L’intitolazione di una via dovrebbe essere un atto adeguatamente ponderato, soprattutto quando riguarda personaggi o fatti della storia locale perché dovrebbe scaturire dalla volontà di testimoniare qualcosa sul passato e lasciare un esempio ai posteri.
Per questo al Sindaco
di Udine ho contestato la intitolazione di una via al partigiano Romano Zoffo
originario di Amaro perché se è vero che è morto per la reazione dei Cosacchi
alla pretesa di farsi consegnare le armi, è altrettanto vero che in Carnia è
stato destituito da Comandante di Brigata per i suoi comportamenti troppo
violenti.
Ma venendo a Tolmezzo,
una delle ultime intitolazioni è quella d’ una via nel quartiere di Betania a
Bonora Agata in Vidoni. Presumo che a Udine l’iniziativa sia stata presa dall’APO,
ma a Tolmezzo la richiesta è venuta dai parenti, creando un precedente che
porta la intitolazione di una via pubblica al rango di intitolazione di una
tomba di famiglia
Comunque chi era
costei? Si saranno chiesto i primi residenti e si chiederanno i residenti
futuri.
Il suo nome è legato
alle vicende con le quali viene raccontato il funerale di Renato Del Din.
Sottotenente degli
Alpini, dopo l’otto settembre del 43, come molti altri soldati aderì alla
resistenza nelle file della Osoppo di
stanza al castello di Pielungo.
Da lì è salito con
alcuni compagni per una azione dimostrativa contro la caserma della Guardia
confinaria, (ora Uffici municipali di Via Linussio), azione dimostrativa per
sollecitare i tolmezzini a ribellarsi alle autorità fasciste e naziste che
controllavano il paese.
Il piano prevedeva una
sparatoria e una ritirata attraverso via Cascina e poi per Pra Castello, come
hanno fatto i suoi compagni. Per errore lui ha imboccato l’attiguo ingresso al
cortile dell’Albergo Alle Alpi è stato quindi raggiunto e colpito dai militari
usciti dalla caserma attaccata.
Portato all’ospedale è
morto e il suo funerale è entrato subito nella leggenda. Ne parla per primo
Michele Gortani nella relazione sulla Guerra di Liberazione in Carnia uscita
con il titolo di Il Martirio della Carnia già il 30 maggio del 1945 per le
edizioni La Panarie.
. I funerali diedero luogo, due
giorni dopo, ad una dimostrazione grandiosa di popolo. Migliaia di donne
tolmezzine e non pochi uomini, dopo avere onorata e coperta di fiori la salma
la vollero scortare al cimitero in un interminabile corteo, sfilato lungo le
principali vie cittadine. Fascisti e nazisti, furibondi per l’inequivocabile
significato politico della dimostrazione fecero inchieste e punirono ufficiali
e funzionari.
Gli fa eco, (o lo precede) Chino Ermacora che
nell’epopea sulla Resistenza in Carnia uscita nell’agosto del 1945 con il titolo La Patria era sui monti, scrive:
Le autorità tedesche, per farla finita, ordinarono che il trasporto
funebre di quel “bandito” si svolgesse la mattina per tempo, in forma
clandestina seguendo un itinerario periferico…
Al bivio dove la strada dell’ospedale dirama nella via centrale, il
clero sostò incerto il capitano dei carabinieri ad evitare rappresaglie
consigliò di seguire almeno l’itinerario voluto dalle autorità.
“No, risposero le donne, (che erano accorse in massa
anche dai paesi della Carnia) per le vie cittadine dobbiamo passare”. Una
ragazza, con piglio franco, afferrò i cavalli alla briglia e li guidò verso il
centro.
E’ il gesto che
avrebbe compiuto Agata e che le ha meritato la intitolazione.
Michele Gortani, per la
seconda edizione del suo libro che uscirà postumo, non modifica il testo ma
aggiunge una nota e scrive:
Il ten.Renato Del Din ufficiale
dell’Ottavo Alpini, al comando di una pattuglia attaccò la caserma della
milizia fascista alle ore 23 del 24 aprile e spirò all’ospedale di Tolmezzo la
mattina del 25 alle ore 5.30. I tedeschi avevano stabilito che il funerale
fosse modestissimo e quasi clandestino, ma il popolo si ribellò. Si trattava di
un Alpino, per di più dell’Ottavo, e la salma doveva essere convenientemente
onorata. Una giovane ardimentosa, prendendo per la briglia un cavallo del carro
funebre che stava per imboccare la strada di circonvallazione, lo fece deviare
per la via principale, che mena al centro cittadino.
La
notizia sulla giovane ardimentosa gli deriva dall’aver letto Chino Ermacora per
cui la ragazza di Ermacora diventa la
sua giovane ardimentosa o ha avuto qualche tesstimonianza al riguardo?
Per questa nuova
edizione è certo comunque che Gortani aveva fatto ulteriori ricerche. Sul fatto
specifico, in particolare. aveva chiesto una testioninanza a Don Carlo Englaro
che al tempo era capellano a Tolmezzo. Lo conferma la lettera di risposta
conservata nel suo archivio (fascicolo 50), che Gortani. In nota (n.3) trascrive così:.
