giovedì 13 dicembre 2007

Ecomuseo della Carnia

Ipotesi di lavoro per interpretare l'Asse 4 - Leader del PSR come Ecomuseo, dando coerenza alla misura che diventa così una strategia di intervento nello sviluppo della montagna.

Ecomuseo della Carnia – PIT per lo sviluppo turistico della Carnia.
Come previsto dal PSR l’approccio leader deve assumere come obiettivi prioritari il rafforzamento del “capitale sociale” e della valorizzazione delle risorse endogene dei territori rurali, individuando come tema unificante ed asset principale il turismo rurale sostenibile..
Il PSL di Euroleader coerentemente intende sviluppare l’idea di Ecomuseo come brand del turismo verde in Carnia, declinandola sulle Misure previste per l’Asse 4 del PSR.

Per attrarre il turista non basta il territorio è necessario avere un prodotto turistico che contenga e valorizzi il territorio. L’ecomuseo diventa il prodotto, il brand che comprende un territorio, una storia, delle tradizioni, una cultura, della gente ospitale, dei prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato locale su cui fare marketing.
Al mare si va per prendere il sole, in montagna per riposare (E), camminare ed apprezzare le bellezze della montagna (B), gustare i prodotti locali, e divertirsi con il folklore locale (C) si va per “vivere il territorio”. Il prodotto turistico deve essere una proposta in questa direzione.

A – Ecomuseo è conoscere il proprio territorio per apprezzarlo e farlo apprezzare.
Con la misura 413 si mette a Bando un progetto di Ecomuseo che riprende quello della Provincia e può essere vinto soltanto dalla Comunità Montana con la Provincia e l’Associazione regionale delle Pro Loco.
Ecomuseo a dispetto del nome non è un museo, ma un territorio ricostruito nei segni del suo ambiente della sua storia, delle sue tradizioni, dei suoi prodotti tipici, come base per impostare una prospettiva di sviluppo.
Ecomuseo è stato definito lo specchio nel quale una comunità si guarda per vedersi nel presente e nel passato ed immaginare il futuro. Nel progetto della Provincia con l’Associazione regionale delle Pro Loco, che si vuole riprendere, la costruzione partecipata e condivisa del sito web fa le funzioni di specchio. Si prevede così di costruire un sistemi di siti web comunali che fanno capo al Portale dell’Ecomuseo della Comunità della Carnia.

Ogni Comune-Pro Loco sarà messo nella condizioni di poter realizzare e gestire un proprio sito web costituito da
- la vetrina del proprio territorio,
- la bacheca delle proposte di itinerari e percorsi turistici;
- il calendario degli eventi culturali, enogastronomici e per la valorizzazione dei prodotti locali;
- il CUP Centro unico di prenotazione di tutta la ricettività turistica;
- lo spazio per le scuole.
Il Portale della Comunità diventerà:
- la banca dati dei percorsi divisi per categoria Musei, Chiese, Montagne, Luoghi storici ecc, e divisi per mezzo di percorrenza, piedi, bici, macchina.
- con la tecnologia Mobinfo il residente accompagnerà virtualmente il turista nelle visite.
- Con il CUP di Xnotta dal sito di ogni Comune o dal Portale si potrà prenotare posti letto di qualsiasi tipo su tutto il territorio. Il GAL gestendo il sistema di prenotazione gestirà progressivamente l’offerta ecomuseale che come si diceva in premessa è l’offerta di un prodotto fatto di ricettività, di proposte per vivere la montagna nelle sue bellezze, nella sua cultura e nei suoi prodotti.
- Nello spazio per le scuole, recuperando la piattaforma della Provincia www.sbilf.org le scuole in rete di teledidattica saranno chiamate a ripetere il modello degli adulti imparando a conoscere meglio il proprio territorio e rivolgendosi al target del turismo scolastico.

Dal censimento così implicitamente realizzato dei percorsi si otterrà una rete di proposte di itinerari che riguarda tutto il territorio. Emergeranno anche le esigenze di completamento con interventi puntuali e sulla cartellonistica che il Gal gestirà con la misura 412.

Dall’incrocio del calendario degli eventi si otterrà uno scenario dell’offerta che dovrà essere integrato con il bando della misura 411.
Il bando dovrà prevedere anche l’attivazione di un evento top di rilievo per tutta la Comunità e quindi per l’ecomuseo.

B – L’ambiente dell’Ecomuseo deve essere presentabile e fruibile dal turista.
La Misura 412 prevede la possibilità di gestione a regia da parte del Gal di un progetti pilota a valenza dimostrativa per programmi di valorizzazione turistica del paesaggio rurale. Sulla base delle risultante del censimento di cui al punto precedente il Gal potrà intervenire per realizzare una cartellonistica unitaria e con interventi mirati a superare le carenze più evidenti. Il progetto del GAL, integrandosi con il precedente consentire ad.Euroleader di sviluppare una regia complessiva sull’intero progetto ei Ecomuseo.

C – Nell’Ecomuseo il turista si trova bene apprezzando i prodotti locali e vivendo la cultura e il folklore locale
Con la misura 411 si mette a bando la organizzazione di una rete di eventi enogastronomici o di fiere/manifestazioni locali specializzate nelle produzioni locali aventi valenza turistica, e la partecipazione ai medesimi, pilotato sul Consorzio carnico delle Pro Loco.
Si può aggiungere il bando per la promozione dello sviluppo di nuovi prodotti sia agricoli che artigianali, gestito dalle associazioni socie di Euroleader, che ricevono così gli importi per cofinanziare l'attività di Euroleader.

D – Il residente, come il turista dell’Ecomuseo, deve disporre d’una alta qualità dei servizi.
Bando per la costituzione di cooperative di multiservizi.a livello di Comune o intercomunale
Cooperative progettate, promosse ed assistite dalle associazioni di categoria e realizzate dai loro associati (bando doppio e diversificato)

E – Il turista dell’Ecomuseo va ospitato con una ricettività adeguata.
Bando sulla ricettività turistica articolato in tre sezioni
1)Bando per B&B (rete perchè garanzia di durata)
2)Bandoper affittacamere
3)Bando per agriturismo

F – La gestione dell’Ecomuseo.
Sulla misura del Marketing il GAL svilupperà la promozione attraverso internet. Si proporrà come struttura che gestisce l’Ecomuseo, autosostenendosi progressivamente sui ricavi di gestione.
Alla fine si avrà quindi un Ecomuseo della Comunità Montana affidato in gestione al GAL.
La soluzione darà quindi anche una prospettiva alla società Euroleader.

Si tratta di una ipotesi di lavoro aperta a osservazioni e suggerimenti

giovedì 22 novembre 2007

PSL - Prima Puntata.

PSL1
Scusate! Ho ricevuto una mail di critica, nella quale mi si dice che do per scontato che tutti sappiano di che cosa stiamo parlando, quando parliamo del Piano di sviluppo locale PSL di Euroleader.
Ricapitolando! In Regione ci sono quattro GAL Gruppi di Azione locale nati per gestire i programmi Leader della UE. Leader è un acronimo su termine francese che sta per “Collegamento tra azioni di sviluppo rurrael” i Gruppi di Azione Locale avrebbero appunto dovuto mettere assieme pubblico e privato nella collaborazione dello sviluppo delle zone rurali. Belle intenzioni ma di fatto!…In Crnia c’è Euroleader che ha come soci la Comunità Montana, Agemont, Turismo FVG, Colidretti, Confartigianato, Cooperative Friulane, Consorzio Servizi turistici di Forni di sopra, Associazione regionale tra le Pro Loco.
Nel Programma di Sviluppo Rurale 2007-13 della Regione finanziato dall’UE c’è un Asse 4 di 16 milioni di euro riservata ai Gal, che devono presentare un PSL per compartecipare alla divisione della torta regionale. Parte della torta è già divisa secondo criteri di territorio e di popolazione, una parte dovrebbe essere divisa secondo la qualità dei progetti presentati.
Già si è definito che i progetti dovranno avere come tema “il turismo rurale sostenibile”.
E che dovranno limitarsi a sviluppare la seguenti azioni., nelle percentuali minime e massime definite:
Valorizzazione dei prodotti agricoli locali 5-20%
Cura e valorizzazione del paesaggio rurale 0-30%
Ricettività turistica minore 30-60%
Servizi di prossimità 0 –30%
Servizi e attività ricreative e culturali 10-30%
Marketing territoriale 5-20%
Cooperazione interterritoriale e transnazionale 5-20%
Se facessi parte del Comitato del No, direi che con queste risorse e con queste griglie già prestabilite non si va lontano e lascerei perdere. Siccome faccio parte del Comitato del Si, cerco di immaginare come, all’interno di questi paletti si possano raggiungere gli obiettivi che avevo anticipato nella puntata precedente e chiedo agli internauti, di fare altrettanto.
Così, a titolo di indicazione si potrebbe immaginare che in un paese si faccia un progetto per:
Curare e valorizzare il paesaggio realizzando una cooperativa di proprietari che mettono assieme i loro terreni per ripulirli e destinarli ad una cultura particolare che potrebbe essere la lavanda o una pianta officinale. La ex latteria viene riattivata per produrre l’elisir di lavanda o di melissa (fa lo stesso!). Alcuni locali però vengono riattivati dalla Pro Loco che ne fa un Cral, un Internet caffè e comunque un centro di servizi per attività ricreative e culturali. Il Centro diventa il riferimento dell’Ecomuseo locale per valorizzare la microstoria, le tradizioni etc e farne mezzo di valorizzazione turistica.
Tra le donne del paese si sviluppa una cooperativa per i servizi di prossimità, una forma di mutualità per assistere i bambini (con soluzioni innovative di asilo nido) e gli anziani gestendo l’assistenza delle badanti.
I quattro agricoltori rimasti si mettono assieme in cooperativa per attivare l’azione sulla ricettività ed aprono un agriturismo nei locali dell’ex scuola materna. Oppure si forma una cooperativa che trasforma le case abbandonate in albergo diffuso, o più semplicemente si attivano dei bad&breackfast…
I quattro ragazzi rimasti nella pluriclasse della scuola elementare si mettono in rete con le altre scuole ed imparano ad utilizzare internet come strumento di formazione e diventano glocali.
Il paese partecipa al un piano di marketing territoriale, per promuovere l’elisir di melissa e la ricettività locale dove si serve elisir di melissa che fa miracoli nella cura contro l’invecchiamento.
Ci si collega infine a livello italiano ed a livello europeo con i paesi che stanno sviluppando inziative analoghe!!!
Ecco un esempio di come, declinando le misure previste dal PSL e gestendo i relativi finanziamenti, si può progettare lo sviluppo di un paese! Su questo impianto poi si possono innestare le misure del Piano di Sviluppo Rurale, si possono chiedere i contributi del Fondo montagna della Provincia etc. etc.

mercoledì 21 novembre 2007

Il Piano di Sviluppo Locale (PSL) della Carnia.

