domenica 7 settembre 2025

A Tolmezzo - Via Bonora Maria Agata Vidoni – partigiana – combattente.

 

          L’intitolazione di una via dovrebbe essere un atto adeguatamente ponderato, soprattutto quando riguarda personaggi o fatti della storia locale perché dovrebbe scaturire  dalla volontà di testimoniare qualcosa sul passato e lasciare un esempio ai posteri.

            Per questo al Sindaco di Udine ho contestato la intitolazione di una via al partigiano Romano Zoffo originario di Amaro perché se è vero che è morto per la reazione dei Cosacchi alla pretesa di farsi consegnare le armi, è altrettanto vero che in Carnia è stato destituito da Comandante di Brigata per i suoi comportamenti troppo violenti.

            Ma venendo a Tolmezzo, una delle ultime intitolazioni è quella d’ una via nel quartiere di Betania a Bonora Agata in Vidoni. Presumo che a Udine l’iniziativa sia stata presa dall’APO, ma a Tolmezzo la richiesta è venuta dai parenti, creando un precedente che porta la intitolazione di una via pubblica al rango di intitolazione di una tomba di famiglia

            Comunque chi era costei? Si saranno chiesto i primi residenti e si chiederanno i residenti futuri.

            Il suo nome è legato alle vicende con le quali viene raccontato il funerale di Renato Del Din.

            Sottotenente degli Alpini, dopo l’otto settembre del 43, come molti altri soldati aderì alla resistenza  nelle file della Osoppo di stanza al castello di Pielungo.

            Da lì è salito con alcuni compagni per una azione dimostrativa contro la caserma della Guardia confinaria, (ora Uffici municipali di Via Linussio), azione dimostrativa per sollecitare i tolmezzini a ribellarsi alle autorità fasciste e naziste che controllavano il paese.

            Il piano prevedeva una sparatoria e una ritirata attraverso via Cascina e poi per Pra Castello, come hanno fatto i suoi compagni. Per errore lui ha imboccato l’attiguo ingresso al cortile dell’Albergo Alle Alpi è stato quindi raggiunto e colpito dai militari usciti dalla caserma attaccata.

            Portato all’ospedale è morto e il suo funerale è entrato subito nella leggenda. Ne parla per primo Michele Gortani nella relazione sulla Guerra di Liberazione in Carnia uscita con il titolo di Il Martirio della Carnia già il 30 maggio del 1945 per le edizioni La Panarie.

. I funerali diedero luogo, due giorni dopo, ad una dimostrazione grandiosa di popolo. Migliaia di donne tolmezzine e non pochi uomini, dopo avere onorata e coperta di fiori la salma la vollero scortare al cimitero in un interminabile corteo, sfilato lungo le principali vie cittadine. Fascisti e nazisti, furibondi per l’inequivocabile significato politico della dimostrazione fecero inchieste e punirono ufficiali e funzionari.

             Gli fa eco, (o lo precede) Chino Ermacora che nell’epopea sulla Resistenza in Carnia uscita nell’agosto del 1945  con il titolo La Patria era sui monti, scrive:

            Le autorità tedesche, per farla finita, ordinarono che il trasporto funebre di quel “bandito” si svolgesse la mattina per tempo, in forma clandestina seguendo un itinerario periferico…

            Al bivio dove la strada dell’ospedale dirama nella via centrale, il clero sostò incerto il capitano dei carabinieri ad evitare rappresaglie consigliò di seguire almeno l’itinerario voluto dalle autorità.

            “No, risposero le donne, (che erano accorse in massa anche dai paesi della Carnia) per le vie cittadine dobbiamo passare”. Una ragazza, con piglio franco, afferrò i cavalli alla briglia e li guidò verso il centro.

            E’ il gesto che avrebbe compiuto Agata e che le ha meritato la intitolazione.

            Michele Gortani, per la seconda edizione del suo libro che uscirà postumo, non modifica il testo ma aggiunge una nota e scrive:

Il ten.Renato Del Din ufficiale dell’Ottavo Alpini, al comando di una pattuglia attaccò la caserma della milizia fascista alle ore 23 del 24 aprile e spirò all’ospedale di Tolmezzo la mattina del 25 alle ore 5.30. I tedeschi avevano stabilito che il funerale fosse modestissimo e quasi clandestino, ma il popolo si ribellò. Si trattava di un Alpino, per di più dell’Ottavo, e la salma doveva essere convenientemente onorata. Una giovane ardimentosa, prendendo per la briglia un cavallo del carro funebre che stava per imboccare la strada di circonvallazione, lo fece deviare per la via principale, che mena al centro cittadino.

            La notizia sulla giovane ardimentosa gli deriva dall’aver letto Chino Ermacora per cui  la ragazza di Ermacora diventa la sua giovane ardimentosa o ha avuto qualche tesstimonianza al riguardo?

            Per questa nuova edizione è certo comunque che Gortani aveva fatto ulteriori ricerche. Sul fatto specifico, in particolare. aveva chiesto una testioninanza a Don Carlo Englaro che al tempo era capellano a Tolmezzo. Lo conferma la lettera di risposta conservata nel suo archivio (fascicolo 50), che Gortani. In nota  (n.3) trascrive  così:.

