venerdì 4 maggio 2007

La mia Carnia


Canal di Cuna.

Sono le calamità naturali che ci consentono di leggere la storia della terra e la storia dell’umanità. Alluvioni catastrofiche o spaventosi terremoti hanno fermato delle istantanee che ora ci permettono di ricostruire la storia di tempi anche molto remoti. Così nella notte dei tempi per i dinosauri, così in tempi relativamente recenti, a Pompei per la storia della civiltà romana.
Alle volte i collegamenti del pensiero sono bizzarri e fuori luogo, ma è questo in effetti che ti viene in mente, arrivando a S.Vincenzo in Canal di Cuna. La prima impressione è che lì, per qualche motivo improvviso, d’un tratto il tempo si sia fermato. Come a Pompei basta avere la pazienza di pulire dalla lava, dalle ceneri, i resti dei monumenti, e ritrovi i calchi della vita d’un tempo. La lava in questo caso non è quella d’un vulcano, ma è quella del progresso, o di ciò che noi siamo abituati a chiamare con questo nome. Sulla terra s’è abbattuta all’improvviso un onda lunga e tante cose sonno rimaste sommerse.
D’un tratto negli anni cinquanta la civiltà ha cominciato a correre con ritmi prima mai visti. Il Canale di Cuna non ha saputo tenere il passo. Nella marcia dello sviluppo ha cominciato prima a restare indietro, a perdere i contatti, e infine si è fermata, lasciando che le ceneri del tempo la ricoprissero. La natura che, chissà quanti secoli prima, aveva dovuto arretrare per lasciare posto all’uomo, ed alle coltivazioni necessarie per la sua sopravvivenza, di anno in anno si è ripresa come una colata di lava inarrestabile, tutto il territorio. Il bosco che aveva dovuto arretrare per lasciare posto ai prati per l’allevamento del bestiame, lentamente si è ripreso gli spazi fino a ridosso dei casolari. Le edere e gli arbusti sono entrati fin dentro a quelle che erano state le dimore degli uomini e le stanno scardinando, smovendo, sbriciolando. Ne faranno un cumulo di macerie per poi ricoprirlo di vegetazione, e nessuno ricorderà più che in Val di cuna ha vissuto l’uomo.
Fra qualche anno, fra qualche secolo… Ma ora chi scende in Val di Cuna, se appena è capace di togliersi la polvere lasciata dal vulcano del progresso, riesce ancora a vedere l’uomo, la vita. Attraverso le immagini e soprattutto le sensazioni e le suggestioni che suscita il luogo, si riesce ancora a ricostruire l’immagine di come si viveva sulle montagne del Friuli fino ad un secolo fa. Già sulla mulattiera che scende da Forchia Zuviel, la strada che collegava la valle a Tramonti, nei muri a secco che sostengono la massicciata, nelle pietre lucide sulle quali corri il rischio di scivolare, ritrovi le persone che per secoli con pazienza e perizia hanno curato la manutenzione della loro strada, ritrovi il continuo andirivieni della gente che usciva a rientrava nella valle per recarsi al paese.
Gli eredi di quella gente hanno voluto ritornare. Senza contributi con la voglia di opporsi al tempo per conservare la memoria del passato. E’ stata ricostruita la piccola chiesa dedicata a S,Vincenzo.
Ed ora quando ti ritrovi sul sentiero alla fine della discesa la Chiesa ti appare tra gli alberi, minuscola come una cappella di campagna. Sovrastata da un campanile sproporzionato quasi a sottolineare e rimarcare l’importanza della funzione della campana per richiamare tutti gli abitanti dei casolari sparsi nella valle isolata.
A memoria d’uomo c’era una sorta di impalcatura di legno a sostenere la campana, poi nel 1927 venne costruito il campanile come è ora restaurato
Gli ultimi abitanti hanno abbandonato la valle nel 1952 ma dieci anni dopo le campane erano ancora al loro posto. Alla prima campana se n’erano aggiunte altre due, come in tutti i campanili che si rispettino. La loro voce sostituiva quella degli uomini e con loro la valle in qualche modo viveva ancora.
Poi qualcuno ha pensato bene di farle sparire. Forse a fin di bene, ad evitare che altri le rubassero. Ma ora che la chiesa è stata sistemata, le campane non sono tornate...Ce n’è una sola, ma è nuova!
“L’abbiamo ricostruita perchè vogliamo ricordare! Deve essere come una voce che fa ricordare, che fa pensare. La voce della storia della val di Cuna”, la voce delle donne e degli uomini che nei tempi hanno scritto questa storia, dice Gino Lorenzini che della ricostruzione della chiesa in Val di Cuna è stato uno degli artefici.
Per questo nella chiesetta ricostruita perchè possa testimoniare come una lapide la presenza dell’uomo nella valle, anche quando il tempo avrà inghiottito le ultime case, il bosco avrà sepolto anche gli ultimi sassi squadrati dalla fatica dell’uomo, accanto alle firme ed alle espressioni di stupore e di meraviglia di chi ha avuto modo di venire a visitare questo ultimo sperduto angolo di mondo, qualcuno ha voluto raccogliere gli “stralci di storia e ricordi”, le testimonianze degli ultimi abitanti della valle”.
La storia che vi si può leggere parte alla rovescio, parte dalla ricostruzione della Chiesa. Giustamente, prima di leggere ciò che c’è scritto nella lapide, si deve sapere perchè e da chi la lapide è stata voluta.
Nella chiesetta colpisce sulla parete a sinistra un piccolo mosaico, opera del prof Carlo Fontanella di Meduno. E tra le testimonianze colpisce allo stesso modo quella che rilascia il professore chiamato a comporre il mosaico e che non riesce più a scrollarsi di dosso la suggestione provata sentendosi avvolto in val di cuna da una “atmosfera che aveva qualcosa di magico”, come è ha qualcosa di magico l’idea degli eredi della val di cuna che si ostinano a voler risalire il fiume per riscoprire tra gli ultimi ruderi le proprie radici.
Quando penso a Canal di Cuna, questo posto perduto in mezzo a montagne per me invalicabili, nella mia mente si forma un pensiero che ha come oggetto, o meglio come soggetto, la gente che, in tempi forse non lontani, eppure remoti, abitava quei luoghi. Mi incuriosisce e mi affascina l’idea che persone - adulti, bambini, vecchi, giovani e sposi - potessero trascorrere lì forse l’intera vita e, chissà, essere felici o forse rassegnati....
...tutti dovremmo riscoprire il valore delle nostre radici, non per abbarbicarci alla roccia, ma per ritrovare noi stessi, per riscoprire la nostra fragilità e per poter poi andare incontro al futuro più forti e più consapevoli.
E’ forse questo il senso da dare ad un primo maggio passato in Val di Cuna, partecipando alla festa che gli eredi degli abitanti della valle hanno voluto reinventare per ricordare…

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