciplinati. Scrive: “Non intendo di essere angustiato quattro ore al giorno e non sopporto la prostrazione spirituale che ne consegue. Poiché credo di aver esaurito i mezzi pedagogici a me noti preferisco andarmene piuttosto che sottostare ad un martirio del quale non ambisco affatto la molto relativa palma”.

            L’episodio viene riportato nel libro di Marisa De Pauli e dà l’idea del perchè l’autrice abbia voluto intitolare “Maestri coraggiosi” questa sua storia della scuola in Carnia, negli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento Ci voleva coraggio, soprattutto per le maestre, a farcela e ad imporsi in situazione di fronte alle quali persino il giovane Mussolini si dichiarava inadeguato. Eppure a lui era stata assegnata una Seconda classe di “solo”  quaranta ragazzi mentre, ad esempio, la maestra della frazione di Fusea aveva una pluriclasse di ben 77 scolari.
            Il motivo di comportamenti così indisciplinati venne individuato nel fatto che gli scolari delle elementari avevano avuto una prima infanzia in assoluta libertà senza nessun controllo da parte dei genitori. Da qui la necessità di istituire una scuola materna dove accogliere i bambini in età prescolare. Anche il Comune di Tolmezzo iscrisse tra le sue priorità la realizzazione della scuola materna, ma ci si fermò di fronte alla difficoltà di reperire un terreno idoneo. Intervenne allora la generosità d’un  sacerdote che per tutta la vita, oltre a fare il cooperatore del Parroco, aveva fatto il maestro, e quindi nella doppia veste aveva avvertito più d’ogni altro la necessità della istituzione della scuola materna. Don Gio Batta De Marchi mise a disposizione un terreno di sua proprietà, ed anche Tolmezzo ebbe la scuola materna, che quest’anno,  nel centenario della morte, il Comune ha voluto opportunamente intitolare a questo sacerdote maestro, originario di Raveo in Carnia, ma che per tutta la vita ha svolto il ministero pastorale e la professione di insegnante a Tolmezzo.
            Il libro di Marisa De Pauli nasce dall’idea di ricostruire la biografia di questo sacerdote benemerito, ma in corso d’opera l’idea si allarga necessariamente al contesto nel quale ha operato don Marchi, cioè quello della scuola in Carnia. Un sistema scolastico che viene raccontato nella sua evoluzione negli anni, con le  trasformazioni conseguenti alla fine della dominazione austriaca e all’entrata della Carnia nel Regno d’Italia nel 1866: dalla scuola cattolica del Lombardo-Veneto, al nuovo ordinamento della scuola nel Regno d’Italia, con i primi concorsi magistrali.
            “Maestri coraggiosi” si pone quindi come ideale continuazione dell’altra importante opera storica della De Pauli: “Tolmezzo nell’Ottocento in Carnia e in Friuli”, con alcuni elementi  di originalità rispetto a quella. Dovendo partire dalla biografia d’un maestro, lo sviluppo della scuola viene ora assunto come parametro per giudicare lo sviluppo sociale e civile del territorio. Il fatto poi che a scrivere la storia della scuola sia una persona che è stata maestra per tutta la vita, determina un coinvolgimento quasi autobiografico dell’autrice nel racconto. Da un lato quindi si resta colpiti dal rigore della storica che negli archivi comunali ha recuperato persino le note caratteristiche ed i giudizi sui singoli maestri,  assieme alle relazioni degli insegnanti, per ricostruire attraverso questi documenti l’ambiente e l’atmosfera che si viveva nel periodo. Come pure si resta colpiti dal rigore con il quale nel libro si ricostruisce la biografia di tutti i personaggi ricordati, dalla puntigliosità con la quale in appendice vengono riprodotti tutti i documenti citati. Da un altro lato si finisce invece per essere coinvolti dalla passione che la maestra De Pauli mette nel renderci le figure dei maestri del tempo, nella loro grande umanità, piccoli-grandi  eroi da libro “Cuore” . Come, ad esempio, la maestra della frazione più piccola del Comune, Cazzaso, che per evitare ai ragazzi del paese il disagio di recarsi nel Capoluogo a frequentare le scuole serali, per strade in cattive condizioni e frequentate da “girovaghi pericolosi”, si offre di  aprirla lei in paese, volontariamente e senza compenso, chiedendo al Comune solo “due lumi a petrolio per poter iniziare al più presto”.
            Una pagina di storia ricostruita con scrupolo e precisione quella dei “Maestri coraggiosi” che avvince come un bel romanzo, con tanti coraggiosi protagonisti della storia della scuola, in una relazione continua con i protagonisti in campo economico e sociale di quella grande pagina di storia che è stato, per Tolmezzo e per la Carnia, il primo decennio del secolo scorso.
Igino Piutti

