giovedì 8 novembre 2007

Ancora Progetto Montagna.

La specificità della nostra Regione (che ne ha giustificata l’istituzione) è indubbiamente il rapporto tra il Friuli e Trieste. Ai tempi della sua istituzione era anche il fatto di essere una Regione, attestata su due confini a quel tempo ambedue in qualche modo attestati sulla cortina di ferro. C’era poi la specificità della lingua friulana.
Ma c’era anche una specificità che non è stata mai adeguatamente valutata e considerata, la specificità del problema montagna. La nostra Regione aveva ed ha, il 42% del territorio che è territorio montano. Un territorio abitato soltanto dal 12% della popolazione, ma attestato per gran parte ai due confini allora sensibili quello austriaco e quello iugoslavo. La sensibilità dei due confini ha fatto sì che i territori montani fossero gravati da servitù di militari di ogni tipo, ha impedito qualsiasi tipo di investimento a favore dello sviluppo di quei territori. Ne è derivato uno dei problemi che hanno caratterizzato in negativo e dovrebbero caratterizzare in positivo la politica della nostra Regione: il problema Montagna.
Il problema di una montagna che si è andata spopolando, perché mancavano le possibilità di lavoro per i suoi residenti. Ma, si dirà, il problema dello spopolamento della montagna non è un problema solo nostro. E’ stato ed è un problema nazionale che interessa sia le Alpi che gli Apennini. Certamente! Ma ci sono montagne e montagne! Montagna è anche il Trentino Alto Adige, è anche Cortina o la Valle d’Aosta.
Appunto! Non è detto che montagna debba essere per forza un problema o addirittura una maledizione, montagna può essere una opportunità. Ecco io vorrei che questo fosse nella prossima tornata legislativa regionale per merito del nostro partito, l’approccio nuovo al problema montagna: esiste una parte del territorio della nostra Regione, la montagna, dalla quale la gente se ne è dovuta andare perché c’era il confine, perché la Regione non ha saputo impostare adeguate politiche di sviluppo, ma non è una terra di maledizione, al contrario può essere una terrà di elezione, nella quale la Regione può investire su veri programmi di sviluppo, nella quale si può scegliere di tornare a vivere.
Perché immagino che il nostro partito possa avere un ruolo importante in questo ritorno alla montagna? Perché oggi, a mio avviso, nella nostra Regione il problema montagna è soprattutto un problema culturale, di valori, di qualità della vita. Si emigrava perché mancavano posti di lavoro. Oggi anche in montagna abbiamo sostanzialmente raggiunto la piena occupazione, ma si emigra ancora. E purtroppo emigrano soprattutto le forze giovani. I paesi restano paesi di vecchi, che stanno irreversibilmente morendo, sui quali avanza ed incombe il bosco, perché come intitolava Cristina Barazzutti quindici anni orsono la sua analisi sul degrado dell’economia e della società montana in Friuli, siamo “irresistibilmente attratti dalla pianura!.
Scriveva un poeta:
Ci hanno rubato l’acqua delle montagne
Per illuminare le città.
Perché attratti dalle luci delle città
Abbandonassimo le montagne.
Ma è stato un inganno!
Non ci hanno potuto rubare,
la poesia dei luoghi, il sole e la neve,
l’incanto d’un alba o di un tramonto,
sulle vette che si stagliano contro il cielo.

E’ giusto che siamo irresistibilmente attratti dalla pianura se come, con un approccio sbagliato al problema della montagna, anche la Chiesa affermava che la “montagna è un luogo di sofferenza e di dolore”. E’ questo approccio che va cambiato e rovesciato. Ed è dal nostro Partito che io mi immagino venga soprattutto questo cambiamento nell’approccio e nella prospettiva.
S’è tanto parlato di marginalità e perifericità della montagna. E quindi di una montagna da assistere perché potesse superare gli handicap della marginalità e della perifericità. Io vorrei che si rovesciasse l’approccio e si cominciasse invece a parlare di centralità della montagna, individuando quelli che sono i punti di forza che caratterizzano questo territorio, e non i punti di debolezza.
