martedì 25 giugno 2024

Il Passo di Monte Croce con la lente della storia.


             Le tre iscrizioni su roccia che testimoniano gli interventi a modifica della viabilità verso il passo di Monte Croce Carnico sono state studiate da esperti archeologi come  Sticotti, Gregorutti, Koban e Placida Moro, non si può pensare di poter far meglio di loro esaminando i testi con  nuove lenti.

            Mi piace invece  pensare che le epigrafi non siano state esaminate alla luce della storia, e quindi mi permetto un esame con questa lente.

          


  A pag. 54 della mia Storia della Carnia riporto il passo della storia di Quintiliano Ermacora nel quale si dice che:

fu proprio Giulio Cesare a curarsi di rendere transitabile, attraverso quel monte, la strada che prima presentava non poche dificoltà. Chiara testimonianza di questo fatto sono alcune lettere incise in un grande sasso quasi a metà della salita del monte che dicono appunto« Julius Caesar hanc viam inviam rotabilem fecit- Giulio Cesare rese carrabile questa strada impraticabile.»

           A ulteriore conferma Ermacora riporta il passo del De Bello Gallico nel quale Cesare racconta d’aver preso due legioni che svernavano ad Aquileia e d’aver raggiunto la Gallia ulteriore per il percorso più breve qua proximum iter in ulteriorem Galliam per Alpes erat.

            Ermacora, personaggio della vita politico.amministrativa di Tolmezzo alla fine del 1500, può aver interpretato male il passo di Cesare ma non può essersi imventata la esistenza della iscrizione sulla strada di Monte Croce. 

            Peccato che non si trovi l’iscrizione, ma è fuori di dubbio che i Romani abbiano reso carrabile questa strada, vista l’importanza che aveva sulla via dell'ambra per Aquileia e il passaggio verso il Norico ai tempi di Cesare e di Augusto, che determinò la importanza e lo sviluppo di Iulium Carnicum..

            Peccato soprattutto che della originale  strada non si trovi traccia, se non nelle tre iscrizioni che si vedono ancora.

            Ma la prima, nota come Respectus, è fatta risalire al 170 d.C. quindi a dopo la distruzione di Julium Carnicum ad opera dei Quadi e Marcomanni. 

Scrivo infatti a pag.64 che “nel 167 d.C. sotto l’imperatore Marco Aurelio si formò una coalizione di tribù germaniche che, sconfitti i Romani a Carnuntum, imboccò la via dell’ambra e giunse in Italia attraverso il passo di Monte Croce. Distrutta Julium Carnicum senza difficoltà, assediarono senza successo Aquileia, per spostarsi poi e prendersela con Oderzo che rasero al suolo”

            Sappiamo dalla storia di Roma che questi barbari furono poi respinti da Marco Aurelio ed è logico pensare che, in ritirata, abbiano distrutto tutto ciò che poteva rallentare l’inseguimento, in particolare i ponti. Furono così senza dubbio distrutti i manufatti che i Romani avevano realizzato per rendere carrabile la salita al passo. Tant’è che, come si intuisce da ciò che si può leggere nella prima iscrizione, questo Respectus fu chiamato a riattivare la transitabilità della strada.

            Vi provvide in particolare realizzando un ponte come si deduce dalla  seconda epigrafe nella quale si legge bene che  perilcitante populo ad pontem transitum non placuit al popolo non andava a genio di transitare sul ponte a rischio e pericolo.

            Da questa epigrafe si ricava che  130 anni dopo nel 300 ca. d.C, un tale Hermia che si descrisse “susceptor operis aeterni - impresario di un’ opera eterna”, pensò di aver risolto definitivamente il problema,

            Il ponte di Respectus era di legno mentre Hermia rifà quello di Cesare che era in muratura? Mi pare plausibile!

            Ma quale era questo ponte?

            Il tracciato più logico della strada di Cesare è quello che venendo dalla strada romana che arrivava da Iulium Carnicum in sponda destra del But saliva attraverso l’attuale strada che porta a Malga Val di Collina. La lasciava ad un certo punto per  attraversare la montagna in quota, verso il passo di Monte Croce.   Qui  però si presentava il problema  del superamento del costone roccioso noto come Malpasso o Scaletta. La soluzione che anche oggi si può immaginare è quella d’un ponte in salita.

            Probabilmente in legno quello di Respectus sostituito con uno  in muratura da Hermias, rifacendo quello  di Cesare demolito dai Barbari. Così si può spiegare l’enfasi che mette nella epigrafe che mette alla conclusione del suo lavoro consistente appunto nella sistemazione della strada romana su cui era già intervenuto Respecuts, con il rifacimento del ponte e qualche correzione nella parte sommitale nel Chiampeit, da dove la fece per poi proseguire verso il passo addossata per quanto possibile alle pendici del Cellon dove collocò la sua inscrizione, convinto d’aver fatto un’opera a sfidare la storia.

            Per Placida Moro che fa sua la cartina riassuntiva  di Koban, l’intervento sul ponte sarebbe avvenuto non al Malpasso ma nelle varianti introdotte da Hermia nell’ultimo tratto: “La nuova strada ad evitare il precedente passaggio del ponte poco sicuro, deviava a sinistra del valico, subito dopo la roccia da cui era protetta, raggiungendo l’altura a destra del rio Collinetta”.  Anche per Molfetta si trattava d’un ponte per attraversare il rio Collinetta. 

    Seguendo invece lo Sticotti si è pensato a un marchingegno per superare il Malpasso, il pons sublicius ponte sostenuto da pali. Io propendo per questa ultima ipotesi, senza però pensare a strani marchingegni ma a un ponte ad una arcata in salita.

  L’attuale sentiero al Malpasso infatti sale zigzagando tra due rocce che possono essere viste come la spalletta del ponte. Una più bassa ed una più alta con un dislivello tra le due di 15 m. ca. e una distanza di una ventina di metri. Modificare le quote per ridurre la pendenza e unire le due spallette con un ponte, credo sia stato problema alla portata degli ingegneri romani.   

      Come lo è stato poi per Hermia che si riteneva “fides operisque paratus - preparato dal punto di vista della fiducia in sé e di quello delle competenze  tecniche” , in altra parole d’uomo di fede e di ingegno e che  per questo “unanimes omnes hanc viam explicuit - nel compiacimento generale rimosse gli ostacoli di questa via”

            Sottolinea: «Gli ostacoli di questo percorso, non di altri!»           

            Ma il fatto nuovo che cambiò la pospettiva della strada del passo fu la divisione in due parti dell’Impero Romano, quello di Occidente e quello di Oriente.

             Come scrivo a pag 68,  “Il fatto ebbe un rilievo importante anche per la Carnia. Per la prima volta infatti sulle Alpi Carniche si stabilizzò un confine: il limite che divideva la Provincia della Venetia ed Istria da quello della Pannonia inferiore”

            Un confine concordato, che non doveva passare, come ora, sulle creste delle montagne, ma per il quale presumibilmente si scelse come “stazione di confine” la spianata  che non a caso porta ancora il nome di “vecchio confine”.

            È il luogo dove si trova la terza epigrafe! Che quindi va letta in questo nuovo contesto.

            Placida Moro fa giustamente notare la stranezza di una iscrizione a metà strada, quando, (come  le altre), di norma si collocavano alla fine dei percorsi  che volevano celebrare.

            La possibile e verosimile  spiegazione potrebbe stare nel fatto  che nel 373, sotto gli imperatori Valentiniani, qui c’era il confine. Si conferma così la interpretazione  come Vecchio Confine e non Vecchio Mercato dell'espressione Oltn Moarkt , il nome che nel linguaggio timavese viene dato alla spianata sottostante la casa cantiera, dove si trova la epigrafe. Interpretazione suggerita da Molfetta e ripresa dallo storico locale Mauro Unfer e dall'esperto di toponomastica Giulio Del Bon

            E qui, al confine appunto, si fermò Apinio Programmazio, con la nuova strada realizzata perché “homines et animalia cum periculo commeabant- uomini e animali transitavano a rischio e pericolo.”

