sabato 20 settembre 2008

Abolire le Comunità Montane?


E’ un tema d’attualità! Se ne discute a livello romano, a Trieste, ed evidentemente all’interno di ogni Comunità, nella preoccupazione degli interessati che possano svanire le sedie. Tagliarle? Riformarle? Lasciarle in vita come struttura di pensionamento per i trombati?
A mio avviso il problema va posto in altri termini. Quando sono nate con la legge 1102 del 1971 si è ritenuto che per gestire la specificità del problema montagna fosse necessario un Ente ad hoc.
Esiste ancora questa specificità, cioè esiste qualcosa per cui la montagna necessità d’interventi particolari rispetto alla pianura? E’ cambiata in questi anni questa specificità, e quindi va modificato il tipo di risposte da dare?
A mio avviso la specificità c’è, e si è modificata. Credo che ora ci siano almeno due aspetti di rilievo che fanno la peculiarità della montagna: la necessità d’una gestione coordinata dell’ambiente, e la necessità d’una gestione in prossimità dei servizi. Sono due problemi marginali per la pianura, sono invece due emergenze per la montagna. L’ambiente montano va visto in una ottica di territori omogenei, e non lasciato all’interventismo spesso iconoclasta dei piccoli Comuni. Per garantire la sopravvivenza dei paesi di periferia, è necessario articolare sul territorio una rete capillare e flessibili di servizi.
Immagino quindi un Ente che si faccia carico prima di tutto di dare risposte a queste due peculiarità. Vorrei quindi una Comunità che gestisca l’ambiente con interventi diretti, sulle manutenzioni o sulla raccolta dei rifiuti, ma controllando anche gli interventi dei privati e quindi con i compiti della gestione urbanistica del territorio. Vorrei una Comunità che si faccia carico di attivare e gestire una rete si servizi di prossimità, che garantisca anche nei piccoli centri periferici una accettabile qualità della vita di comunità. Penso alla rete della teleassistenza, della telemedicina, della teledidattica, dei trasporti a chiamata, degli associagiovani, dei punti di aggregazione di paese come servizi pubblici e servizi commerciali di primo livello ecc.
Se poi nel turismo di montagna vogliamo passare dalle parole ai fatti si può individuare subito un terzo campo di intervento per le Comunità. La gestione d’un territorio come destinazione turistica (secondo la definizione di Josep Ejarque!) necessità d’una struttura locale che coinvolga tutto il territorio, ma anche tutta la popolazione, sull’obiettivo della valorizzazione turistica. Una struttura capace di una presenza capillare sul territorio attraverso le nuove ProLoco, attraverso un sistema Ecomuseale diffuso, ma anche una struttura capace di coordinare e di gestire l’offerta. Potrebbero diventare utili a tale proposito i GAL, convertiti in Agenzia di sviluppo locale di ogni Comunità, come già avviene in altre realtà italiane ed europee. All’impegno sul turismo si collegherebbe direttamente quello sull’agroalimentare, per la filiera corta ed i prodotti di nicchia, e quindi per ripensare l’economia rurale della montagna.
Se poi, già che ci siamo, vogliamo trovare un ruolo importante nell’interesse dello sviluppo della montagna, anche per la Provincia, l’Ente di varia asta potrebbe avere proprio il compito di coordinare le Comunità montane mettendole in rete tra loro, e realizzando quindi la rete del sistema provinciale della montagna, svolgendo compiti di sussidiarietà nei confronti delle Comunità. Cosa che in effetti in questi anni la Provincia di Udine prima con l’Assessore Caroli ed ora con Faleschini ha già cercato di fare.
E i Comuni? Potrebbero continuare ad aggregarsi per diventare Comunità di valle…
La Comunità Carnica immaginata già nell’immediato dopoguerra dai nostri padri è stata un modello per l’intervento dello Stato in montagna. Perché non si è capaci di fare altrettanto, di produrre un nuovo modello? Perché i giovani leoni della politica carnica non trovano un tavolo a cui sedersi, costituendo nel piccolo una “commissione Attali”, per immaginare una nuova Comunità Carnica, come risposta alle nuove esigenze d’una montagna nella società postmoderna?
E la gestione? Credo che i sindaci riuniti in assemblea garantirebbero un sufficiente grado di partecipazione democratica. Eleggendo un Meriga, che non sia Sindaco per poter essere al di sopra delle parti, che abbia poteri di governatore, e che quindi possa organizzarsi una Giunta con uno staff di collaboratori, individuati per le competenze, senza dover sottostare alle alchimie dei partiti, potrebbe costituire una soluzione che coniuga democrazia ed efficienza. Il che non guasterebbe!...

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