Il capitano dei carabinieri Santo Arbitrio, redarguito
per non essersi opposto con le armi alla deviazione del corteo, rispose che mai
avrebbe fatto sparare sulle donne e venne trasferito pochi giorni dopo
nell’interno del paese .
Ci fu un’ inchiesta a carico del Parroco e dei capellani
che avevano officiato il funerale, il comportamento del capitano dei
carabinieri fu invece subito punito con il suo trasferimento.
Che il
capitano non avesse altre possibilità se non quella di sparare sulle donne per
impedire la deviazione del corteo è evidentemente una esagerazione, resta il
fatto che il capitano non ha impedito, come avrebbe potuto, che si
disattendesse alle disposizioni impartite sulla celebrazione del funerale in
forma semplice, e quindi come scrive Gortani e come è confermato dalla stato di
servizio del capitano, ritrovato da Matelda Puppini e pubblicato nel suo blog,
per punizione fu trasferito.
A dimostrazione che i
ricordi subiscono un processo di elaborazione nel tempo, Luigi Valle ha scritto
e firmato una dichiarazione sostenendo di aver partecipato come chierichetto
al funerale organizzato dal cappellano don Egidio e gestito dai ragazzi
dell’Azione Cattolica, senza nessuna partecipazione di donne.
Ma si può quindi
provare a capire come si è svolto il funerale?
La risposta
sembrerebbe arrivarci da un altro documento ritrovato ancora una volta dalla
brava storica ricercatrice Matelda Puppini e pubblicato sul suo blog intitolato
“Nonsolocarnia”. Si tratta di una relazione
sul funerale fatta dalla Regia Prefettura di Udine al Ministero Interni datata 3 maggio 1944.
Purtroppo però la
relazione al Ministero è composta da due parti in evidente contrasto tra loro.
Nella prima si dice che il Commissario Prefettizio
aveva ordinato che il funerale si tenesse al mattino “senza alcuna pompa.
Senonchè alle ore sette precise un migliaio di donne si facevano trovare
davanti all’ospedale e si accodavano al carro funebre obbligando ad un certo
punto il conducente del carro a deviare l’itenerario prestabilito e
costringendolo a trasportare il cadavere in Chiesa per la benedizione”.
Nella seconda parte
invece si dice che “contrariamente a
quanto disposto dal Commissario Prefettizio di Tolmezzo, l’Arcidiacono don
Ordiner fece suonare le campane a morto, fatto a suo dire integrante della
funzione religiosa, intervenne al funerale facendosi precedere dalla Croce, dal
Clero e da una ventina di ragazzi, benedisse la salma nella Chiesa
Parrocchiale adducendo che la cappella dell’ospedale
non è officiata né officiabile per esequie presente il cadavere”
Nella nota già citata
Gortani aggiunge il breve colloquio intervenuto
tra Mons. Ordiner e il Comadate il presidio che gli aveva riportato il
coadiutore don Carlo Englaro in risposta alla sua richiesta di maggiori
dettagli sull’episodio:
Il Comandante: “Perché avete fatto i funerali di quel partigiano:
Risposta: “Perché è un cristiano”
Il Comandante: “Perché con tanta solennità?” Risposta: “A tutti i defunti vengono
fatti in forma solenne”. Il Comandante: “ Anche se muore un tedesco?” Risposta: “Certamente”
Al coadiutore il Comandante chiese perché avesse
partecipato anche’egli ai funerali ed egli rispose che non mancava a nessun
funerale.
Quindi
cercando i ricomporre i tasselli di questo mosaico di documentazione si ricava
che:.
Per decisione di Mons.
Ordiner cui va riconosciuto il merito, il funerale è stato officiato da lui stesso
accompagnato dai cappellani come cerimonia di prima classe che partiva
dall’ospedale ma doveva tenersi in Duomo, senza che fosse necessario alcun intervento
per modificare il tragitto.
Il capitano dei
carabinieri Santo Arbitrio che avrebbe potuto opporsi non l’ha fatto. Il primo
è stato richiamato il secondo punito.
Il perché l’abbiano
fatto, credo stia nella considerazione
di Gortani che il morto pur “ignotus” come si registra in parrocchia, era vestito da sottotenente dell’ottavo
reggimento alpini. Per lo stesso motivo si può pensare ci sia stata una larga
partecipazione soprattutto di donne al funerale.
Ma il gesto eroico che
ha meritato l’intitolazione di una via?
Cercando ancora di
ricostruire i tasselli a lume di logica si può immaginare che all’altezza
dell’attuale caserma dei carbinieri sia intervenuto il capitano a chiedere al
parroco di non esagerare nella provocazione, di arrivare quindi in duomo
dall’attuale via della Cooperativa non dall’attuale via Matteotti.
Ci fu di coseguenza un
momento di esitazione. il momento in cui
secondo Ermacora, che aveva ricevuto le informazioni “dalla giovinetta accorsa
per prima a salutare la salma nella cappella dell’ospedale”, il clero
sostò incerto al bivio dove la strada dell’ospedale dirama nella via centrale.
Ma “il
clero” aveva già deciso e poi non si può modificare il percorso di un funerale
intervenendo sulla carrozza, perché secondo le disposizioni del parroco, a quel
punto la ventina di chiericchetti preceduti dalla croce e dagli uomini (e c’era certamente qualche vecchio alpino
dell’Ottavo!) avevano già imboccato l’attuale via Dante Alighieri.
Forse questo stava
spiegando il parroco al capitano quando Agata che seguiva il feretro,
intervenne e prese le briglia dei cavalli per porre fine ad ogni esitazione.
Ma non si trattò di un
gesto eroico, rispetto ad una decisione presa dal parroco e lasciata passare se
non addirittura condivisa dal capitano tant’è che da nessun documento risulta che
la donna sia stata convocata a rispondere del gesto, mentre lo sono stati il
capitano e il parroco.
Se poi sia finita in
campo di concentramento, come si dice nelle motivazioni per la intitolazione
della via, bisognerebbe conoscere il come e il perché. Infatti allo stato della
documentazione reperibile, è da escludere lo sia stato come conseguenza del gesto
di impazienza, di fronte all’esitazione dei due protagonisti che si stavano assumendo una responsabilità
non da poco.
Resterebbe da chiarire
perché il gesto viene attribuito da Gortani a “una giovane ardimentosa”, da
Ermacora a una ragazza, mentre Agata nata nel 1893 all’epoca dei fatti aveva
cinquanta anni. A quei tempi, a quell’età si andava vestite di nero. Non era
certo comunque una da ragazza!
Ma resta un dettaglio secondario rispetto al fatto che a meritarsi un riconoscimento per come si sono svolti il
funerali di Renato del Din sono, senza ombra di dubbio, il Capitano dei Carabinieri punito per avere
da militare portato rispetto a un militare, e il parroco Mons. Ordiner che si è
assunta la responsbilità di celebrare un funerale solenne per un giovane ritenuto
dai fascisti e tedeschi
un “bandito” ma che, pur “ignoto” per la divisa che portava era un ufficiale del
glorioso ottavo reggimento alpini.
Chino Ermacora
completa il suo racconto parlando anche del gesto di una donna che avrebbe
posto il cappello alpino sulla bara che poi fu calata nella fossa al grido di
“Viva l’Italia” alzato da un’altra donna.
Nella relazione al
Ministero scovata da Matelda Puppini le due donne hanno un nome si legge
infatti che.
Durante il
trasporto certa Midolini Lena collocò sulla bara un cappello alpino. Inoltre,
nel momento in cui il feretro veniva calato nella fossa la signorina Dirce
Nascimbeni salutò il cadavere del ribelle dicendo: “Salute, fratello d’Italia”,
al che altre donne, non identificate, avrebbero risposto “Presente”.
Come mai si fanno i nomi di queste due donne e non quella di
Agata che avrebbe compiuto il gesto
coraggioso di deviare il corteo, per il quale si dice semplicemente che tante
donne si accodavano al carro funebre, obbligando ad
un certo punto il conducente del carro a deviare l’itinerario prestabilito?
Pensavo fossero questi i nomi delle donne riportati nella targa
che ora fiancheggia quella di Del Din nel luogo
ove è stato ucciso
Invece come “autrici
del gesto coraggioso di sfidare l’occupante tedesco per dare una degna
sepoltura all’eroe Renato Del Din”, assieme a Bonora Maria Agata, sono
riportati i nomi di Menchini Sara, Cargnelutti Gentile, Marini Franca.
Cosa hanno fatto per
meritarsi una targa commemorativa? Forse sono quelle donne che, come scrive
Ermacora, hanno posto il defunto nel carro funebre. Ma Ermacora parla di un
gesto compiuto da una donna imprecisata “insieme con cinque compagne”, quindi
se la innominata è Agata, dovrebbero essere cinque e non tre le compagne cui
dedicare la lapide. Chi sono le due mancanti?
E perché non
aggiungere anche i nomi della Midolini e della Nascimbeni? Sara Menchini nel
documento riportato da Matelda Puppini nel suo blog Nonsolocarnia, viene citata
perchè al ritorno dal cimitero, ebbe consegnate circa L.800 raccolte
dalle donne che avevano costituito il corteo, allo scopo di ottenere dal comune
la concessione di un’ara privilegiata per la sepoltura del capo banda.
Ma Cargnelutti
Gentile e Marini Franca da dove vengono fuori, cosa hanno fatto di eroico?
Mi pare un pasticcio anche quello della targa alle donne
coraggiose!
Un po’ come quello delle lapidi al ponte di Caneva dove,
in contrasto con i parenti, si commemora come caduta accidentalmente, una donna
uccisa volutamente da un partigiano reo confesso del gesto. Ma non sono
iscritto all’Anpi e quindi non ho diritto di parola a riguardo delle lapidi
apposte dall’Associazione.
Ho invece voluto fare questa aggiunta perché mi
sembra cali ulteriore nebbia sulla
storia di Agata e sul merito di trovarsi dedicata una via a Tolmezzo. E questo
è un argomento che mi riguarda come cittadino di questo Comune.