Pieri Stefanutti con
un suo post mi tira simpaticamente a cimento ricordando quando loro “i
ventenni” scandivano “Comelli ci tiri per i fondelli” mentre noi trentenni
(Benvenuti ben più impegnato di me a Gemona è mio coetaneo) eravamo dalla parte
di Comelli e Zamberletti. Già in questa citazione anagrafica emerge il
paradosso. Quello che in un precedente post ho evocato come il paradosso della
democrazia. Il sistema democratico può funzionare solo in una cultura laica,
quando cioè si dà per scontato che gli altri la pensino diversamente da me. Ma
la nostra (quella friulana in particolare) è una cultura a matrice religiosa.
(Non è un caso che la chiesa friulana abbia avuto un ruolo significativo nel
dopo terremoto). Siamo portati a ideologizzare. Anche sul piano politico ad
avere una “fede”. Ma la fede è estremista, perché assoluta, non può accettare
il compromesso tra idee diverse: che invece è il modo di essere istitutivo
della democrazia.
La fede si alimenta nel mito, non nella
ragione.
Da qui una storia del Friuli,
costruita sui miti. A partire da quella che vuole la friulanità nascere con il
patriarcato. Ossia in duecento anni di storia d’un Friuli retto da
principi-vescovi che si alternavano provenendo da ogni parte d’Europa. Portando
idee, ma per forza maggiore impossibilitati a favorire lo sviluppo d’una
identità locale. Che fortunatamente già esisteva, formatasi nel crogiuolo che
aveva visto la civiltà romana confrontarsi con la cultura celtica.
In continuità con ciò che facevo quando
ero con Comelli, da pensionato, mi interesso di storia locale. Diffidato (da
quelli dei fondelli?) a non considerarmi storico, perché storico sarebbe che si
chiude nella muffa degli archivi a scoprire nuovi documenti. Sia come sia, a me
piace ragionare sui documenti che sono già usciti dagli archivi, per
interpretarli in modo nuovo. A lume di logica, e quindi di ragione! Non è colpa
mia se la ragione fa a pugni con il mito. Sia esso quello della Resistenza,
della Ricostruzione, o addirittura quello dei Patriarchi.
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