Come Presidente di Irecoop sono stato delegato da Confcooperative, socio di Euroleader, a partecipare alla stesura e definizione del PSL Piano di Sviluppo locale per la Carnia per il 2007-20013. Mi piacerebbe farne una occasione per coinvolgere nell’elaborazione, con proposte e suggerimenti, quanti ritengano di avere qualcosa da dire in positivo. Il PSL ha una dimensione finanziaria limitata (ca. 4.000 euro in 6 anni) ma la discussione sul PSL potrebbe indurre a rivedere il PAL Piano di Azione Locale della Comunità Montana, a ripensare al Progetto Montagna della Regione, a utilizzare con razionalità e coerenza le ingenti risorse che stanno per essere attivate dall’UE sui programmi Interreg, sugli ex Obiettivo 2 e Obitettivo 3.
Di mal che vada avremo passato il tempo a ragionare in positivo, come comitato del Sì
Comunque un Grazie anticipato per i contributi.

Premessa metodologica.
Ritengo che si dovrà partire da una analisi condivisa della situazione per stabilire gli obiettivi e quindi definire le azioni capaci di realizzare gli obiettivi. Il PSL stesso suggerisce di partire da una analisi SWOT cioè dallo strumento di pianificazione strategica che riporto in seguito. In altri termini si tratta di definire assieme quali sono i punti di forza e di debolezza interni nell’attuale situazione economica e sociale della Carnia, analizzando quali sono in prospettiva le opportunità e le minacce.
Analisi SWOT
Punti di Forza, di Debolezza, Opportunità, Minacce.
Sviluppare nuove metodologie in grado di sfruttare i punti di forza del territorio.
Eliminare le debolezze per attivare nuove opportunità.
Sfruttare i punti di forza per difendersi dalle minacce.
Individuare piani di difesa per evitare che le minacce esterne acuiscano i punti di debolezza.

Dall’analisi ricaveremo gli obiettivi, e da questi deriveranno le azioni.

L’analisi: Al solo fine di provocare la discussione si potrebbe anticipare che dall’analisi emerge che, superato il problema occupazionale è ancora in atto il fenomeno della emigrazione, unito ad una migrazione interna dalla montagna ai fondovalle. La minaccia è quindi costituita dal fatto che la perdita di popolazione, porta inevitabilmente ad un ulteriore impoverimento nei servizi determinando un circolo vizioso inarrestabile.
Gli obiettivi: E’ necessario ricreare condizioni di vivibilità anche nei piccoli paesi della montagna più periferica perché la gente trovi un senso nello stare o nel tornare nei paesi.
Le azioni: Ricreare una economia di paese, cioè forme integrative del reddito, che diano un senso allo stare nel paese.
Ricreare una vita sociale nel paese che dia un senso al vivere nel paese.
Rivitalizzare il paese sotto il profilo culturale recuperando i valori dell’identità e dell’appartenenza. Vedere il proprio paese come un ecomuseo, e fare della pro loco il punto di riferimento per la sua animazione.
Mettere in rete il paese, a partire dalla scuola utilizzando le tecnologie della comunicazione per superare il senso di marginalità
Sviluppare quei servizi di prossimità che garantiscono una adeguata qualità della vita nel paese.
Il brainstorming è aperto!!!…

(Il brainstorming o "tempesta di cervelli" fu proposto da Alex Osborn nel 1935 e da allora è molto usato per la produzione di idee. Si basa sul principio che le idee si innescano l'una con l'altra. Il procedimento è a doppio imbuto: Nella fase divergente si producono idee a ruota libera. Il conduttore stimola i presenti a proporre tutto quello che viene loro in mente, e vieta di fare critiche. Scrive per parole chiave le idee sulla lavagna. In un secondo momento, e con persone diverse dalle precedenti, si passa alla fase convergente. Le idee vengono selezionate, valutate, e si arriva a scegliere le più interessanti. Il brainstorming va fatto per forza in gruppo, altrimenti la tempesta di idee non si produce (una sola nuvola non può fare lampi).

giovedì 8 novembre 2007

Ancora Progetto Montagna.

La specificità della nostra Regione (che ne ha giustificata l’istituzione) è indubbiamente il rapporto tra il Friuli e Trieste. Ai tempi della sua istituzione era anche il fatto di essere una Regione, attestata su due confini a quel tempo ambedue in qualche modo attestati sulla cortina di ferro. C’era poi la specificità della lingua friulana.
Ma c’era anche una specificità che non è stata mai adeguatamente valutata e considerata, la specificità del problema montagna. La nostra Regione aveva ed ha, il 42% del territorio che è territorio montano. Un territorio abitato soltanto dal 12% della popolazione, ma attestato per gran parte ai due confini allora sensibili quello austriaco e quello iugoslavo. La sensibilità dei due confini ha fatto sì che i territori montani fossero gravati da servitù di militari di ogni tipo, ha impedito qualsiasi tipo di investimento a favore dello sviluppo di quei territori. Ne è derivato uno dei problemi che hanno caratterizzato in negativo e dovrebbero caratterizzare in positivo la politica della nostra Regione: il problema Montagna.
Il problema di una montagna che si è andata spopolando, perché mancavano le possibilità di lavoro per i suoi residenti. Ma, si dirà, il problema dello spopolamento della montagna non è un problema solo nostro. E’ stato ed è un problema nazionale che interessa sia le Alpi che gli Apennini. Certamente! Ma ci sono montagne e montagne! Montagna è anche il Trentino Alto Adige, è anche Cortina o la Valle d’Aosta.
Appunto! Non è detto che montagna debba essere per forza un problema o addirittura una maledizione, montagna può essere una opportunità. Ecco io vorrei che questo fosse nella prossima tornata legislativa regionale per merito del nostro partito, l’approccio nuovo al problema montagna: esiste una parte del territorio della nostra Regione, la montagna, dalla quale la gente se ne è dovuta andare perché c’era il confine, perché la Regione non ha saputo impostare adeguate politiche di sviluppo, ma non è una terra di maledizione, al contrario può essere una terrà di elezione, nella quale la Regione può investire su veri programmi di sviluppo, nella quale si può scegliere di tornare a vivere.
Perché immagino che il nostro partito possa avere un ruolo importante in questo ritorno alla montagna? Perché oggi, a mio avviso, nella nostra Regione il problema montagna è soprattutto un problema culturale, di valori, di qualità della vita. Si emigrava perché mancavano posti di lavoro. Oggi anche in montagna abbiamo sostanzialmente raggiunto la piena occupazione, ma si emigra ancora. E purtroppo emigrano soprattutto le forze giovani. I paesi restano paesi di vecchi, che stanno irreversibilmente morendo, sui quali avanza ed incombe il bosco, perché come intitolava Cristina Barazzutti quindici anni orsono la sua analisi sul degrado dell’economia e della società montana in Friuli, siamo “irresistibilmente attratti dalla pianura!.
Scriveva un poeta:
Ci hanno rubato l’acqua delle montagne
Per illuminare le città.
Perché attratti dalle luci delle città
Abbandonassimo le montagne.
Ma è stato un inganno!
Non ci hanno potuto rubare,
la poesia dei luoghi, il sole e la neve,
l’incanto d’un alba o di un tramonto,
sulle vette che si stagliano contro il cielo.