Abbiamo affrontato sempre il problema “da sinistra” in termini assistenziali vorrei che iniziassimo ad affrontarlo “da destra” individuando i punti di forza e le peculiarità su cui impostare una politica strutturale e non assistenziale di sviluppo della montagna.
E quindi, provocatoriamente vorrei si parlasse di centralità della montagna e di innovazione..
Parlare di centralità a proposito della montagna sa di paradosso. Di norma al termine montagna sono associati quelli di marginalità e perifericità.. Ma ancora più paradossale può apparire la tesi, volendo sostenere la centralità della montagna rispetto al tema emergente dell’innovazione. Al contrario, se non ci lasciamo condizionare a fuorviare dai luoghi comuni del passato, credo sia invece più che sostenibile la tesi d’una montagna della innovazione, cioè della montagna come ambiente ideale per l’innovazione.
L’ambiente è favorevole all’innovazione quando ingenera negli individui lo sviluppo di una “agilità cognitiva”. Ebbene, non c’è nessun ambiente come quello della montagna, con la sua varietà di stimoli e con l’esigenza forte di adattamento imposta dalla particolarità del territorio montano, che favorisca l’agilità cognitiva. L’uomo della montagna è da sempre stato definito l’uomo dalle scarpe grosse e dal cervello fino. Ma al di là delle battute è storicamente dimostrabile l’ingegnosità dell’uomo di montagna.
Questa “ingegnosità” oggi si chiamerebbe capacità di innovazione.
Il territorio ideale per lo sviluppo delle nuove imprese basate sull’innovazione, è un territorio che produce conoscenza. In passato si collocavano in montagna le imprese che potevano sfruttare le risorse della montagna: il bosco e l’acqua. Il futuro può essere quello d’una montagna nella quale si sviluppano e si collocano le imprese che vogliono utilizzare il valore aggiunto dell’ingegnosità dell’uomo di montagna, appunto la sua capacità di produrre conoscenza.
Se questo è lo scenario possibile che si immagina anche per la montagna friulana, è necessario partire da una sorta di rivoluzione culturale, che veda nella scuola il punto di riferimento principale. Se la conoscenza deve essere la risorsa su cui impostare il progetto di sviluppo, e’ necessario partire da una scuola che non si limiti alla trasmissione di saperi, ma insegni a conoscere. Un ambiente carico di stimoli facilita l’insegnare a conoscere, se si parte dall’approfondimento della conoscenza del proprio territorio.
Ma la rivoluzione partendo dalla scuola è necessario che coinvolga l’intero territorio. L’innovazione è infatti prima di tutto, un atteggiamento mentale positivo. Non ci può essere innovazione in un luogo che viene percepito come “luogo di sofferenza e di dolore”. In un luogo del quale si enfatizzano solo i punti di debolezza, senza mai sottolineare i punti di forza, senza valutare i vantaggi competitivi, anche in termini di qualità della vita.
Pensare alla centralità della montagna, significa rovesciare i parametri sui quali fin qui si è sempre immaginato lo sviluppo della montagna: una montagna al servizio della città, con un valore commisurato alla capacità più o meno alta di servire alla città. La montagna deve essere vista invece come alternativa alla città: un modello diverso, con un sistema diverso di servizi, con una diversa qualità della vita. Ma una diversità avvertita tutt’altro che come inferiorità! Se mettiamo a confronto le due realtà, confrontando i punti di forza e di debolezza, le opportunità e i rischi, il modello della montagna risulta ampiamente vincente rispetto a quello della città.
Ma se questi sono i presupposti il problema della montagna non può essere risolto come si è cercato di fare in questi anni con un fondo montagna per distribuire degli incentivi a chi si vuole continui a vivere in montagna, perché nell’ecosistema montana si ritiene che sia indispensabile mantenere la sopravvivenza dell’uomo, come quella del lupo o dell’orso.
L’Assessore alla montagna non può essere in Regione come in Provincia l’Assessore incaricato di distribuire questo fondo di beneficenza, deve essere l’Assessore che ha la regia di un progetto trasversale rispetto a tutti gli altri assessorati.