            Il capitano dei carabinieri Santo Arbitrio, redarguito per non essersi opposto con le armi alla deviazione del corteo, rispose che mai avrebbe fatto sparare sulle donne e venne trasferito pochi giorni dopo nell’interno del paese .

            Ci fu un’ inchiesta a carico del Parroco e dei capellani che avevano officiato il funerale, il comportamento del capitano dei carabinieri fu invece subito punito con il suo trasferimento.

            Che il capitano non avesse altre possibilità se non quella di sparare sulle donne per impedire la deviazione del corteo è evidentemente una esagerazione, resta il fatto che il capitano non ha impedito, come avrebbe potuto, che si disattendesse alle disposizioni impartite sulla celebrazione del funerale in forma semplice, e quindi come scrive Gortani e come è confermato dalla stato di servizio del capitano, ritrovato da Matelda Puppini e pubblicato nel suo blog, per punizione fu trasferito.

            A dimostrazione che i ricordi subiscono un processo di elaborazione nel tempo, Luigi Valle ha scritto e firmato una dichiarazione sostenendo di aver partecipato come chierichetto

al funerale organizzato dal cappellano don Egidio e gestito dai ragazzi dell’Azione Cattolica, senza nessuna partecipazione di donne.

            Ma si può quindi provare a capire come si è svolto il funerale?

            La risposta sembrerebbe arrivarci da un altro documento ritrovato ancora una volta dalla brava storica ricercatrice Matelda Puppini e pubblicato sul suo blog intitolato “Nonsolocarnia”. Si tratta di una relazione  sul funerale fatta dalla Regia Prefettura di Udine  al Ministero Interni datata 3 maggio 1944.

            Purtroppo però la relazione al Ministero è composta da due parti in evidente contrasto tra loro. Nella prima si dice che il Commissario Prefettizio aveva ordinato che il funerale si tenesse al mattino “senza alcuna pompa. Senonchè alle ore sette precise un migliaio di donne si facevano trovare davanti all’ospedale e si accodavano al carro funebre obbligando ad un certo punto il conducente del carro a deviare l’itenerario prestabilito e costringendolo a trasportare il cadavere in Chiesa per la benedizione”.

            Nella seconda parte invece si dice che “contrariamente a quanto disposto dal Commissario Prefettizio di Tolmezzo, l’Arcidiacono don Ordiner fece suonare le campane a morto, fatto a suo dire integrante della funzione religiosa, intervenne al funerale facendosi precedere dalla Croce, dal Clero e da una ventina di ragazzi, benedisse la salma nella Chiesa Parrocchiale adducendo che la cappella dell’ospedale non è officiata né officiabile per esequie presente il cadavere”

            Nella nota già citata Gortani  aggiunge il breve colloquio intervenuto tra Mons. Ordiner e il Comadate il presidio che gli aveva riportato il coadiutore don Carlo Englaro in risposta alla sua richiesta di maggiori dettagli sull’episodio:

            Il Comandante: “Perché avete fatto i funerali di quel partigiano: Risposta: “Perché è un cristiano”

            Il Comandante: “Perché con tanta solennità?”        Risposta: “A tutti i defunti vengono fatti in forma solenne”. Il Comandante: “ Anche se muore un tedesco?”             Risposta: “Certamente”

            Al coadiutore il Comandante chiese perché avesse partecipato anche’egli ai funerali ed egli rispose che non mancava a nessun funerale.  

            Quindi cercando i ricomporre i tasselli di questo mosaico di documentazione si ricava che:.

            Per decisione di Mons. Ordiner cui va riconosciuto il merito, il funerale è stato officiato da lui stesso accompagnato dai cappellani come cerimonia di prima classe che partiva dall’ospedale ma doveva  tenersi in Duomo, senza che fosse necessario alcun intervento per modificare il tragitto.

            Il capitano dei carabinieri Santo Arbitrio che avrebbe potuto opporsi non l’ha fatto. Il primo è stato richiamato il secondo punito.

            Il perché l’abbiano fatto, credo stia  nella considerazione di Gortani che il morto pur “ignotus” come si registra in parrocchia,  era vestito da sottotenente dell’ottavo reggimento alpini. Per lo stesso motivo si può pensare ci sia stata una larga partecipazione soprattutto di donne al funerale.

            Ma il gesto eroico che ha meritato l’intitolazione di una via?

            Cercando ancora di ricostruire i tasselli a lume di logica si può immaginare che all’altezza dell’attuale caserma dei carbinieri sia intervenuto il capitano a chiedere al parroco di non esagerare nella provocazione, di arrivare quindi in duomo dall’attuale via della Cooperativa non dall’attuale via Matteotti.

            Ci fu di coseguenza un momento di esitazione.  il momento in cui secondo Ermacora, che aveva ricevuto le informazioni “dalla giovinetta accorsa per prima a salutare la salma nella cappella dell’ospedale”,  il clero sostò incerto al bivio dove la strada dell’ospedale dirama nella via centrale.