E’ giusto che siamo irresistibilmente attratti dalla pianura se come, con un approccio sbagliato al problema della montagna, anche la Chiesa affermava che la “montagna è un luogo di sofferenza e di dolore”. E’ questo approccio che va cambiato e rovesciato. Ed è dal nostro Partito che io mi immagino venga soprattutto questo cambiamento nell’approccio e nella prospettiva.
S’è tanto parlato di marginalità e perifericità della montagna. E quindi di una montagna da assistere perché potesse superare gli handicap della marginalità e della perifericità. Io vorrei che si rovesciasse l’approccio e si cominciasse invece a parlare di centralità della montagna, individuando quelli che sono i punti di forza che caratterizzano questo territorio, e non i punti di debolezza.
Abbiamo affrontato sempre il problema “da sinistra” in termini assistenziali vorrei che iniziassimo ad affrontarlo “da destra” individuando i punti di forza e le peculiarità su cui impostare una politica strutturale e non assistenziale di sviluppo della montagna.
E quindi, provocatoriamente vorrei si parlasse di centralità della montagna e di innovazione..
Parlare di centralità a proposito della montagna sa di paradosso. Di norma al termine montagna sono associati quelli di marginalità e perifericità.. Ma ancora più paradossale può apparire la tesi, volendo sostenere la centralità della montagna rispetto al tema emergente dell’innovazione. Al contrario, se non ci lasciamo condizionare a fuorviare dai luoghi comuni del passato, credo sia invece più che sostenibile la tesi d’una montagna della innovazione, cioè della montagna come ambiente ideale per l’innovazione.
L’ambiente è favorevole all’innovazione quando ingenera negli individui lo sviluppo di una “agilità cognitiva”. Ebbene, non c’è nessun ambiente come quello della montagna, con la sua varietà di stimoli e con l’esigenza forte di adattamento imposta dalla particolarità del territorio montano, che favorisca l’agilità cognitiva. L’uomo della montagna è da sempre stato definito l’uomo dalle scarpe grosse e dal cervello fino. Ma al di là delle battute è storicamente dimostrabile l’ingegnosità dell’uomo di montagna.
Questa “ingegnosità” oggi si chiamerebbe capacità di innovazione.
Il territorio ideale per lo sviluppo delle nuove imprese basate sull’innovazione, è un territorio che produce conoscenza. In passato si collocavano in montagna le imprese che potevano sfruttare le risorse della montagna: il bosco e l’acqua. Il futuro può essere quello d’una montagna nella quale si sviluppano e si collocano le imprese che vogliono utilizzare il valore aggiunto dell’ingegnosità dell’uomo di montagna, appunto la sua capacità di produrre conoscenza.
Se questo è lo scenario possibile che si immagina anche per la montagna friulana, è necessario partire da una sorta di rivoluzione culturale, che veda nella scuola il punto di riferimento principale. Se la conoscenza deve essere la risorsa su cui impostare il progetto di sviluppo, e’ necessario partire da una scuola che non si limiti alla trasmissione di saperi, ma insegni a conoscere. Un ambiente carico di stimoli facilita l’insegnare a conoscere, se si parte dall’approfondimento della conoscenza del proprio territorio.
Ma la rivoluzione partendo dalla scuola è necessario che coinvolga l’intero territorio. L’innovazione è infatti prima di tutto, un atteggiamento mentale positivo. Non ci può essere innovazione in un luogo che viene percepito come “luogo di sofferenza e di dolore”. In un luogo del quale si enfatizzano solo i punti di debolezza, senza mai sottolineare i punti di forza, senza valutare i vantaggi competitivi, anche in termini di qualità della vita.
Pensare alla centralità della montagna, significa rovesciare i parametri sui quali fin qui si è sempre immaginato lo sviluppo della montagna: una montagna al servizio della città, con un valore commisurato alla capacità più o meno alta di servire alla città. La montagna deve essere vista invece come alternativa alla città: un modello diverso, con un sistema diverso di servizi, con una diversa qualità della vita. Ma una diversità avvertita tutt’altro che come inferiorità! Se mettiamo a confronto le due realtà, confrontando i punti di forza e di debolezza, le opportunità e i rischi, il modello della montagna risulta ampiamente vincente rispetto a quello della città.
Ma se questi sono i presupposti il problema della montagna non può essere risolto come si è cercato di fare in questi anni con un fondo montagna per distribuire degli incentivi a chi si vuole continui a vivere in montagna, perché nell’ecosistema montana si ritiene che sia indispensabile mantenere la sopravvivenza dell’uomo, come quella del lupo o dell’orso.
L’Assessore alla montagna non può essere in Regione come in Provincia l’Assessore incaricato di distribuire questo fondo di beneficenza, deve essere l’Assessore che ha la regia di un progetto trasversale rispetto a tutti gli altri assessorati.
E le Comunità Montane! Alla fine, si dovrà pur sapere a che cosa servono. I nostri paesi vivevano come comunità di villaggio. Ora sono diventati troppo piccoli per avere una loro vita, è giusto quindi che li si immagini come comuni di una più grande comunità di vallata. La Comunità quindi come rete di servizi, ma anche come rete di tante piccole comunità, che in rete possono continuare ad avere una vita autonoma.
Oggi si parla di rete, in ogni settore. Paradossalmente invece nel sociale cerchiamo di distruggere le reti che già esistono. Eliminiamo le aziende sanitarie invece che metterle in rete. Cerchiamo di eliminare i Comuni invece che metterli in rete. La vera specificità e particolarità della montagna è la forte articolazione della presenza umana sul territorio. Articolazione che va mantenuta facendo rete.
Se si vuole che la gente resti ad abitare nei paesi è necessario far vivere i paesi. Dal punto di vista economico riattivando forme di economia di paese. Perché attorno ad una economia di paese si sviluppi la vita sociale dei paesi. Facendo un modo che una rete di servizi di prossimità, un sistema flessibile di trasporto, soluzioni innovative nel campo delle telemedicina, della teleassistenza, della teledidattica, facciano rivivere i paesi, perché abbia un senso restare a vivere in un paese di montagna
La montagna è diversa, ma solo perché è un territorio con più problemi rispetto alla pianura. Ma proprio per questo può diventare il luogo ideale per la sperimentazione di modelli di società che se dovessero funzionare possono essere esportati.
In questa prospettiva un nuovo progetto montagna deve connotarsi come progetto per l’uomo che vive in montagna, per essere esportato in una dimensione territoriale più ampia come progetto per l’uomo.
Non ci diciamo il partito che crede nei valori della persona? Non è il nostro il Partito che immagina una società che pone al centro la persona che si realizza nella famiglia per completarsi nel sociale? Dalle enunciazioni ai fatti.
Il progetto montagna deve essere un progetto nel quale si pensa alla montagna come luogo ideale nel quale l’individuo può realizzarsi come persona. Quando diciamo che è necessario sviluppare lo spirito di identità e di appartenenza, diciamo che è necessario riconoscersi come persona in relazione con il proprio territorio, con la sua storia, le sue tradizioni i suoi valori. In primis il valore della casa e della famiglia, struttura essenziale per la stessa sopravvivenza materiale della persona, prima ancora della sua realizzazione sul piano umano.
Ma la casa della nostra tradizione non era mai una casa isolata, sempre invece aperta in una corte. La famiglia era integrata nella comunità, con rapporti definiti proprio sul principio della sussidiarietà, a cui ci richiamiamo giustamente così spesso. Nella economia di paese fondata sul modello cooperativistico si realizzava un vero modello di democrazia partecipativa-
Progetto montagna quindi come sperimentazione di un modello sociale che nel recupero dei valori della tradizioni trovi gli elementi per immaginare e progettare un futuro originale, il futuro di una comunità glocale. In questo brutto neologismo fusione di globale e di locale, si potrebbe riassumere l’obiettivo da dare al progetto: fare della montagna il luogo del glocale. Ancora con il poeta mettere assieme: radìs e svualis, radici ed ali.
Non è retorica, è sociologia affermata infatti il rilievo che si può vivere meglio la dimensione del globale, avendo dei precisi punti di riferimento nel locale. Se la società del domani è la società della conoscenza, chi saprà vivere nelle dimensione del glocale, avrà un indubbio vantaggio proprio nella capacità di acquisire conoscenza.
Un progetto di sviluppo economico e sociale quindi che non parte dai settori, dal turismo piuttosto che dall’agricoltura o dall’artigianato, ma dall’uomo, non dalle risorse materiali del territorio ma dalle risorse umane, che sanno trasformare in fattori di competitività gli elementi di distintività del territorio.
E’ questo l’approccio innovativo al problema montagna che io mi auguro caratterizzi l’attività della Regione nella prossima tornata legislativa. Un approccio innovativo che io mi auguro possa essere innescato dal nostro partito.
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martedì 30 ottobre 2007

SI ALL'ELETTRODOTTO

Si all'elettrodotto. Con questo titolo avevo inserito una post di provocazione nel blog piutti.blogspot.com. Gino Grillo ne aveva tratti alcuni spunti e l’aveva trasformato in articolo. In questi giorni ho cercato di approfondire il tema e dalla provocazione, così mi sono convinto sia il caso di passare dalla provocazione alla riflessione. Anche perché nel frattempo è intervenuta la proposta di un nuovo tracciato aereo, con la riduzione per qualche anno del costo dell’energia per gli abitanti dei Comuni interessati, e la Giunta della Comunità Montana ha preso a discutere su un piano energetico per la Carnia.
C’era una volta il confine! Ed ha costituito un grave handicap per lo sviluppo dei nostri territori. Poi è caduto e ci hanno detto che sarebbe diventato una opportunità. Ma al di là di qualche contributo a pioggia sui programmi Interreg Italia-Austria, non abbiamo intravisto grandi vantaggi.
Finchè non sono arrivati Pittini e Fantoni e farci capire che di là dal confine l’energia elettrica ed il gasolio da riscaldamento costano la metà. Basta allacciarsi oltre confine e se ne traggono i vantaggi! Poi è arrivata la Burgo a dire che il vantaggio restava anche con i maggiori costi per fare una condotta interrata. Poi dal primo luglio di questo anno è arrivata la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica anche per le utenze private.
Credo che a questo punto ci siano tutti gli elementi per ripartire, come si suole dire, a bocce ferme. Alla Burgo che chiede di passare sul nostro territorio, sotto a sopra non ha importanza, io direi subito che: “Abbiamo già dato!”. Non può chiederci di inquinare qualcosa d'altro nè sopra nè sotto il suolo, dopo, fra l'altro, aver venduto la centrale di Magnanins.
A Pittini e Fantoni direi grazie per averci indicato l’opportunità. Ma se l’opportunità è tale per l’industria, dal primo luglio, è tale anche per il territorio. E quindi la sfruttiamo assieme! Loro si prendono la parte di energia necessaria per i loro stabilimenti, noi quella necessaria per il territorio di tutta la Carnia, per tutte le aziende insediate ad iniziare dall'ex-Seima, e per tutte le abitazioni e quindi per tutte le famiglie. Se ne dovesse avanzare, prima di rivenderla all’Enel, potremo allargare il vantaggio ad altre industrie del Medio Friuli.
Per la parte che ci riguarda come territorio, la Comunità Montana ha già costituito la società EnergyMont che ha tra gli scopi l’acquisto di energia elettrica. La legge regionale 29 del 2006 prevede la costituzione di gruppi di acquisto dell’energia, come società cooperative di almeno 10.000 soci. Più o meno quanti sono gli utenti in Carnia! EnergyMont può quindi entrare nella società per l’elettrodotto per la quota necessaria ai consumi della Carnia, e cederla al gruppo di acquisto, e quindi a tutti gli utenti sia produttivi che privati. Non si vede perché in una operazione di questo livello non possa o debba entrare anche Friulia, mettendo le risorse finanziarie necessarie, nell’interesse delle aziende dell’Alto Friuli. In questo modo l’elettrodotto diventerebbe una opera di interesse regionale, e quindi la Regione potrebbe intervenire per favorire gli aspetti autorizzativi sia con i Ministeri competenti che con la Corinzia.
A questo punto i Sindaci dei territori interessati al tracciato si troverebbero ad un tavolo a discutere del passaggio di una opera pubblica a diretto beneficio di tutto il territorio. In questi termini credo che riuscirebbero a trovare facilmente una intesa, mediando tra impatto ambientale e interesse generale. La costituzione del gruppo di acquisto che dovrebbe coinvolgere evidentemente tutti i 28 Sindaci e la Comunità, al di là dell’aspetto pratico, potrebbe avere un valore emblematico significativo. Sarebbe forse la prima volta nella quale ci troveremmo tutti assieme, pubblico e privato, Comunità e Comuni, con lo stesso obiettivo. E chissà che su questa prima volta, non nascano altre volte nelle quali l’obiettivo generale dello sviluppo della Carnia diventa un obiettivo condiviso al di sopra degli interessi particolari di ogni Comune, nella convinzione che è solo dallo sviluppo generale della Comunità, che può discendere il beneficio per ogni singolo Comune.
Al di là dell’aspetto pratico per cui tutte le famiglie della Carnia avrebbero il beneficio di una consistente riduzione della bolletta della luce, mi auguro che i Sindaci e la Comunità Montana, avvertano, la portata storica dell’evento, e quindi l’importanza dell’iniziativa.

domenica 28 ottobre 2007

Progetto Energia.


Con la forza dell’acqua della montagna
Hanno portato la luce alle città
Perché attratti da quelle luci
Gli uomini abbandonassero le montagne.
Riportiamo la luce ad illuminare le montagne
Perché tutti vedano
Che si vive meglio in montagna
Rispetto alla pianura
Si vive meglio in un paese
Rispetto ad una città!

Scheda per iniziare a discutetere su un
PIANO ENERGETICO DELLA CARNIA.

La più importante risorsa caratteristica della montagna era l’energia elettrica.
Era perché in gran parte viene trasferita altrove senza ricadute significative sul territorio. Ma c’è una quota che è ancora rimasta e che se utilizzata razionalmente può costituire un vantaggio competitivo sia per vivere che per produrre in montagna. L’esempio della Secab nell’Alta Valle del But è signficativo.Il piano può quindi partire dall’idea di trasferire a tutta la Carnia il vantaggio di cui si gode in Alto But.
Ci sono due problemi:
- la Secab non ha la quantità di corrente necessaria per tutta la Carnia,
- - sarebbe necessario che la Secab diventasse proprietaria di tutte le linee elettriche di distribuzione della Carnia.
Nel frattempo è nata EnergyMont una spa che mette assieme tutti i produttori di energia della Carnia, compresa la Secab.
Nel frattempo la LR 29/2006 ha previsto la costituzione di gruppi di acquisto di energia elettrica con cooperative di consumatori di almeno 10.000 utenti per ottenere sconti nell’acquisto di energia.
E’ possibile intervenire sugli impianti sia privati che pubblici con interventi che portino a risparmi nel consumo di energia elettrica.