E le Comunità Montane! Alla fine, si dovrà pur sapere a che cosa servono. I nostri paesi vivevano come comunità di villaggio. Ora sono diventati troppo piccoli per avere una loro vita, è giusto quindi che li si immagini come comuni di una più grande comunità di vallata. La Comunità quindi come rete di servizi, ma anche come rete di tante piccole comunità, che in rete possono continuare ad avere una vita autonoma.
Oggi si parla di rete, in ogni settore. Paradossalmente invece nel sociale cerchiamo di distruggere le reti che già esistono. Eliminiamo le aziende sanitarie invece che metterle in rete. Cerchiamo di eliminare i Comuni invece che metterli in rete. La vera specificità e particolarità della montagna è la forte articolazione della presenza umana sul territorio. Articolazione che va mantenuta facendo rete.
Se si vuole che la gente resti ad abitare nei paesi è necessario far vivere i paesi. Dal punto di vista economico riattivando forme di economia di paese. Perché attorno ad una economia di paese si sviluppi la vita sociale dei paesi. Facendo un modo che una rete di servizi di prossimità, un sistema flessibile di trasporto, soluzioni innovative nel campo delle telemedicina, della teleassistenza, della teledidattica, facciano rivivere i paesi, perché abbia un senso restare a vivere in un paese di montagna
La montagna è diversa, ma solo perché è un territorio con più problemi rispetto alla pianura. Ma proprio per questo può diventare il luogo ideale per la sperimentazione di modelli di società che se dovessero funzionare possono essere esportati.
In questa prospettiva un nuovo progetto montagna deve connotarsi come progetto per l’uomo che vive in montagna, per essere esportato in una dimensione territoriale più ampia come progetto per l’uomo.
Non ci diciamo il partito che crede nei valori della persona? Non è il nostro il Partito che immagina una società che pone al centro la persona che si realizza nella famiglia per completarsi nel sociale? Dalle enunciazioni ai fatti.
Il progetto montagna deve essere un progetto nel quale si pensa alla montagna come luogo ideale nel quale l’individuo può realizzarsi come persona. Quando diciamo che è necessario sviluppare lo spirito di identità e di appartenenza, diciamo che è necessario riconoscersi come persona in relazione con il proprio territorio, con la sua storia, le sue tradizioni i suoi valori. In primis il valore della casa e della famiglia, struttura essenziale per la stessa sopravvivenza materiale della persona, prima ancora della sua realizzazione sul piano umano.
Ma la casa della nostra tradizione non era mai una casa isolata, sempre invece aperta in una corte. La famiglia era integrata nella comunità, con rapporti definiti proprio sul principio della sussidiarietà, a cui ci richiamiamo giustamente così spesso. Nella economia di paese fondata sul modello cooperativistico si realizzava un vero modello di democrazia partecipativa-
Progetto montagna quindi come sperimentazione di un modello sociale che nel recupero dei valori della tradizioni trovi gli elementi per immaginare e progettare un futuro originale, il futuro di una comunità glocale. In questo brutto neologismo fusione di globale e di locale, si potrebbe riassumere l’obiettivo da dare al progetto: fare della montagna il luogo del glocale. Ancora con il poeta mettere assieme: radìs e svualis, radici ed ali.
Non è retorica, è sociologia affermata infatti il rilievo che si può vivere meglio la dimensione del globale, avendo dei precisi punti di riferimento nel locale. Se la società del domani è la società della conoscenza, chi saprà vivere nelle dimensione del glocale, avrà un indubbio vantaggio proprio nella capacità di acquisire conoscenza.
Un progetto di sviluppo economico e sociale quindi che non parte dai settori, dal turismo piuttosto che dall’agricoltura o dall’artigianato, ma dall’uomo, non dalle risorse materiali del territorio ma dalle risorse umane, che sanno trasformare in fattori di competitività gli elementi di distintività del territorio.
E’ questo l’approccio innovativo al problema montagna che io mi auguro caratterizzi l’attività della Regione nella prossima tornata legislativa. Un approccio innovativo che io mi auguro possa essere innescato dal nostro partito.
.
.

Nessun commento: