Nell’antefatto
del mio romanzo “La vita di Marco Polo dalle memorie del nonno Luigi Polo” ho
raccontato del ritrovamento tra il macabro e il rocambolesco del testo delle
memorie di nonno Luigi. Ciò che mi ha colpito in quelle carte, e mi ha indotto
alla pubblicazione, è stato l’aspetto umano del racconto, il come la vicenda
umana di Luigi si intrecciava con la storia del Friuli e si dilatava nella
storia della scoperta dell’Asia fatta dai Polo. Mi era parso trascurabile e
comunque secondario il fatto che queste memorie potessero servire a sostenere
che Marco Polo è nato in Carnia.
Che
fosse vero il racconto delle sue origini carniche, mi sembrava marginale
rispetto a ciò che Marco ha fatto e raccontato al nonno. Che la Carnia potesse
menar vanto d’aver dato i natali a Marco Polo, mi pareva insignificante: non
cambia la situazione d’un territorio, il ricordare chi vi è nato. Così pensavo.
E sbagliavo. Come mi è stato fatto notare quando il mio romanzo ha iniziato a
essere letto.
Il come
abbia vissuto l’infanzia e la fanciullezza un personaggio serve a capire meglio
il suo modo di pensare, il fatto che, cresciuto tra le montagne della Carnia, abbia potuto diventare il più grande degli
esploratori, può servire d’esempio e di stimolo ai carnici d’oggi.
Sollecitato
dagli stimoli degli amici, mi sono così ricordato d’un foglietto che era
allegato alle memorie, ed a cui non avevo dato alcun peso.
Era il
foglietto con l’immagine d’uno stemma, con nel retro la descrizione
dell’origine dello stemma stesso. Non ci avevo dato peso anche per la banalità
dello stemma che mi aveva fatto pensare a un passatempo di nonno Luigi. Quando,
facendo delle ricerche su Marco Polo, sempre per colpa delle sollecitazioni
degli amici, mi sono imbattuto nello stemma familiare di Marco, mi sono reso
conto invece dell’ importanza del foglietto: lo stemma che, a prima vista,
m’era parso banale, era quello che gli storici attribuiscono a Marco.
Ho
scoperto così che la banalità od originalità che dir si voglia dello stemma,
finisce per essere una conferma della veridicità delle memorie del nonno. Il
foglietto che sono riuscito a rintracciare da un lato porta il disegno di uno
stemma con uno sfondo rosso attraversato diagonalmente da sinistra a destra, da
una larga striscia gialla sulla quale
sembrano salire tre uccelli neri con la particolarità del becco e delle zampe
rosse.
Dietro
con la calligrafia di Luigi Polo che ormai conoscevo c’era scritto che Marco
diventato ormai ricco e famoso aveva pensato di dotarsi d’uno stemma. Al
consiglio di prendersi quello di famiglia, aveva replicato disegnando di suo pugno quello dei
tre uccelli. All’obiezione del nonno secondo cui si trattava d’una soluzione
poco araldica, aveva ribattuto che le tre Pole rappresentavano loro tre, Luigi,
Nicolò e Marco, in successione, come uccelli pronti a spiccare il volo verso
nuovi orizzonti.
Un
amico ornitologo a cui mi sono rivolto per un consulto mi ha detto subito che,
senza ombra di dubbio gli uccelli sono delle Coracia di montagna, o Gracchio
corallino (Pyrrhocorax graculus) che nidifica, a almeno nidificava sulle nostre
montagne. Non capivo ancora però, per quale forzatura nel documento questi
Gracchi, venissero chiamati Pole, per giustificare l’identificazione con il
cognome Polo. La spiegazione m’è venuta consultando il vocabolario friulano del
Pirona. Questi uccelli in friulano si chiamamo Çuvrin o Còrin ma anche Pòle
Confesso
che alla scoperta ho provato una forte emozione. Non tanto per la conferma che
mi veniva dal nome quanto dal fatto di sentirmi in sintonia con Marco per la
simpatia per questi uccelli. Non li ho conosciuti nella variante del gracco corallino
che, a quanto mi dice l’ornitologo, si sono trasferiti più in alta montagna, ma
in quella meno nobile del gracco alpino. Ma il comportamento della specie è lo
stesso ed ha colpito me giovane, al punto di suggerirmi alcuni versi per una
poesia, come, credo, abbia colpito
Marco.
Arrivano
alla sera in stormi disordinati, come in una processione alla quale partecipano
anche ragazzi che incapaci di stare al passo, ora sbandano, s’allontanano o
rallentano, per poi rientrare e rimettersi in fila. E come i genitori rimproverano
i ragazzi così loro si lanciano richiami sguaiata. Il loro gracchiare alla fine
si perde nel bosco dietro al paese, ove si nascondono per passare la notte. Come
in una casa nella quale il sopraggiungere
del sonno spegne le ultime parole dei bambini,
gli ultimi richiami dei grandi, e lascia calare la quiete.
Ripartono
al mattino allo stesso modo, riformando lo stesso stormo disordinato, e vanno a
trascorrere la giornata non si sa dove. E’ questo andare non si sa dove che,
credo, ha colpito Marco, come ha colpito me. Ha pensato che questi uccelli
potessero rappresentare la sua vita meglio di qualsiasi citazione araldica, ed
ha riunito in uno stemma le tre generazioni che hanno segnato per la sua
famiglia il passaggio dalla Carnia alla scoperta del mondo.
L’aver
voluto nello stemma questi uccelli conferma la passione per la caccia che Marco
dimostra di avere quando descrive le cacce dei Mongoli e gli incontri con la
fauna esotica. Nelle sue parole si sente l’emozione di chi ha praticato la
caccia e l’uccellagione. La stessa passione che sentivamo, ragazzi di paese,
quando il nostro inizio dell’anno scolastico veniva disturbato dalla
coincidenza con il passo degli uccelli migratori. Come oggi, i ragazzi prima di
scuola passano per i giochi dello smartphone, così noi passavamo per
controllare i rudimentali impianti con le panie, gli archetti e le trappole.
C’era un’ emozione strana: si mirava alla morte degli uccelli, ma si entrava in
una sorta di sintonia con loro. Si volava con loro nel loro avvicinarsi, nella
speranza che si lasciassero attirare dalla suggestione dei nostri richiami che
finissero per cadere nelle nostre trappole. Più che di emozione si poteva
parlare d’una vibrazione che prendeva il nostro animo che si trasmetteva al
nostro corpo, facendoci vivere un’ansia fisica e spirituale allo stesso tempo.
Ebbene!
Mi è parso di ritrovare questa stessa vibrazione nei racconti di Marco Polo.
Una identità di sensazioni e di emozioni che mi conferma, oltre al fatto dello
stemma, che l’ipotesi di Marco Polo nato in Carnia, dal ceppo dei Polo da cui
derivano anche le mie trisavole, può essere ben più che una ipotesi.
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