Su questi elementi in premessa come si potrebbe immaginare un piano energetico che porti alla riduzione dei costi dell’energia elettrica per chi risiede ed opera in Carnia?
Si potrebbe partire immaginando che sia la Secab ad attivare il gruppo di acquisto per un primo passo verso la riduzione dei costi.
Si può immaginare un piano pluriennale regionale di interventi a favore della Secab per il progressivo acquisto delle reti nei vari Comuni, trasformando progressivamente gli aderenti al gruppo di acquisto in aderenti e quindi soci della Secab, per finire con una Secab-Carnia.
EnergyMont può trasferire al gruppo di acquisto l’energia prodotta dai suoi associati, e quindi in particolare quella prodotta dalla Comunità Montana?
EnergyMont può entrare nella Spa di Pittini e Fantoni per importare energia a favore del gruppo di acquisto della Carnia?
EnergyMont o la Comunità Montana può completare il piano per lo sfruttamento razionale della risorsa acqua residua, per aumentare la produzione da trasferire al gruppo di acquisto?

Atteso che:
Ad Arta c’è l’impianto di cogenerazione a biomassa;
A Paluzza c’è l’impianto di cogenerazione della Casa di Riposo.
A Paluzza Sutrio ci sono gli impianti idroelettrici della Secab.
Al confine ci sono gli impianti eolici austriaci e comunque con la valle del Gail sono già in atto rapporti di collaborazione.
Al CRP di Amaro sono in corso delle ricerche molto avanzate sul fotovoltaico.
A Paluzza ci sono i locali dell’ex Irfop.
E’ possibile immaginare un Centro di Ricerche applicata e di trasferimento tecnologico sull’Energia come sviluppo del Centro di Innovazione Tecnologica dell’Agemont, collegandolo ad un Centro di formazione avanzato di specializzazione post universitaria e post diploma sulle energie alternative e sul risparmio energetico in genere?
Le risposte implicano una serie di conoscenze che mancano ma che potrebbero essere acquisite ad esempio attraverso una collaborazione con l’Università di Udine, finanziando un dottorato di ricerca ed alcune tesi sul tema

sabato 27 ottobre 2007

Elettrodotto: dalla protesta alla proposta.

Dalla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica una nuova opportunità di sviluppo per la Carnia. Potrebbe essere questo il nuovo tema da approfondire, derivato dalle discussioni sugli elettrodotti dall’Austria, evitando sterili contrapposizioni tra i fautori del sì e del no.
In effetti gli industriali ci hanno dato un suggerimento intelligente. Perché non coglierlo? Dal primo luglio il mercato dell’energia è libero, perché non approfittare quindi del fatto che al confine della Carnia c’è l’energia elettrica ed il gasolio da riscaldamento che costano la metà. Basta collegarsi! Non ci siamo sempre lamentati per l’handicap dei costi del riscaldamento per chi vive in montagna?
La Comunità Montana ha già costituito la società EnergyMont che mettendo assieme la produzione di energia elettrica della Carnia, ha assunto anche l’obiettivo della realizzazione e gestione di nuovi impianti e della compravendita di energia.
Questa società può entrare come socia in Alpe Adria Energia assieme a Fantoni e Pittini per importare l’energia necessaria per tutta la Carnia, sia per gli usi privati che per quelli produttivi.
La Regione con la legge 29 del 2006 intende agevolare la costituzione di gruppi di acquisto in forma di società cooperativa, costituiti da almeno 10.000 soci che vogliono acquistare energia elettrica o gas. Credo più o meno quanti siamo in Carnia tra utenti privati, pubblici e produttivi. Se costituiamo la Carnia in gruppo d’acquisto, possiamo tutti indistintamente acquistare da EnergyMont l’energia importata a prezzi agevolati. La Secab a Paluzza Sutrio e Cercivento dimostra che il prezzo può essere quasi dimezzato, perché non estendere a tutta la Carnia questo beneficio? La Secab stessa potrebbe dare un supporto alla nascita del gruppo di acquisto. Se andiamo a controllare le ultime fatture dell’Enel e pensiamo che potrebbero essere dimezzate, ci renderemmo conto che il beneficio è consistente. Tale comunque da farci accettare l’impatto di un nuovo elettrodotto, anche aereo. Ma in questa ipotesi non si accetta nulla, ci si siede allo stesso tavolo mettendo assieme gli interessi di chi deve vivere in Carnia, con gli interessi di chi deve mantenere i posti di lavoro, e gli interessi della salvaguardia ambientale. E' tutto un altro modo di ragionare!!!

venerdì 26 ottobre 2007

Lenticchie ed energia.

Si all’elettrodotto dicevo in un post precedente. Ma un sì contrattato alla pari, non vendendosi per un piatto di lenticchie. Sono entrato sull’argomento tardi e non ho elementi adeguatamente verificati per entrare nella discussione. Ma tanto per capirci…
Sono d’accordo sul fatto che Pittini e Fantoni passino con l’energia necessaria per rendere competitive le loro industrie. Ma se fosse vero, come sento dire, che importano una quantità doppia rispetto a quella che serve a loro. Sull’altra metà mi sembrerebbe giusto che il territorio e quindi la Comunità Montana entrassero nel business.
Se poi fosse vero, come sento dire, che l’aereo costa la metà dell’interrato, 30 milioni di euro contro i 60 milioni, significherebbe che l’impatto negativo che accettiamo di subire può essere valutato 30 milioni di euro in cambio di che cosa?
Se infine fosse vero, come sento dire, che ci sarà un finanziamento pubblico sull’iniziativa, mi piacerebbe sapere a quanto ammonta ed a che titolo.
Se per ipotesi la Regione avesse 15 milioni di euro da investire sulla iniziativa li potrebbe passare alla Comunità Montana che potrebbe entrare in società al 50% per tenersi poi il 50% dell’energia per abbassare i costi per tutti residenti, privati ed aziende. Avremmo così, allo stesso tempo, salvaguardato l’occupazione del Medio Friuli e creato condizioni di sviluppo per l’Alto Friuli.
Mi sembrerebbe infine importante che per una volta l'idea della Carnia prevalesse su quella degli interessi dei singoli Comuni. Se c'è un ristorno, e soprattutto se ci potrà essere un ritorno, mi sembrerebbe giusto che ricadesse su tutto il territorio della Carnia, e non solo sui Comuni in cui ci saranno i piloni
Ma immagino che se i dati del mio ragionamento fossero veri, il Presidente della Comunità, i Sindaci e il Comitato del No, li avrebbero già fatti valere!!!
Le mie restano quindi le solite considerazioni d’un pensionato all’osteria.

giovedì 18 ottobre 2007

Un progetto per la montagna


PER UN NUOVO PROGETTO MONTAGNA.