            Ma se si è fermato a questo punto significa che i nuovi rischi non erano quelli del Malpasso, e comunque non erano i problemi che Hermias, a ragione, pensava di aver risolto, ma quelli che  si erano presentati in basso, (a Masareit?) forse a seguito della piene che avevano asportato la strada (come quella che nel 1729 costringerà addirittura a spostare l’abitato di Timau!).

            Una situazione certamente  preoccupante che decise  Apinio  a cambiare versante. Lasciò la destra orografica per salire a sinistra, sotto al Pal Piccolo, per poi, alla fine del suo nuovo percorso deviare per scendere di qualche metro, sotto l'attuale casa cantoniera, e  collegarsi con la strada esistente di Respecus ed Hermias (è il percorso del sentiero cai 161). 

            In questo modo si riabilita anche Hermia, che è stato sbeffeggiato per aver fatto una opera eterna, che dopo solo 70 anni si dovette rifare. Se le cose sono andate così, l’intervento di Apinio, non mise in discussione l’opera di Hermia.

              Se le cose sono andate così, l’intervento di Apinio, non mise in discussione l’opera di Hermia che durerà invece fino a quando altri barbari in ritirata ripeteranno la demolizione del ponte fatta dai Quadi-Marcomanni.

            Se le cose sono andate a questo modo,  a questo punto è verosimile pensare che  gli abitanti della Pannonia per raggiungere il confine che si era costituito verso la Diocesi italiciana, abbiano trovato più semplice realizzare una diretta che scendeva a incrociare la nuova strada di Apinio, invece che fare il giro per il Malpasso.

             Si  aprì  così quella che ancora oggi va sotto il nome di strada romana e che anche Carpenedo attribuisce ad Hermia (io invece agli antenati degli austriaci) e descrive bene dicendo che si “inerpicava con sei piccoli tornanti sul costone delimitato dalla forra nella quale scorre il rio Collinetta, fino a raggiungere la quota del passo”. Il percorso che è stata dissestato dagli interventi per realizzare i tornanti della strada moderna, e che andrebbe recuperato e risistemato.      

           Come ricorda il Grassi c’erano così due strade “una carreggiata l’altra pedestre. Quella conducendo per le pendici del monte Collina ascendea per quella di Collinetta alla cima del monte di Croce, questa comoda in oggi anche per cavalcare, senza staccarsi dal monte stesso, passava per il piano su cui tenevasi  tra Tedeschi ed Italiani anualmente un famoso mercato, chiamato perciò ancor oggidì in lingua alemanna Alta Mark, ciè mercato vecchio. Ma poi quale delle due strade sia la più antica non si può additare..

            Ma nel frattempo, almeno sotto il profilo economico e sociale era già iniziato il Medioevo, la strada che progetta Apinio non ha le caratteristiche di quella militare di Cesare o di quella commerciale della via dell’ambra. Il fatto che, come scrive, si preoccupi del passaggio degli animali, (homines et animalia cum periculo commeabant) ci fa pensare che forse era già iniziato l’utilizzo dei pascoli alti con le malghe: la strada doveva arrivare al confine, ma anche servire al transito del bestiame.

            Per questo  quella di Apinio che ci è rimasta con il nome di strada romana non ha nulla a che vedere con quella che deve essere stata la vera strada romana del periodo d’oro di Julium Carnicum e dell’Impero romano.

                                       La strada romana dall’Archeocarta fvg.

           .

            Una strada per la quale gli storici sono incerti anche sul nome. Il Gregorutti in Archeografo Triestino chiama Julia Augusta la via fino a Gemona poi propone il nome di Claudia da Tiberio Claudio

            Anche io (a pag. 53) propendo per il nome di Via Claudia, piuttosto che di Julia Augusta, come collegamento diretto tra Iulium Carnicum e Julia Concordia, sempre in riva destra del Tagliamento, per superarlo ad Amaro, prima della confluenza  con il Fella.

Da Amaro al Passo.

            Per il percorso da Julium Carnicum a Timau propendo per ritenere  (come riporto a pag 67) come principale,  quella che Alfio Englaro considerava una alternativa, quando scriveva che:

            La strada parallelamente o precedentemente alla Via Claudia o Carnica, partendo da julium Carnicum risaliva la sponda destra del But, raggiungendo Ognissanti (Sutrio), attraversava il Gladegna sul ponte Gjai e lambiva Cercivento per salire a Enfretors e raggiungere Ramazàs Valacòz e poi Cleulis.

            Salire sulla destra del But oggi sembra impossibile ma, come conferma il geologo Venturini si deve tener presente che la morfologia della valle del But è stata sconvolta dal conoide di deiezione del monte Cucco ad Alzeri

            Avrebbe cominciato a formarsi circa nel 3000 a.C in concomitanza con lo svuotamento del grande lago di Sutrio e Paluzza il cui livello delle acque era a 600 m.

            Ma poi, in epoca romana, (datazione sulla torba della centralina di Noiaris II sec.d.C.) l’espansione del conoide con relativo falsopiano verso ovest aveva finito per creare un nuovo invaso, seppure di più modeste dimensioni; il lago di Soandri con livello intorno al 540. Infine dopo il XV secolo si è determinata  una inversione di tendenza, probabilmente causata dallo svuotamento del Soandri con il rio Randice e la But che hanno dato inizio a una fase recente di approfondimento erosivo.

            Ma tornando alla strada che sale al passo, da quanto si è detto, è fuori di dubbio che la vera strada romana saliva sul versante di fronte al Pal Piccolo. Chiara indicazione anche per gli ingegneri moderni a evitare che le pendici in sfacelo del Pal Piccolo, ripetano la situazione del “periclitante populo”.

            Saliva con un percorso simile a quello che i geologi Venturini e Comin suggeriscono di seguire per realizzare una pista forestale che diventi pista di emergenza mentre sono  in corso i lavori di sistemazione dell’ attuale strada, o di quelli che si renderanno necessari per realizzare una variante come suggerito dall’ing. Puntel o di quelli di più lungo periodo che sarebbero necessari nel caso si trovasse un accordo per superare le difficoltà tecniche ed economiche che impediscono la soluzione radicale del traforo, ottimale da tanti punti di vista.

          

            Aggiungerei soltanto che, superate le emergenze,  la pista deve essere vista come ciclovia a carattere turistico-culturale e per questo realizzata d’intesa con la Soprintendenza archivistica per receperare e valorizzare i resti della strada romana.

            Non credo ci sia un modo migliore per valorizzare la strada storica che quello di una pista  realizzata facendo attenzione a recuperare i resti della vecchia strada da percorrersi  in bicicletta (meglio in e-bike!)  con la possbilità di fermarsi quindi ad ammirare i resti della strada antica messi in luce e valorizzati costruendo la pista.

            

 La ricostruzione delle varianti di H. Koban, ripresa da Placida Moro.




La strada del passo dal  Medioevo ad oggi.

 

            Si ha motivo di ritenere che nel Medioevo siano state mantenute in esercizio entrambe le strade per il ruolo che comunque continuava ad avere il passo.

            Nel 1077 è per merito del passo che il Patriarca Sigeardo ottiene dall’imperatore Enrico IV di diventare Vescovo-Conte di Aquileia.

            All’imperatore sceso a Canossa per ottenere la cancellazione della scomunica i Principi ribelli avevano impedito il rientro per i passi alpini. Fu Sigeardo che gli concesse il passaggio attraverso Monte Croce.

            Passo che ebbe una grande importanza sotto i primi patriarchi “ghibellini” generalmente di origine tedesca e quindi filoimperiali, in collegamento stretto con Salisburgo.

            La storia del passo ha invece avuto un cambio repentino nel 1250 con il Patriarca Bertoldo di Andechs-Pomerania che cambiò fronte e diventò “guelfo” filopapale, ma soprattutto, per quanto ci riguarda, decise di rendere carrabile la strada per il canal del Ferro, ponendo le basi per lo sviluppo che avrà in seguito Venzone e Gemona.

            Per i Patriarchi successivi, in gran parte italiani,  la Carnia diventò quindi una colonia marginale e periferica dalla quale riscuotere tasse, avendo Tolmezzo come centro per la riscossione.

            Il passo divenne quello dei Kramàrs prima e degli emigranti dopo, che, transitavano a piedi, al massimo a cavallo, e quindi non più carrabile per mancanza di manutenzione.

            Così con Venezia, come poi con l’Austria e infine anche con la Italia, quando si decise di intervenire sulla strada per il Mauria, (inaugurata il 1890).abbandonando Monte Croce.

            Passo di Monte Croce divenne la via dei Kramàrs con Venezia. Poi con l’Austria la via per gli emigranti muratori. Forse non era rotabile ma molto utilizzato a piedi, per gli stretti rapporti tra Carnia e Carinzia, (lo stesso Jacopo Linussio fa il garzone in Carinzia)

            E si arriva alla prima guerra mondiale quando il passo inciso tra il Cellon e Pal Piccolo torna purtroppo a diventare importante come fronte di guerra.

            Nel 1907 gli austriaci cominciano ad avere dei dubbi sugli italiani che davano l’impressione di voler cambiare l’alleanza e si prepararono al peggio sistemando la strada di accesso. Pieni di speranza di pace nella iscrizione che si legge ancora scrissero l’auspicio “Possa essa servire al pacifico transito dei vicini paesi”. Ma le cose andarono per diversamente!

            Gli italiani in guerra dovettero comunque accontentarsi della “via romana” sistemata e delle portatrici carniche. Il governo italiano non aveva data peso alla richiesta di far diventare nazionale la strada di accesso con le motivazioni ben argomentate dal Marchi riportate da Carpenendo.

            Scrive Gransinigh “alla testata della val but la situazione si presenta quanto mai fluida perché solamente all’ultimo momento viene deciso di portare la difesa principale sulle posizioni della displuviale anziché in corrispondenza della bastionata Monte Crostis-Monte Terzo.

            “C’era una totale assenza di carrarecce e anche di mulattiere.”

            Il capitano Gressel proprietario di Plochenhaus e capo di una sorta di guardia civile, il primo giorno di guerra sali al Pal Piccolo e “quando gli alpini timavesi scorgono il capitano si tolgono il cappello e gli augurano buongiorno” Sic!

            Nel dopoguerra finalmente la strada rientrò nei piani di Mussolini di rafforzamento dei rapporti con la Germania e venne decisa dallo stesso che aveva preso nelle mani il ministero  dei lavori pubblici.

            Il progetto fu approvato il 1929 e la strada inaugurata il 30 giugno 1933, stranamente senza alcun riscontro sulla stampa locale. Perché, penso, paradossalmente rientrava nei piani segreti di Mussolini di rafforzamento del confine contro la Germania con il Vallo Littorio.

            La ditta Paladini di Roma che aveva vinto l’appalto riportò al passo le tre scritte che i romani avevano lasciato sulle loro strade. La grande  lapide è sormontata dalla lupa capitolina donata dal “Governatore di Roma” così si chiamava il podestà della capitale.

            Le esigenze di carattere militare imponevano che ci si tenesse al coperto e si realizzò così a ridosso del Pal Piccolo, come riporta Carpenedo “una strada molto bella nel posto sbagliato”, a detta dello stesso direttore dell’Anas del tempo.

            Che sia nel posto sbagliato lo si capisce a vista, da profani, ma viene confermato dalle relazioni dei geologi “un mix calamitoso che solo per una congiuntura favorevole non ha innescato finora anche una tragedia.(Venturini)”

            Ma l’Anas ha deciso il ripristino, già in corso.

            Mentre il buonsenso richiederebbe una variante sul tracciato della “vera” strada romana e se possibile un traforo, come si era auspicato negli anni 70 con la costituzione da parte della Regione della Società per il Traforo il gemellaggio Tolmezzo-Lienz.

            Se il recupero della strada storica può avvenire come si è detto con una pista ciclabile, l’importanza che questa strada ha avuto per la storia della Carnia, (che non a caso per Molfetta prende il nome di “ Via Commerciale”) può essere recuperata solo con una soluzione alternativa a quella che ha costretto il “periclitante populo” moderno, per motivi militari, a sfidare le cadute massi del Pal Piccolo in sfacelo.

            Sia quella del progetto proposto già da anni dall’ing.Puntel, che si affiancherebbe alla pista ciclabile, o, ancor meglio, quella del traforo che non è andata in porto negli anni settanta del Novecento.

            Questo insegna la storia. Ma come scriveva Gramsci è una maestra senza scolari. Non vorrei che, “all’italiana” si dovesse attendere che “scappi il morto” per capire la lezione. Mi dispiacerebbe che in futuro il passo di Mone Croce Carnico finisse per rubare la fama al ponte Morandi.






venerdì 21 giugno 2024

Alla scoperta della strada romana per il Passo di Monte Croce Carnico sul sentiero Cai 161.

 

    Nell’elenco del sentieri del Friuli Venezia Giulia il Cai denomina il 161 come “Via Julia Augusta”. Lo fa partire da Cercivento di sotto ed arrivare a Monte Croce, attraversando Cleulis e Timau, per un percorso interessante alla scoperta delle località di Ramazas e Raut. Otrepassato Timau ai Laghetti suggerisce di prendere a destra “la strada romana”, e arrivati alla Casa Cantoniera di scendere per alcuni metri sulla nazionale per riprendere sulla destra le indicazioni del sentiero che continua di nuovo come “romea strata”,

            La passeggiata può partire anche da qui, lasciando l’automobile ove la strada è interrotta per i lavori in corso di sistemazione, dopo l’imponente frana dal Pal Piccolo.

             Volendo trasformare la passeggiata in un percorso alla scoperta della storia del passo, si può raggiungere la casa cantoniera, per ammirare nel pianoro sottostante, la iscrizione che va sotto il nome di “munificentia” dal nome della prima parola. Siamo all’arrivo del primo tratto della strada romana che avremmo percorso se avessimo seguito le indicazioni del Cai. La iscrizione ricorda che la strada, è stata realizzata da tale Alpinio Programmazio ai tempi degli imperatori Valentiniano e quindi nel 370 d.C.

            Riprendendo le indicazioni del Cai sul sentiero 161, si abbandona però questa strada romana, per prenderne una precedente, quella sistemata da un tale Respectus, come si avrà modo di leggere nella epigrafe posta all’arrivo in prossimità del passo.

            Attraverso un facile percorso su strada mulattiera, si arriva ad incrociare il tornante della strada che porta ai pascoli di Val di  Collina.




Si gira a destra e si incontra il contrafforte del Malpasso che per secoli ha creato problemi agli ingegneri romani. Il passaggio, sistemato alla bell’e meglio non presenta difficoltà per chi sale a piedi. Ma che soluzioni si sono dovuti inventare gli ingegneri romani per superare con i carri il salto di una quindicina di metri, non potendo non essere carrabile questa  strada di collegamento tra Aquileia e il Norico?

            Non ci è rimasta traccia! La strada che era servita a Roma per la conquista dell’attuale Austria, nel momento di crisi dell’Impero romano diventò la strada attraverso la quale scesero  i barbari. Nel 167 i Quadi-Marcomanni distrussero Iulium Carnicum. In ritirata, inseguiti dall’esercito di Marco Aurelio, come è normale per un esercito in fuga, distrussero tutto ciò che poteva agevolare gli inseguitori, e quindi in particolare il manufatto che consentiva il superamento del Malpasso. Fu chiamato a riparare i danni negli anni immediatamente successivi il Respectus che troveremo in epigrafe al passo.

            Non si sa come abbia risolto il problema, ma è indubbio che non aveva più i mezzi del periodo d’oro dell’Impero Romano. Ha certamente costruito un ponte, perché come si legge nella  epigrafe, collocata vicino alla precedente, un tale Hermias, ai tempi dell'imperatore Diocleziano verso il 300 d.C, e quindi cento e trenta  anni dopo, ha dovuto intervenire perché “periclitante populo ad pontem transitum non placuit - al popolo non andava di passare sul ponte a rischio e pericolo”.

           Hermias scrive d’aver fatto qualcosa destinato a durare per l’eternità. Non si sa bene che cosa abbia fatto, ma non deve aver risolto il problema se, come abbiamo letto nella prima epigrafe, solo settanta anni dopo, poiché “homines et animalia cum periculo commeabant, sia gli uomini che gli animali continuavano a passare a rischio e pericolo” si decise per la soluzione radicale, e ci si portò  sotto al Pal Piccolo, realizzando il percorso che sale in diretta verso il passo in continuazione di quello che si è  lasciato alla Casa Cantoniera e che ci è rimasto con il nome di "strada romana"..

            Mentre si sale sul sentiero suggerito dal Cai, si hanno di fronte le pareti a strapiombo della montagna che “a vista” si sta sfracellando. Si vedono i tornanti di quella che nel suo libro  sulla strada di Montec Croce, Carpenedo definisce giustamente “un strada molto bella nel posto sbagliato”. Da profani si è portati a pensare che la “furbata" di Programmazio (o già di Hermias?) di cambiare il versante per superare la difficoltà del Malpasso, non sia stata proprio così intelligente. La moderna strada “nel posto sbagliato” è stata realizzata perché quello era il posto migliore per evitare le artiglierie austriache, ma ora che fortunatamente sono venute meno le esigenze di tipo militare, non si riesce a capire perché si debba insistere, mentre il Pal Piccolo diventa sempre più minaccioso.

            Ma in conclusione quale era il vero tracciato della Julia Augusta? Le tre epigrafi, risalenti tutte al periodo di crisi e decadenza dell'Impero romano,  non ci dicono come era la strada voluta e percorsa dai Cesare e Augusto. Per me  era la prosecuzione di quella che si è lasciato come sentiero cai 161 a Timau. In una situazione orografica diversa da quella attuale,  continuava sul tracciato che ora porta alla malga Val di Collina che poi lasciava all’altezza del tornante che si è incontrato, per attraversare il Malpasso e raggiungere Monte Croce. E sono d'accordo con Alfio Englaro quando scrive  che questa strada partiva proprio da Julium Carnicum e saliva mantenendosi sempre in destra But quando tra Arta e Sutrio non c'era il falsopiano di Alzeri provocato dalla frana del Monte Cucco),

            Così la penso io!. Ma il darsi una risposta può essere motivo di discussione per rendere ancora più piacevole la salita al Passo di Monte Croce, obbligatoriamente a piedi, visto che la frana del Pal Piccolo impedisce la salita in macchina. Io mi sono dato una risposta nel post precedente "alla luce della storia", ma potrei anche aver preso un abbaglio.!!!

Al MALPASSO si può pensare di essere davanti alle spallette naturali, a quote diverse, di un ponte. Il sentiero si inerpica some se dovesse passare sotto al ponte. Ma non deve essere stato difficile collegare le due spallette con un impalcato in legno in salita, quello che lo Sticotti chiama il pons sublicius-posato su travi.

 Ma a me piace pensare che, per l'importanza della strada, gli ingegneri romani abbiano risolto il problema con l'arcata di un ardito ponte in muratura in salita, demolito dai barbari in ritirata, di cui forse si dovrebbero trovare dei resti nel bosco sottostante.