            Ma “il clero” aveva già deciso e poi non si può modificare il percorso di un funerale intervenendo sulla carrozza, perché secondo le disposizioni del parroco, a quel punto la ventina di chiericchetti preceduti dalla croce e dagli uomini  (e c’era certamente qualche vecchio alpino dell’Ottavo!) avevano già imboccato l’attuale via Dante Alighieri.

            Forse questo stava spiegando il parroco al capitano quando Agata che seguiva il feretro, intervenne e prese le briglia dei cavalli per porre fine ad ogni esitazione.

            Ma non si trattò di un gesto eroico, rispetto ad una decisione presa dal parroco e lasciata passare se non addirittura condivisa dal capitano tant’è che da nessun documento risulta che la donna sia stata convocata a rispondere del gesto, mentre lo sono stati il capitano e il parroco.

            Se poi sia finita in campo di concentramento, come si dice nelle motivazioni per la intitolazione della via, bisognerebbe conoscere il come e il perché. Infatti allo stato della documentazione reperibile, è da escludere lo sia stato come conseguenza del gesto di impazienza, di fronte all’esitazione dei due protagonisti  che si stavano assumendo una responsabilità non da poco.

            Resterebbe da chiarire perché il gesto viene attribuito da Gortani a “una giovane ardimentosa”, da Ermacora a una ragazza, mentre Agata nata nel 1893 all’epoca dei fatti aveva cinquanta anni. A quei tempi, a quell’età si andava vestite di nero. Non era certo comunque una  da ragazza!

            Ma resta un dettaglio  secondario rispetto al fatto che a meritarsi  un riconoscimento per come si sono svolti il funerali di Renato del Din sono, senza ombra di dubbio,  il Capitano dei Carabinieri punito per avere da militare portato rispetto a un militare, e il parroco Mons. Ordiner che si è assunta la responsbilità di celebrare un funerale solenne per un giovane ritenuto dai  fascisti e  tedeschi  un “bandito” ma che, pur “ignoto”  per la divisa che portava era un ufficiale del glorioso ottavo reggimento alpini.

            Chino Ermacora completa il suo racconto parlando anche del gesto di una donna che avrebbe posto il cappello alpino sulla bara che poi fu calata nella fossa al grido di “Viva l’Italia” alzato da un’altra donna.

            Nella relazione al Ministero scovata da Matelda Puppini le due donne hanno un nome si legge infatti che.

            Durante il trasporto certa Midolini Lena collocò sulla bara un cappello alpino. Inoltre, nel momento in cui il feretro veniva calato nella fossa la signorina Dirce Nascimbeni salutò il cadavere del ribelle dicendo: “Salute, fratello d’Italia”, al che altre donne, non identificate, avrebbero risposto “Presente”.

            Come mai si fanno i nomi di queste due donne e non quella di Agata  che avrebbe compiuto il gesto coraggioso di deviare il corteo, per il quale si dice semplicemente che tante donne  si accodavano al carro funebre, obbligando ad un certo punto il conducente del carro a deviare l’itinerario prestabilito?

            Pensavo fossero questi i nomi delle donne riportati nella targa che  ora fiancheggia quella di Del Din nel luogo ove è stato ucciso

            Invece come “autrici del gesto coraggioso di sfidare l’occupante tedesco per dare una degna sepoltura all’eroe Renato Del Din”, assieme a Bonora Maria Agata, sono riportati i nomi di Menchini Sara, Cargnelutti Gentile, Marini Franca.

            Cosa hanno fatto per meritarsi una targa commemorativa? Forse sono quelle donne che, come scrive Ermacora, hanno posto il defunto nel carro funebre. Ma Ermacora parla di un gesto compiuto da una donna imprecisata “insieme con cinque compagne”, quindi se la innominata è Agata, dovrebbero essere cinque e non tre le compagne cui dedicare la lapide. Chi sono le due mancanti?

            E perché non aggiungere anche i nomi della Midolini e della Nascimbeni? Sara Menchini nel documento riportato da Matelda Puppini nel suo blog Nonsolocarnia, viene citata perchè  al ritorno dal cimitero, ebbe consegnate circa L.800 raccolte dalle donne che avevano costituito il corteo, allo scopo di ottenere dal comune la concessione di un’ara privilegiata per la sepoltura del capo banda.

             Ma Cargnelutti Gentile e Marini Franca da dove vengono fuori, cosa hanno fatto di eroico?

            Mi pare un pasticcio anche quello della targa alle donne coraggiose! 

            Un po’ come quello delle lapidi al ponte di Caneva dove, in contrasto con i parenti, si commemora come caduta accidentalmente, una donna uccisa volutamente da un partigiano reo confesso del gesto. Ma non sono iscritto all’Anpi e quindi non ho diritto di parola a riguardo delle lapidi apposte dall’Associazione.

            Ho invece voluto fare questa aggiunta perché mi sembra  cali ulteriore nebbia sulla storia di Agata e sul merito di trovarsi dedicata una via a Tolmezzo. E questo è un argomento che mi riguarda come cittadino di questo Comune.