“Con l’energia sottratta alla montagna hanno illuminato le città, ed hanno fatto in modo che, attratti da queste luci, le forze più vive e più giovani, siano fuggite dalla montagna”.
Oggi lo scenario può cambiare: si può cominciare a pensare alla montagna non come a un luogo di emarginazione da abbandonare appena possibile, ma ad un luogo dove anche un giovane che non vuole rinunciare alle opportunità che gli derivano dal vivere nel terzo millennio, può pensare di progettare il proprio futuro.
In passato progettare lo sviluppo della montagna significava soprattutto intervenire sul versante dell’occupazione per evitare che la mancanza di posti di lavoro costituisse il presupposto per l’emigrazione. Oggi anche in montagna si è raggiunta la piena occupazione, ma la montagna continua a perdere popolazione, e ciò che è più grave, perde soprattutto le risorse umane più giovani
Lavorare ad un nuovo progetto montagna signfica lavorare, per chè la montagna possa diventare “terra di elezione” e quindi per creare le condizioni indispensabili perchè vivere in montagna possa essere non una maledizione ma una scelta per chi vi è nato e per chi puo pensare di trovarvi un modo di vivere e di realizzarsi più completo rispetto a chi vive in città. Se questo è l’obiettivo, è molto secondario, e per certi versi fuorviante discutere di questioni ordinamentali, di riordino di comunità e comuni, di autonomia.
Più importante sarebbe forse chiedersi come mai l’uomo della montagna, fuori dal suo contesto diventa dinamico, propositivo, tendenzialmente imprenditore, nel suo contesto è portato a delegare agli altri la soluzione dei propri problemi, ad accontentarsi, preferisce vedersi come dipendente che come imprenditore.
Interessante sarebbe chiedersi se la scuola fa qualcosa per modificare queste condizioni culturali di base o se invece, gli insegnanti che vengono da fuori, sentendosi in qualche modo come relegati al confino, non favoriscano la cultura della fuga dalla montagna. Se la Chiesa stessa che per anni ha usato la montagna come luogo di punizione per i suoi preti, non abbia contribuito a trasmettere l’idea che la montagna è un luogo si “sofferenza e di dolore”.
Ma recriminare sul passato o piangere riflettendo sui punti di debolezza della montagna non porta da nessuna parte. Un nuovo progetto per la montagna deve partire da un approccio radicalmente nuovo. Da un approccio in positivo che prenda in considerazione i punti di forza su cui si può impostare un progetto di sviluppo. Si può partire dall’idea della centralità della montagna, dall’idea dell’innovazione come motore di questo nuovo progetto.
Parlare di centralità a proposito della montagna sa di paradosso. Di norma al termine montagna sono associati quelli di marginalità e perifericità.. Ma ancora più paradossale può apparire la tesi se si volessebb sostenere la centralità della montagna rispetto al tema emergente dell’innovazione. Al contrario, se non ci lasciamo condizionare a fuorviare dai luoghi comuni del passato, credo sia invece più che sostenibile la tesi d’una montagna della innovazione, cioè della montagna come ambiente ideale per l’innovazione. L’ambiente è favorevole all’innovazione quando ingenera negli individui lo sviluppo di una “agilità cognitiva”. Ebbene, non c’è nessun ambiente come quello della montagna, con la sua varietà di stimoli e con l’esigenza forte di adattamento imposta dalla particolarità del territorio montano, che favorisca l’agilità cognitiva. L’uomo della montagna è da sempre stato definito l’uomo dalle scarpe grosse e dal cervello fino. Ma al di là delle battute è storicamente dimostrabile l’ingegnosità dell’uomo di montagna. Questa “ingegnosità” oggi si chiamerebbe capacità di innovazione.
Il territorio ideale per lo sviluppo delle nuove imprese basate sull’innovazione, è un territorio che produce conoscenza. In passato si collocavano in montagna le imprese che potevano sfruttare le risorse della montagna: il bosco e l’acqua. Il futuro può essere quello d’una montagna nella quale si sviluppano e si collocano le imprese che vogliono utilizzare il valore aggiunto dell’ingegnosità dell’uomo di montagna, appunto la sua capacità di produrre conoscenza.
Se questo è lo scenario possibile che si immagina anche per la montagna friulana, è necessario partire da una sorta di rivoluzione culturale, che veda nella scuola il punto di riferimento principale. Se la conoscenza deve essere la risorsa su cui impostare il progetto di sviluppo, e’ necessario partire da una scuola che non si limiti alla trasmissione di saperi, ma insegni a conoscere. Un ambiente carico di stimoli facilita l’insegnare a conoscere, se si parte dall’approfondimento della conoscenza del proprio territorio.
Ma la rivoluzione partendo dalla scuola è necessario che coinvolga l’intero territorio. L’innovazione è infatti prima di tutto, un atteggiamento mentale positivo. Non ci può essere innovazione in un luogo che viene percepito come “luogo di sofferenza e di dolore”. In un luogo del quale si enfatizzano solo i punti di debolezza, senza mai sottolineare i punti di forza, senza valutare i vantaggi competitivi, anche in termini di qualità della vita.
Pensare alla centralità della montagna, significa rovesciare i parametri sui quali fin qui si è sempre immaginato lo sviluppo della montagna: una montagna al servizio della città, con un valore commisurato alla capacità più o meno alta di servire alla città. La montagna deve essere vista invece come alternativa alla città: un modello diverso, con un sistema diverso di servizi, con una diversa qualità della vita. Ma una diversità avvertita tutt’altro che come inferiorità! Se mettiamo a confronto le due realtà, confrontando i punti di forza e di debolezza, le opportunità e i rischi, in quella che gli esperti chiamano analisi Swot, il modello della montagna risulta ampiamente vincente rispetto a quello della città.
Eppure questa rivoluzione culturale fa fatica ad innescarsi! La spiegazione può essere trovata nella teoria degli attrattori. La resistenza al cambiamento è determinata da un attrattore. “Per ottenere il cambiamento si deve agire sulla generazione di nuovi attrattori, il cambiamento infatti non si può spingere ma si deve tirare”. Qual è l’attrattore che genera la resistenza al cambiamento? Quale può essere l’attrattore su cui puntare per “tirare” il cambiamento? A mio avviso l’attrattore che resiste è il vittimismo, il desiderio masochistico di piangersi addosso nella “terra di sofferenza e di dolore”. L’attrattore su cui fare riferimento è la valorizzazione delle opportunità che offre la montagna in termini di qualità di vita, l’individuazione degli asset che rende competitiva la montagna rispetto alla città sotto il profilo della qualità della vita.
Ancora troppo spesso, affrontando i temi della montagna, si assume come centrale il tema del territorio. Centrale è invece il tema dell’uomo che vive in montagna. Il problema del territorio si risolve di conseguenza se la montagna è abitata da un uomo che vi ha scelto di vivere perché la ama.
In questa ottica, analizzando i mali della “montagna malata” potremmo arrivare a considerare che il male origine di tutti gli altri è la disaffezione degli abitanti verso la montagna, il fatto di vivere l’essere nati in montagna come una maledizione, il sentire la montagna come “terra di sofferenza e di dolore”.
Se il vivere in un paese di montagna è una disgrazia, sono soldi sprecati i contributi per incentivare chi ci resta. Non c’è contributo che giustifichi il far subire ai propri figli la disgrazia d’essere nati in un posto sbagliato, se non si è costretti dalla impossibilità materiale di partire!
“Non è vero!” mi ha obiettato un amico, scandalizzato dalla mia provocazione. “Neppure dopo morto lascerei il paese di montagna nel quale sono nato”.
“E i tuoi figli?”
“Quelli fortunatamente hanno potuto studiare e hanno potuto trasferirsi in luoghi più vivi, abbandonando la morte dei nostri paesi!”
Ma se tutti la pensano così è facile immaginare quale è il futuro che attende la montagna, indipendentemente dai pannicelli caldi con i quali possiamo alleviare i suoi dolori! Tra le opere dei vari programmi tutti hanno dimenticato di prevedere il miglioramento dei cimiteri!...
Ma cosa c’entrano questi discorsi con il mancato sviluppo della montagna? C’entrano più di quanto si possa pensare. E mi spiego con l’esempio del turismo.
Qualcuno sostiene che il mancato sviluppo turistico sia colpa della carenza di infrastrutture, altri invece che sia da imputare alla carenza di ricettività. Ma come si ritiene possa attrarre turisti un luogo i cui abitanti, con il muso lungo e la faccia scura, lamentano continuamente d’essere rasseganti a vivere in un posto abbandonato da Dio e dagli uomini?... Per accogliere i turisti è necessario l’entusiasmo e l’ottimismo di chi è convinto d’essere nel luogo più bello del mondo e con il suo entusiasmo trasmette questa sensazione ai nuovi arrivati, richiama nuove presenze…
Se la mia non è soltanto una provocazione, se, per caso avessi ragione, allora sui tavoli di consultazione e concertazione sulla montagna malata, è mancata la diagnosi sul male vero, che non è infrastrutturale ma culturale. Se avessi ragione, sarebbe assumendo come obiettivo quello di far in modo che sia più bello e interessante sotto il profilo della realizzazione personale vivere in un paese di montagna, piuttosto che nella periferia di una città. Ma allo stesso tempo è indispensabile rispiegare a chi vive in montagna, (una volta che abbia risolto il problema del posto di lavoro) quali vantaggi abbia, rispetto a chi abita in città. Purchè tuttavia ci siano questi vantaggi!... Perché se in effetti non ce ne fossero, se ci fossero solo disagi, non si vede perché si debba convincere qualcuno a continuare a subire questi disagi. Per la salvaguardia e la manutenzione del territorio? Ma per questo potrebbero bastare le capre!...

sabato 6 ottobre 2007

Sì all'elettrodotto!

Si all’elettrodotto. Titolo così il mio intervento, perché sia chiaro sin da subito che si tratta di una provocazione. E’ che in questi anni ho visto costituirsi in Carnia tanti comitati dei no. Mai un comitato del sì! Per dire sì infatti, è necessario condividere qualcosa. Sembra facile! Ma prova a girare per la Carnia in movimento e verifica se ci sono due che riescono a condividere la stessa idea! Restando in tema con la provocazione iniziale, vorrei costituire il comitato del si all’energia elettrica a prezzo ridotto.
Bella demagogia! E chi non ci starebbe.
Il fatto è che già in Carnia a Paluzza e Sutrio si paga l’energia elettrica, lira più lira meno, la metà di quanto si paga nel resto della Carnia e del Friuli. Perché non estendere il beneficio a tutto il territorio? Sarebbero necessari degli investimenti importanti per consentire alla Secab l’acquisizione delle reti di tutti i Comuni. Ma a fronte del beneficio generalizzato su tutte le utenze, sia quelle pubbliche che quelle private e quelle per gli insediamenti produttivi, forse si potrebbe anche scegliere di rinunciare a qualche ponte. O si potrebbero investire in questa direzione i finanziamenti oggi sprecati sui contributi per le legna da ardere. Acquisite le reti si dovrebbero mettere assieme le centraline della Comunità Montana.
L’energia prodotta non sarebbe ancora sufficiente a coprire il fabbisogno della Carnia. La si potrebbe allora importare dall’Austria, dicendo si ad un elettrodotto, che passerebbe portandosi l’energia per Pittini e per Fantoni, ma anche quella per la Secab-Carnia, lasciando anche un beneficio a tutto il territorio.
Ma dovrebbe essere aereo o interrato? In termini di impatto ambientale, facendo mente locale al passaggio dell’oleodotto, non so quale sarebbe il più pesante! Imitando l’Austria dove anche i parchi naturali a volte sono attraversati da imponenti elettrodotti, il comitato del si più che sull’alternativa aereo-interrato, potrebbe impegnarsi a studiare il dove l’impatto potrebbe essere meno evidente, e comunque a ragionare sempre in termini di costi-benefici. Valutando come costo il danno ambientale, e come benefici le ricadute economiche a favore del territorio. Così, indipendentemente dalla soluzione proposta sarei per un no di principio ad una industria, qualsiasi essa sia, che prima mi vende le sue centraline e poi mi chiede di passare con un elettrodotto. Valuterei invece positivamente il beneficio che può venire ad industrie che possono consolidare il loro sviluppo nel territorio dell’Alto Friuli.
Anche per quanto riguarda il percorso cercherei la soluzione più favorevole, in termini di rapporto costi-benefici. Così invece che pensare soltanto alla zona industriale di Osoppo, salirei pensando a quella di Trasaghis, di Bordano, di Carnia-Venzone, di Moggio e poi forse potrei anche riuscire a proseguire restando sempre nell’ambito dei territori del Comune di Moggio, facendo in modo comunque che ci siano delle ricadute a favore di tutte le industrie insediate nei Comuni attraversati.
Se non temessi d’andare fuori tema, vorrei soffermarmi anche ad immaginare gli sviluppi che potrebbe avere un cooperativa come la Secab-Carnia che avesse come utenti tutte le famiglie, i Comuni e le attività produttive della Carnia. Più che fuori tema è purtroppo una immaginazione fuori luogo, perché solo chi non è carnico potrebbe pensare alla possibilità di un Comitato del sì in Carnia. Ed io sono carnico doc. Per questo mi fermo a questa provocazione scritta per vincere la noia d’una giornata di pioggia!!!…

sabato 15 settembre 2007

"Aghe", Ecomuseo dell'acqua dell'Alto Friuli


Presentazione.
Che cosa si intende per Ecomuseo? A dispetto del nome, l’ecomuseo non è un museo, anche se a volte può anche contenere un museo. Per Ecomuseo si intende invece un territorio nel quale il paesaggio attuale viene filtrato attraverso la storia degli eventi che l’hanno costruito.
Nell’ecomuseo si mettono in luce questi eventi, si evocano le persone che li hanno vissuti, facendo in modo che il visitatore non veda soltanto un luogo, ma riesca a penetrare nel pensiero di chi nei secoli l’ha preceduto in quel posto, di chi ha realizzato un monumento o a contribuito a realizzare un ambiente. Oggetti dell’Ecomuseo non sono soltanto i reperti ma anche i paesaggi, l’architettura il saper fare, le testimonianze orali della tradizione, ecc. Se poi tutto questo si vuol raccogliere in un preciso luogo fisico, l’Ecomuseo può diventare anche un museo.
In questa ottica l’Ecomuseo dell’acqua dell’Alto Friuli, si propone come un ecomuseo virtuale e telematico dell’acqua, lasciando ai singoli Comuni, se lo ritengono opportuno di realizzare lo spazio fisico museale.
Virtuale, perché si intende realizzare un sito web per il territorio di ogni Comune, come vetrina per raccogliere virtualmente gli oggetti, lasciati nel loro contesto sul territorio, come mostra volta a suscitare nel navigatore l’interesse a visitare il territorio. Telematico perché con l’uso della tecnologia Mobinfo, i residenti si propongono di accompagnare, con una guida al cellulare, i visitatori alla scoperta del proprio territorio. Dell’acqua perché il tema dell’acqua, costituisce un filo rosso ideale che unisce il territorio dei Comuni partecipanti al progetto. L’acqua che caratterizza il paesaggio di montagna: l’acqua dei laghi, dei fiumi, dei torrenti, delle sorgenti. L’acqua delle fontane riferimento costante nella storia dei paesi di montagna. L’acqua nella tradizione culturale della montagna, che si perde nel mito delle Agane, fate e streghe a seconda dei casi, in una infinità di varianti nel racconto diverso tra paese e paese.
Dall’acqua alla scoperta del territorio. Il filo rosso dell’acqua è solo un filo di Arianna per far entrare il visitatore nel territorio, per aiutarlo a farsi prendere dalla magia dei luoghi della montagna a percepire la suggestione dei paesaggi, ad imparare a “vivere” la montagna e non solo a vederla. Ma per riuscire a trasmettere “l’anima” dei loro paesi e necessario che prima la sentono loro quest’anima, gli abitanti. Per questo il progetto si propone, attraverso le Pro Loco, di portare soprattutto i giovani del paese, a ritrovare il senso più profondo delle proprie radici, a valorizzare la propria identità riscoprendo gli elementi autentici che la caratterizzano, nella specificità di ogni singolo paese, e in ciò che li accomuna nella peculiarità del vivere in montagna.
L’ecomuseo è stato definito “uno specchio nel quale una comunità si guarda per poter immaginare il proprio futuro”. Per questo nel progetto il sito web assume questa funzione di specchio nel quale ogni paese, mentre pone attenzione a come presentarsi agli altri, si scopre come veramente è, per immaginarsi come potrebbe in effetti diventare, anche nel confronto con gli altri paesi che partecipano allo stesso progetto della rete museale dell’acqua dell’Alto Friuli.
In questa prima fase, il progetto viene limitato dal bando di Euroleader che finanzia l’iniziativa, a quattordici Comuni rivieraschi dell'alto Tagliamento, ma se riuscisse a decollare in questi, potrebbe venire esteso a tutto il territorio dell’Alto Friuli, per diventare la rete capace di fare di un territorio, una vera comunità. Per questo la Direzione d’Area Montagna della Provincia di Udine si è costituita capofila del progetto in collaborazione con l’Associazione regionale tra le Pro Loco.
(Igino Piutti, progettista e coordinatore del progetto per la Provincia di Udine)