lunedì 8 dicembre 2014

Salvate il cavallo Agemont!

    Un tempo della Carnia si diceva che il cavallo non beveva.
        Ora si dice che il cavallo mangia ma non galoppa.
           Sento ripetere che la chiave dello sviluppo della Carnia sta nello sviluppo delle proprie risorse: il marmo, il bosco, l’acqua, il turismo, l’artigianato, l’agricoltura. Ma ci vogliono gli imprenditori a trasformare queste opportunità in risorse! E il problema della Carnia nel secondo dopoguerra è stato la perdita dello spirito imprenditoriale che ne ha caratterizzato la storia. Gli imprenditori non si inventano, ma ci sono progetti e programmi a livello europeo finalizzati al favorire lo sviluppo della cultura d’impresa (centri di innovazione, impact hub, seed capital ecc.) e ad assistere le start up nella difficile fase d’avvio. I tanto vituperati politici della prima Repubblica  erano all’avanguardia quando la Comunità Montana realizzava le centraline o i capannoni per agevolare l’insediamento di nuove imprese, quando in Regione hanno  immaginato già nel 1989 una Agenzia per la montagna come Centro di Innovazione con il compito di favorire l’arrivo ed il formarsi in loco di nuovi imprenditori. Qualche risultato s’è visto! Non è un caso infatti che il decollo della zona industriale di Amaro sia coinciso con l’insediamento dell’Agemont, con l’attivazione di laboratori innovativi a servizio delle imprese del territorio. Guarda caso, lo stesso Friuli Innovazione è nato all’interno d’un progetto del “poltronificio” Agemont! Poi sono arrivati i politici senza idee che dovendo pur fare qualcosa  si sono messi a demolire ciò che non senza difficoltà stava crescendo. Sia la Comunità che l’Agemont sono state messe in un limbo nel quale non avrebbero potuto che consumare risorse senza produrre alcun risultato. Ora invece che denunciare  chi le ha messe nel limbo, si assume la forzata inoperatività di questi ultimi anni, come dimostrazione della loro inutilità. Presidente Serracchiani è vero che il cavallo Agemont mangia e non galoppa, ma non è stato sempre così, e prima di ammazzarlo, io andrei a vedere se non sia colpa dello stalliere o del fantino!
             Ottimo lavoro quello che sta facendo il Cosint, ma perché non allargarne gli obiettivi, aggiungendo quello di favorire lo sviluppo di imprese giovanili,  accorpando il CIT dell’Agemont? Perché non trasformarlo in Consorzio di sviluppo economico a 360 gradi? Impegnato a favorire la cultura d’impresa tra i giovani  della Carnia, e poi ad assistere le imprese che dovessero nascere in capo a giovani diplomati e  laureati, nuovi imprenditori dell’agroalimentare, del turismo e dell’ambiente, dell’energia e del bosco, appunto per trasformare in risorsa le opportunità del territorio. Impegnato infine a far sì che si colgano le opportunità per l’insediamento  di nuove imprese innovative nei settori  dell’elettronica e dell’informatica legate alla  fortunata collocazione della zona industriale di Amaro sull’autostrada Trieste-Monaco,  soprattutto se finalmente venisse incaricato di completare gli investimenti sulla banda larga e sul cloud computing.
Igino Piutti
già Presidente dell’Agemont