mercoledì 22 febbraio 2017

Marco Polo, veramente nato in Carnia?




                Nell’antefatto del mio romanzo “La vita di Marco Polo dalle memorie del nonno Luigi Polo” ho raccontato del ritrovamento tra il macabro e il rocambolesco del testo delle memorie di nonno Luigi. Ciò che mi ha colpito in quelle carte, e mi ha indotto alla pubblicazione, è stato l’aspetto umano del racconto, il come la vicenda umana di Luigi si intrecciava con la storia del Friuli e si dilatava nella storia della scoperta dell’Asia fatta dai Polo. Mi era parso trascurabile e comunque secondario il fatto che queste memorie potessero servire a sostenere che Marco Polo è nato in Carnia.
                Che fosse vero il racconto delle sue origini carniche, mi sembrava marginale rispetto a ciò che Marco ha fatto e raccontato al nonno. Che la Carnia potesse menar vanto d’aver dato i natali a Marco Polo, mi pareva insignificante: non cambia la situazione d’un territorio, il ricordare chi vi è nato. Così pensavo. E sbagliavo. Come mi è stato fatto notare quando il mio romanzo ha iniziato a essere letto.
                Il come abbia vissuto l’infanzia e la fanciullezza un personaggio serve a capire meglio il suo modo di pensare, il fatto che, cresciuto tra le montagne della Carnia,  abbia potuto diventare il più grande degli esploratori, può servire d’esempio e di stimolo ai carnici d’oggi.
                Sollecitato dagli stimoli degli amici, mi sono così ricordato d’un foglietto che era allegato alle memorie, ed a cui non avevo dato alcun peso.
                Era il foglietto con l’immagine d’uno stemma, con nel retro la descrizione dell’origine dello stemma stesso. Non ci avevo dato peso anche per la banalità dello stemma che mi aveva fatto pensare a un passatempo di nonno Luigi. Quando, facendo delle ricerche su Marco Polo, sempre per colpa delle sollecitazioni degli amici, mi sono imbattuto nello stemma familiare di Marco, mi sono reso conto invece dell’ importanza del foglietto: lo stemma che, a prima vista, m’era parso banale, era quello che gli storici attribuiscono a Marco.
                Ho scoperto così che la banalità od originalità che dir si voglia dello stemma, finisce per essere una conferma della veridicità delle memorie del nonno. Il foglietto che sono riuscito a rintracciare da un lato porta il disegno di uno stemma con uno sfondo rosso attraversato diagonalmente da sinistra a destra, da una larga striscia gialla sulla  quale sembrano salire tre uccelli neri con la particolarità del becco e delle zampe rosse.

                Dietro con la calligrafia di Luigi Polo che ormai conoscevo c’era scritto che Marco diventato ormai ricco e famoso aveva pensato di dotarsi d’uno stemma. Al consiglio di prendersi quello di famiglia, aveva  replicato disegnando di suo pugno quello dei tre uccelli. All’obiezione del nonno secondo cui si trattava d’una soluzione poco araldica, aveva ribattuto che le tre Pole rappresentavano loro tre, Luigi, Nicolò e Marco, in successione, come uccelli pronti a spiccare il volo verso nuovi orizzonti.               
                Un amico ornitologo a cui mi sono rivolto per un consulto mi ha detto subito che, senza ombra di dubbio gli uccelli sono delle Coracia di montagna, o Gracchio corallino (Pyrrhocorax graculus) che nidifica, a almeno nidificava sulle nostre montagne. Non capivo ancora però, per quale forzatura nel documento questi Gracchi, venissero chiamati Pole, per giustificare l’identificazione con il cognome Polo. La spiegazione m’è venuta consultando il vocabolario friulano del Pirona. Questi uccelli in friulano si chiamamo Çuvrin o Còrin ma anche Pòle
                Confesso che alla scoperta ho provato una forte emozione. Non tanto per la conferma che mi veniva dal nome quanto dal fatto di sentirmi in sintonia con Marco per la simpatia per questi uccelli. Non li ho conosciuti nella variante del gracco corallino che, a quanto mi dice l’ornitologo, si sono trasferiti più in alta montagna, ma in quella meno nobile del gracco alpino. Ma il comportamento della specie è lo stesso ed ha colpito me giovane, al punto di suggerirmi alcuni versi per una poesia, come, credo, abbia  colpito Marco.
                Arrivano alla sera in stormi disordinati, come in una processione alla quale partecipano anche ragazzi che incapaci di stare al passo, ora sbandano, s’allontanano o rallentano, per poi rientrare e rimettersi in fila. E come i genitori rimproverano i ragazzi così loro si lanciano richiami sguaiata. Il loro gracchiare alla fine si perde nel bosco dietro al paese, ove si nascondono per passare la notte. Come in una casa nella quale  il sopraggiungere  del sonno spegne le ultime parole dei bambini, gli ultimi richiami dei grandi, e lascia calare la quiete.
                Ripartono al mattino allo stesso modo, riformando lo stesso stormo disordinato, e vanno a trascorrere la giornata non si sa dove. E’ questo andare non si sa dove che, credo, ha colpito Marco, come ha colpito me. Ha pensato che questi uccelli potessero rappresentare la sua vita meglio di qualsiasi citazione araldica, ed ha riunito in uno stemma le tre generazioni che hanno segnato per la sua famiglia il passaggio dalla Carnia alla scoperta del mondo.
                L’aver voluto nello stemma questi uccelli conferma la passione per la caccia che Marco dimostra di avere quando descrive le cacce dei Mongoli e gli incontri con la fauna esotica. Nelle sue parole si sente l’emozione di chi ha praticato la caccia e l’uccellagione. La stessa passione che sentivamo, ragazzi di paese, quando il nostro inizio dell’anno scolastico veniva disturbato dalla coincidenza con il passo degli uccelli migratori. Come oggi, i ragazzi prima di scuola passano per i giochi dello smartphone, così noi passavamo per controllare i rudimentali impianti con le panie, gli archetti e le trappole. C’era un’ emozione strana: si mirava alla morte degli uccelli, ma si entrava in una sorta di sintonia con loro. Si volava con loro nel loro avvicinarsi, nella speranza che si lasciassero attirare dalla suggestione dei nostri richiami che finissero per cadere nelle nostre trappole. Più che di emozione si poteva parlare d’una vibrazione che prendeva il nostro animo che si trasmetteva al nostro corpo, facendoci vivere un’ansia fisica e spirituale allo stesso tempo.
                Ebbene! Mi è parso di ritrovare questa stessa vibrazione nei racconti di Marco Polo. Una identità di sensazioni e di emozioni che mi conferma, oltre al fatto dello stemma, che l’ipotesi di Marco Polo nato in Carnia, dal ceppo dei Polo da cui derivano anche le mie trisavole, può essere ben più che una ipotesi.