sabato 1 settembre 2007

Il futuro del Cirmont.

Le idee camminano con le gambe degli uomini e quando le idee finiscono sulle gambe di uomini che non credono all’idea, o la vogliono strumentalizzare ad altri fini, è evidente che non possono decollare. C’è il rischio allora, che invece di cambiare le gambe, si cambi l’idea…
Le idee sulle quali è nato il Cirmont erano che:
- si potesse fare scouting di tecnologie che avrebbero potuto essere trasferite e testate sui territori di montagna come strumenti innovativi di sviluppo economico e sociale di questi territori, e per il miglioramento della qualità della vita degli abitanti;
- la montagna friulana in collaborazione con il Cirmont ora Eim potesse porsi a livello nazionale ed internazionale come modello, per la sperimentazione della innovazione tecnologica nello sviluppo della montagna;
- il coinvolgimento in queste sperimentazioni delle aziende della montagna, avrebbe portato allo sviluppo di nuovi prodotti da immettere sul mercato internazionale, favorendo lo sviluppo in loco di una industria altamente innovativa.
Recuperando questa impostazione, anche alla luce del fatto che l’EIM non è più un Centro di ricerche come l’Imont ma un Ente che dovrebbe proporsi appunto sul versante dell’innovazione per lo sviluppo economico e sociale della montagna, si potrebbe immaginare il Cirmont come:
- l’Ente che concretizza l’idea d’una Regione che assume come priorità lo sviluppo dei territori montana, facendo entrare nella compagine sociale, tutto il sistema dei Centri di Ricerca regionale, assieme alle due Università;
- mantiene la collaborazione con l’EIM, nell’ottica di una partecipazione del Ministero delle Politiche regionali allo sviluppo del Cirmont, che viene riconosciuto nel ruolo di modello e pilota a livello nazionale, per un approccio innovativo ai temi dello sviluppo delle aree montane;
- propone il modello a livello transfrontaliero ed internazionale, nell’ambito dei progetti Interreg di collaborazione in particolare con Slovenia e Carinzia.

Per evitare gli equivoci in cui è caduto in passato, andrebbe quindi modificato l’oggetto sociale. Non più “promuovere e coordinare programmi di ricerca” ed “effettuare ricerche scientifiche” L’obiettivo principale dovrebbe diventare quello di sperimentare il trasferimento e quindi di verificare l’impatto sul territorio e sulla popolazione di tecnologie innovative che possono determinare nuove condizioni di sviluppo sia economico che sociale”. Penso in particolare alle innovazione nel settore dell’ICT (telemedicina, teleassistenza, teledidattica, teleinformazione turistica, telecontrollo del territorio, telecontrollo del trasporto pubblico e della viabilità in montagna ecc.)
In altri termini, come l’Area di ricerca ha lanciato il progetto domotica, per l’innovazione nella casa di domani, Cirmont potrebbe lanciare il progetto Orotica (in greco oros=montagna) l’innovazione per la montagna di domani.

giovedì 16 agosto 2007

Morte a ferragosto

Le coincidenze! La vigilia di ferragosto percorrendo l’anello dei tre rifugi, ho incontrato al Marinelli un amico di Cividale che non vedevo da tempo. Parlando del più e del meno, mi disse che il giorno dopo sarebbe venuto a messa a Raveo, al santuario annesso al romitorio?
“Come mai da Cividale?”
“Sono ormai 35 anni. Da quando ho conosciuto don Primo Patiess, nativo di Treppo Carnico, che vive a Portogruaro, ma passa la ferie ogni anno a Raveo, e dice messa al santuario il giorno di Ferragosto”.
“Ma che cosa ha di particolare?” chiedo io.
“E’ un filosofo con una profondità di pensiero eccezionale!”
Contagiato dall’entusiasmo dell’amico, in attesa di dedicarmi alla tradizionale grigliata, sono salito a piedi da Raveo per una suggestiva “pedrata” restaurata molto bene, che dal paese sale al santuario, a sentire la predica di don Primo.
Più che d’una predica s’è trattato d’una lezione di filosofia contro il relativismo, definito appunto come una prospettiva di pensiero che si fonda sull'idea che non esistono realtà o principi assoluti, vale a dire indipendenti dagli uomini, ma soltanto realtà o principi legati alle particolari condizioni in cui essi emergono e possono essere osservati. Al relativismo ha imputato il fatto che la cultura moderna pretenda di abolire l’idea della morte e dell’eternità, mentre invece nella tradizione e cultura carnica l’idea della morte è una idea dominante. Da qui la perdita dell’idea della vita come valore da impegnare per l’eternità, sostituita dall’idea d’una vita da “consumare” senza nessun senso e nessuna prospettiva.
Come gli ho detto poi sul sagrato a fine Messa, se nelle prediche fosse ammesso il contraddittorio, avrei voluto replicare dicendogli che la rimozione della idea della morte è legata alla sovrastruttura sulla morte che la Chiesa, e le chiese in generale, hanno sviluppato per giustificarsi. Fede e ragione, come anche lui ha affermato, non sono in contrapposizione. E’ vero, nella misura in cui ci si chiede di accettare come verità di fede qualcosa che non è dimostrabile, ma che tuttavia non è irrazionale. La pretesa di far accettare come verità di fede ciò che la ragione, e spesso soltanto il buon senso, ci impongono di rifiutare (credo quia absurdum), porta a rinunciare a ciò che la fede vorrebbe farci accettare.
C’è una lettura del Vangelo per la quale l’uomo è figlio di Dio, cioè in altri termini, partecipe di una natura spirituale eterna, che continua a vivere anche quando l’uomo viene lasciato dall’involucro del corpo. Con il corpo deve imparare ad amare per poter amare per l’eternità. Se invece ha imparato ad odiare, ad essere avaro, invidioso lo sarà per tutta l’eternità. Non è dimostrabile che esista questa stagione eterna, senza corpo, ma la ragione non può escluderlo. Si può quindi fare il salto della fede per accettare l’idea, oppure non farlo e rifiutarla. Come dice Dante, citato da don Primo,
non v'accorgetevoi che noi siam vermi nati a formar l'angelica farfalla, (Dante, Purgatorio, X,124)
Ma se l’ipotesi dell’esistenza di questa dimensione eterna ci consente di vivere comunque meglio la realtà terrena, perché non accettarla?.
La Chiesa invece ha sviluppato una costruzione per la quale per prepararsi alla vita eterna è necessario sacrificarsi in questa. Lasciare il certo per l’incerto.
Nella cultura cattolica nella quale siamo cresciuti, più che alla vita eterna l’uomo è destinato alla dannazione eterna. Salvo rarissime eccezioni.
L’incontro con il Padre è un “lacrimosa dies irae”. Nel nostro immaginario infatti i nostri cari, pur con tutta la stima che possiamo avere di loro, di ben che vada li possiamo pensare in Purgatorio. Per questo dobbiamo pregare per loro, far dire delle Messe, guadagnare delle indulgenze. Ma in verità in nessuna parte del Vangelo si parla del Purgatorio, come non si parla del Limbo, che ora sembra sia stato recentemente abolito dopo che per migliaia d’anni vi sono affluiti i bambini morti senza battesimo. Anche questo ultimo fatto dimostra che queste credenze sono relative, e fa bene il relativismo a rimuoverle. Nei moti di reazione succede spesso che assieme all’acqua sporca si butti anche il bambino. Forse è il caso di buttare l’acqua sporca, tornando a pensare al bambino, cioè alla verità semplice del Vangelo, per la quale chi ama vive bene qui e nell’eternità, chi odia vive male qui e nell’eternità. Non ci sono i trecentomila peccati per i quali, uno non può mai essere sicuro di essere in “grazia di Dio”, c’è un solo comandamento quello dell’amore, e quindi un solo peccato il suo contrario: l’odio.
E’, a mio parere, il concetto fondante del cristianesimo, che può essere “ragionevolmente” accettato, anche in una predica sulla morte il giorno di ferragosto, e che se, accettato, darebbe una nuova prospettiva di vita sia sul piano individuale che su quello sociale!

venerdì 6 luglio 2007

Presentato l'Ecomuseo dell'Alto Friuli.

L’apprezzamento alla Provincia per essersi costituita come capofila del progetto di Ecomuseo tematico dell’acqua dell’Alto Friuli è stato espresso dalla gran parte dei sindaci e dei rappresentanti delle ProLoco invitati alla presentazione del progetto nella sala riunioni della Direzione d’Area Montagna della Provincia di Udine a Tolmezzo. L’Assessore Caroli esprimendo la soddisfazione per il fatto di aver portato la Provincia aggiudicarsi il Bando di Euroleader “Sostegno a progetti per l’avvio di un sistema mussale: l’Ecomuseo”, ha sottolineato l’importanza d’una iniziativa che vede la Provincia realizzare una rete che mette assieme tanti Comuni dell’Alto Friuli, primo passo verso una rete di tutto l’Alto Friuli, con la Provincia nel ruolo di Ente di area vasta. L’apprezzamento è stato confermato anche dal Presidente della Comunità Montana del Gemonese Ivo Del Negro e dall’Assessore Marino Corti della Comunità Montana della Carnia, per una soluzione telematica dell’Ecomuseo che ha consentito di superare le difficoltà che avevano fatto incagliare i precedenti progetti.
Il dott. Piutti. project manager per conto dell'Imont dell'Ecomuseo del Vajont: continuità di vita , che, come consulente della Provincia, ha collaborato con la Direzione d’Area montagna alla definizione del progetto, si è soffermato a spiegare a che cosa ci si deve riferire con il termine Ecomuseo, ed a come la soluzione telematica dell’Ecomuseo possa costituire una metodologia per mettere in rete più Comuni, sull’idea condivisa di ripensare alla propria storia, alla peculiarità delle tradizioni e della lingua, alla valorizzare la propria identità, e su questi valori impostare una prospettiva di sviluppo nella quale si legano in un circolo virtuoso innovazione e tradizione. L’ecomuseo, ha ricordato, “deve essere inteso come uno specchio nel quale la popolazione, ed in particolare i giovani, si guardano per poter immaginare il futuro”
Il Presidente della Associazione delle Pro Loco del Friuli Venezia Giulia, Barbina ed il Presidente onorario Vale che partecipano come partner al progetto hanno sottolineato l’importanza di un progetto che può consentire alle Pro Loco di assumere un ruolo più spiccato di animazione culturale del proprio territorio. Uno degli obiettivi che si pone il progetto è infatti quello di “conoscere il territorio per farlo conoscere, di utilizzare la telematica per rileggere, ripensare e presentare il proprio territorio in chiave di promozione turistica”.
A conclusione dell’incontro l’Assessore Caroli ha tenuto a sottolineare come anche questo nuovo progetto rientri nella strategia della Provincia di sviluppare un progetto per la montagna che punti sui giovani . “E’ necessario”, ha ricordato “favorire un approccio positivo al territorio da parte dei giovani, aumentando il radicamento della popolazione al territorio in cui vive, operando per il superamento del luogo comune che vivere in montagna sia più difficile che altrove ed evidenziando il valore aggiunto di tale aspetto. Nel progetto di Ecomuseo telematico e tematico dell’Alto Friuli l’identità locale viene assunta in qualità di presupposto culturale per motivare i giovani alla permanenza sul territorio.

sabato 30 giugno 2007

La cultura del vivere in montagna.

"Con l’energia sottratta alla montagna hanno illuminato le città, ed hanno fatto in modo che, attratti da queste luci, le forze più vive e più giovani, siano fuggite dalla montagna”.
Oggi lo scenario può cambiare: si può cominciare a pensare alla montagna non come a un luogo di emarginazione da abbandonare appena possibile, ma ad un luogo dove anche un giovane che non vuole rinunciare alle opportunità che gli derivano dal vivere nel terzo millennio, può pensare di progettare il proprio futuro.
Lavorare ad un nuovo progetto montagna signfica lavorare, perchè questo avvenga in maniera sistematica: creare le condizioni perchè vivere in montagna possa essere non una maledizione ma una scelta per chi vi è nato e per chi puo pensare di trovarvi un modo di vivere e di realizzarsi più completo rispetto a chi vive in città. Se questo è l’obiettivo, è molto secondario, e per certi versi fuorviante discutere di questioni ordinamentali, di riordino di comunità e comuni, di autonomia.
Più importante sarebbe forse chiedersi come mai l’uomo della Carnia, fuori dal suo contesto diventa dinamico, propositivo, tendenzialmente imprenditore, nel suo contesto è portato a delegare agli altri la soluzione dei propri problemi, ad accontentarsi, preferisce vedersi come dipendente che come imprenditore.
Interessante sarebbe chiedersi se la scuola fa qualcosa per modificare queste condizioni culturali di base o se invece, gli insegnanti che vengono da fuori, sentendosi in qualche modo come relegati al confino, non favoriscano la cultura della fuga dalla montagna. Se la Chiesa stessa che per anni ha usato la montagna come luogo di punizione per i suoi preti, non abbia contribuito a trasmettere l’idea che la montagna è un luogo si “sofferenza e di dolore”.

mercoledì 27 giugno 2007

Le stagioni del contadino.

Da (Lo strano sogno - Editrice UniService - pag. 165)
I suoi ritmi erano quelli segnati dal rincorrersi dei giorni, dal mutare delle stagioni, dallo sviluppo della natura che impone l’ordine del lavoro del contadino. Erano i ritmi che avevano cadenzato la vita di sua madre, e prima di sua nonna, e prima ancora della nonna di sua nonna e di tutte le donne che avevano nei secoli lavorato sui quei prati, attraversato quei boschi, percorso quei sentieri.
Da sempre era venuto marzo a sciogliere le ultime nevi, e per sempre sarebbe venuto con lo stesso fondale, obbligando alla recita dell’identica scena.
Negli angoli meno soleggiati c’è ancora la neve, e sul sentiero la terra s’increspa gelata, intrisa di brina . Ma più avanti ove il tepore del sole di primavera ha sciolto la terra, il prato ha ripreso a muoversi nel primo brivido di vita. È scoppiato il bianco dei bucaneve sul terreno ancora sporco dei colori dell’autunno. E poi il giallo delle primule, mentre il prato è percorso dal verde brivido dell’erba, che spunta tenera emergendo dall’umore della terra. La quercia trattiene ancora le ultime foglie bruciate dal gelo dell’inverno, ma il sole ha disciolto la linfa che ora percorre la pianta con un fremito nuovo, e scoppiano le prime gemme.
Il contadino tuttavia è come un attore che non guarda al fondale del palcoscenico sul quale deve recitare, per lui tutto il fervore di vita del prato a marzo, è solo un prato che deve essere “rimondato”, pulito di nuovo.
Perchè non si rovini la falce e perchè il fieno possa essere raccolto pulito, è necessario passare con il rastrello tutti i prati per raccogliere tutte le foglie cadute dagli alberi, i rami secchi ed i sassi. È il primo lavoro. Quasi un passatempo per sgranchire il corpo, dopo l’inerzia dell’inverno.
A Pasqua la terra è pronta per essere smossa. Ove i pendii della montagna sono meno inclinati si sono ricavati i piccoli campi. La vanga premuta dal piede, si infila a fatica nella terra che s’è compattata sotto la neve. Il corpo s’inarca nello sforzo di sollevare la zolla che, rovesciata, viene disposta per accogliere il seme. A concimare la terra quindi una striscia di letame formata distribuendo con la forca i mucchi precedentemente realizzati, portando il letame con le gerle. Poi il seme: sullo strato di letame nero, più nero del solco, una fila di patate, bianche, tagliate a pezzetti.
Non troppo distanti per non perdere spazio, non troppo vicine per non sprecare il seme! Quasi un gioco per bambini…
“Ma distanti quanto? Vicine quanto?…”
Poi di nuovo con la vanga, un colpo dopo l’altro, a rovesciare la terra per coprire il seme.
Oppure no, per fare la rotazione, quest’anno è meglio il granoturco. La stessa lavorazione, ma il seme no.
Il granoturco si semina alla fine.
I semi di grano nel grembiule raccolto a mo’ di sacca. Con la sinistra ne cogli un pugno, che poi distribuisci. Due o tre alla volta, dietro al sarchiello, con il quale hai aperto la terra.
All’Ascensione l’erba e matura. Inizia il ritmo più intenso e pesante dei lavori d’estate.
Falciare! All’alba quando l’erba è ancora madida di rugiada. Così la falce scorre più sciolta e si fa meno fatica, dicono i vecchi! Ma s’alza presto il sole d’estate. Scende dal monte di fronte e fa brillare le gocce di rugiada sull’erba. E si svegliano con lui anche i tafani. Inebriati dall’odore della pelle, umida di sudore, danzano attorno impazziti per gettarsi all’improvviso come sparvieri a pungere ed a succhiare il sangue.
Per ore la stessa cadenza. Ruotando il corpo per imprimere più forza all’impatto della falce con l’erba. Rompendo il ritmo solo per rifare il filo con la cote. E tutto intorno, al sibilare delle falci, s’alterna lo stridio delle coti, che copre il canto di fondo dei grilli, l’improvvisazione del merlo, la monotona insistenza del cuculo.
Poi stendere al sole i solchi d’erba tagliata, formati dalla falce. Girare l’erba perché si secchi più in fretta, metterla in covoni a sera, perché la rugiada non la bagni. E il giorno dopo, ripetendo la medesima scena, su un’altra parte di prato, continuare con il secondo atto della lavorazione. Sciogliere i covoni al sole, e girare ancora una volta il fieno, ormai quasi secco. Dopo pranzo infine, quando il sole picchia più forte, raccoglierlo per portarlo nel fienile.
Due corde, distanti tra loro una trentina di centimetri, da stendere sul prato di traverso, ad angolo retto rispetto all’inclinazione del terreno. Anche questo è un lavoro per bambini! “Non così! Non vedi che sono troppo inclinate?” sgrida la mamma.
Sembra facile! Ma una bambina non può avere l’idea dell’angolo retto, rispetto alla pendenza del prato!
Raccogliere con il rastrello il fieno a “falde”. Comprimendolo contro le proprie gambe per farne delle specie di cuscini, da porre poi sulle corde, sovrapponendoli l’uno dopo l’altro. Cinque o sei, a seconda della distanza del prato dal fienile e della forza del portatore. Poi sotto il sole che picchia con rabbia, infilare la testa in una sorta di nido incavato al centro del fascio di fieno che scotta, sedersi, addossandosi il fascio alla schiena, e quindi, mentre qualcuno t’aiuta spingendo da dietro, issarlo, in bilico sulle spalle. Alzarsi a fatica, reggendo l’enorme pesante copricapo e prendere a camminare, riuscendo a vedere quel poco che serve per non incespicare seguendo il sentiero.
Andare, nel sudore che scioglie la testa, e il pulviscolo che s’appiccica al volto. Andare, per dieci, per venti, per trenta minuti, appena riuscendo a vedere, dove mettere il prossimo passo. Liberarsi infine del peso, nella bolgia infuocata del vecchio fienile, nell’angusto intramezzo, tra il fieno in catasta e il tetto dagli embrici che scottano, bruciati dal sole...
Sciogliere le corde in quell’afa che toglie il respiro, e scomporre il fascio del fieno, spargendolo sulla catasta. Calpestarlo e pigiarlo, perchè non occupi spazio di troppo, nella nube del pulviscolo che s’appiccica al corpo.
E alla sera c’è ancora qualcosa da fare. A San Giovanni nel campo, a rincalzare la terra sulle piante di granoturco appena spuntate. In silenzio, in un mare di lucciole che si muovono a scatti, avvolgendoti in una atmosfera magica ed irreale. Mentre le ombre della notte si fanno sempre più fitte e più luminosi i punti di luce impazziti, l’alito della terra fa vibrare le foglie, umide ancora nello sforzo per nascere.
E con le prime ombre che scendono dalle montagne s’affollano e addensano sui tuoi pensieri, altri pensieri, altre figure.
Sono le donne che da sempre, alle falde della montagna dalla quale si vede il mare, nelle notti di S.Giovanni nel turbinio delle lucciole hanno sentito il vuoto del finire...
E le ombre prendono a vivere di quei pensieri e ti assale la paura. La folla sembra che voglia travolgerti e senti il bisogno di fuggire, per nasconderti nella solitudine della casa, sbarrando la porta agli altri pensieri che vivono nella notte.
Poi il buio s’incrina, le lame rosse dell’aurora lo fendono e di nuovo il sole si sporge dalla Damarianna, la montagna di fronte. Ogni giorno un po’ più in alto, a scandire il passare del tempo con la sua scalata del monte. E viene alla fine l’autunno.
Finalmente l’erba non ricresce più! Finiscono gli impegni della fienagione. Ma ci sono ancora i raccolti da fare. A fine settembre ci cono le patate. La vanga riprende le zolle rivoltandole per mettere a nudo i grappoli dei tuberi. Man mano che arretri tra solco e solco si forma la striscia bianca delle patate ad asciugare al sole. Si devono raccogliere poi, scegliendo per il maiale quelle spezzate dalla vanga e quelle troppo piccole. (Altro lavoro per bambini!) Ma piccole quanto? E quanto grandi, perchè siano buone per gli uomini?
E cominci ad imparare che tutto è relativo. Dipende infatti dagli anni. Se è stata una buona annata le patate sono più grandi, se invece c’è stata troppo pioggia oppure troppo poca, le patate sono più piccole. Non esiste nella vita una misura certa, un calibro preciso, anche i bambini dovrebbero cominciare a capirlo...
Intanto il bosco si tinge dei colori dell’autunno. Dal basso, come se ogni giorno il pittore aggiungesse una riga nuova al suo disegno, il verde viene coperto dal giallo bruciato dei faggi e dal marrone delle querce, viene macchiato dal rosso dei ciliegi e dal bianco delle betulle.
Quando il nuovo colore ha raggiunto le vette siamo ormai alla festa dei morti: è l’ora del granoturco. Le piante sono già state troncate appena al di sopra della pannocchia. Le mucche vanno ghiotte dei gambi di granoturco ancora freschi, tagliati a pezzetti. Il campo con quei monconi a mezza altezza, sembra una testa rapata per punizione.
Fa tristezza percorrerlo, sfilando le pannocchie per buttarle nella gerla portata sulla schiena. Ti senti una ladra! Come è possibile che quelle piante abbiano faticato invano! Gli era già stata tolta la parte più alta, con il pennacchio del quale andavano fiere. Come soldati avevano sfidato i temporali estivi, il vento impetuoso e la grandine battente. Ora dopo aver perso l’elmo, erano costrette a lasciarsi strappare le armi…
Solo per la pannocchie quei gambi di granoturco erano diventati così alti: perchè meglio potessero cogliere i raggi dei sole. Ora invece, tutto si risolveva in un attimo, nel gesto brutale della mano che d’un colpo staccava quei frutti, per buttarli nel fondo d’una gerla.
A turno si riunivano poi le famiglie, attorno al mucchio di pannocchie deposto in un angolo della casa, per aiutarsi nel lavoro di ripulitura.
Con gesti secchi le donne aprono le foglie, senza badare all’imbarazzo del frutto che si vede messo a nudo, così all’improvviso, nell’ordinato disporsi dei chicchi, nelle file regolari che lo percorrono in tutta la lunghezza. Le foglie vengono quindi strappate e deposte in un mucchio, strame per le mucche. Le più sane e belle, a parte, per cambiare il fogliame del pagliericcio, che si usava come materasso.
La pannocchia nuda, con due o tre foglie soltanto in testa, (bianche perchè più interne, mai toccate dal sole) come una sposa agghindata per la sua festa, viene passata alla donna più esperta, incaricata dell’intreccio. Sovrapposte le une alle altre, attraverso le foglie intrecciate tra loro, le pannocchie vengono composte in un enorme grappolo, per essere poste a maturare facendo bella mostra di sé sulla linda di casa, nel tiepido sole d’autunno...
E il bosco cambia ancora. Con il grigio dei faggi ormai senza foglie, sembra spruzzato di nebbia per prepararsi al gelo dell’inverno. Cade allora la prima neve, lontano, sulle cime più alte, in grigie giornate di freddo, quando solo lo scricciolo trova il coraggio di muoversi tra i rovi. Poi la nevicata s’avvicina, come un velo bianco che viene steso lentamente dall’alto a coprire a poco a poco tutta la montagna. E infine arriva anche in paese!...
“Nevica!” Si dicono i bambini felici perchè coperta dalla neve la terra non sembra prestarsi ad altro che al gioco.
“Nevica!” Si dicono i grandi, dispiaciuti che quella coltre di neve cancellando ogni cosa impedisca loro di usare della propria terra, di ritrovare i propri sentieri.
“Nevica!” Ed ogni fiocco sembra voglia cancellare qualcosa. Si posano discreti come un bacio, prima sciogliendosi nella terra, quasi a cercare l’intimità…poi la natura che freme sorpresa a quell’incontro subdolo, lentamente, viene coperta ed annientata nella irreale distesa di bianco.
Nevica! E con la neve da sempre, allo stesso modo, si chiude il ritmo della stagione...
Nevica! E come sempre, marzo scioglierà l’ultima neve per un nuovo anno di lavoro...

domenica 24 giugno 2007

Un pezzo a piedi - Giovanna Nieddu


Un romanzo o un racconto è una costruzione artificiosa che un autore ha sviluppato con la sua fantasia, come una tela sulla quale trasferire il proprio pensiero. Farne una recensione significa guidare il lettore a filtrare i contenuti, attraverso la trama della tela. Nella poesia non c’è invece nessun artificio. Nella poesia l’autore è come in un confessionale senza grata, scrive proprio per mettere a nudo la sua anima. La poesia è tanto più riuscita, quanto più la parola ha perso ogni significazione per farsi suggestione ed emozione. La poesia non è una traduzione dei sentimenti in parole, perché il lettore possa risalire dalle parole ai sentimenti. La poesia diventa essa stessa sentimento e le parole si trasformano nel pentagramma che consente al lettore di far proprie le emozioni del poeta: musica senza parole.
Per questo è difficile, se non impossibile, recensire una raccolta di poesie. Non c’è nulla da recensire, perché non c’è traccia da svelare, sentiero su cui condurre il lettore. Il rapporto tra chi scrive e chi legge è immediato, direi quasi “a pelle”. Il poeta si mette a nudo, e nudo deve avvicinarsi il lettore, per sentire la vibrazione d’un anima che ha sentito il bisogno di rivelarsi, perché altri nel suo disvelarsi, trovi una traccia per ritrovarsi, per ritrovare il senso del proprio esistere.
Queste sono le considerazioni a cui sono stato portato leggendo la raccolta di poesie “Un pezzo a piedi” di Giovanna Nieddu, e su queste considerazioni, ovviamente, avrei dovuto fermarmi, rinunciare ad ogni commento.
Ma poi non ho potuto fare a meno di interpretare a mio modo, la “tela di vita” che affiora tra le “parole in bianco e nero” della Nieddu.
A partire dal titolo, ricavato da una delle poesie della raccolta e riferito alla battuta d’un extracomunitario (anche questi ormai nuovi cittadini della Carnia) che chiedendo il biglietto della corriera, per risparmiare, chiede soltanto una tratta, riservandosi di fare a piedi l’ultimo pezzo. Ma è il pezzo a piedi di mille storie della nostra emigrazione. Il pezzo a piedi che gli emigranti facevano scendendo dal paese per andare a “prendere la corriera di Tavoschi”, accompagnati dalla moglie che portava la valigia sulla gerla. E’ il pezzo a piedi che facevano rientrando con la valigia di cartone in spalla, ed il pensiero al paese che finalmente avrebbero rivisto. E’ il pezzo a piedi di Giovanna che emigra dalle montagne della Sardegna, per fare anche sua la mia Carnia. Emigrazione ed immigrazione come un vortice che può cancellare o rendere più vive le identità. Paura e speranza per i paesi di montagna.
Ma forse al di là delle intenzioni dell’autrice, in questo titolo, io ci ho letto la metafora del pezzo a piedi di ognuno di noi nella vita, come lei dice, “contando i passi che ci separano dal cielo”.
“Inquietum est cor nostrum donec requiescat in te”. Potrebbero essere queste parole di S.Agostino la chiave di lettura più profonda dei versi di Giovanna. L’inquietudine del finito alla ricerca d’un senso che può essere ritrovato solo in un Infinito irraggiungibile, in una vita che è “l’eterno respiro d’eterno”. Una inquietudine che costa sofferenza, che pesa perché si “paga caro il prezzo della consapevolezza”.
Ma accanto alla chiave di lettura esistenziale c’è quella di Giovanna che ha scoperto la Carnia, meglio di tanti carnici, perché ha scoperto la suggestione dei luoghi. “Vado per le montagne.. e il silenzio umido del sottobosco canta il canto della mia montagna. In Marcelie, (nei luoghi della mia infanzia, ai quali mi lega una “particolare attrazione” come scrivo in un mio romanzo) è arrivata lei dalla Sardegna, ed è riuscita a dar voce alla mia suggestione. “Cammino piano/ lascio che la vita/ mi scorra dentro all’anima/ prego/ lo spirito mio di riposarsi/ in Marcelie”
Infine nei versi che mi sono più piaciuti di “Cantami un lied” Giovanna che pure non è nata su queste montagne di Carnia, e riuscita a farle parlare. Ne ha sentito la voce nelle “note lontane di un canto mattutino”. Si è sentita vivere con il vivere della natura, ha dato voce ancora alle Agane, che erano acqua ed erano fate, spirito e natura assieme. Le Agane metafora di un vivere nella natura e con la natura, che cantavano come Giovanna “Portami da lontano/ le note di un canto mattutino/ il canto del risveglio/ abbracciata alla paglia”


lunedì 18 giugno 2007

Le radici

No! Luciano le sue radici le aveva calate nella tavolozza di colori che si trasforma al mutare delle stagioni, grondanti dei profumi dei fiori di campo, degli odori del muschio nei boschi e del fieno nei prati. Le sue radici erano intrise dei rumori d’un piccolo paese di contadini nel quale le case s’alternavano alle stalle, aggrappate le une alle altre a ridosso del ciottolato delle strade strette. Su quei sassi lucidi, levigati da passi infiniti, scivolava a sera il suono delle campane per l’Ave maria e si fondeva con il richiamo delle madri, con il muggire delle mucche.
Le sue scene non erano di cartapesta, non erano fotografie sbiadite. Emergevano e si stagliavano nel ricordo, vive, come erano state raccolte, come se ancora potessero ripetersi con la medesima vitalità. Vivo il ruscello che scendeva tra i sassi, con parole sempre diverse. Vivo il bosco che alitava al limitare del prato, che stormiva tra gli alti faggi, che frusciava tra i folti abeti. Vivo il sole che al tramonto giocava con le ombre, rincorrendole tra le montagne, per sciogliersi poi all’orizzonte, sulle ultime catene infuocate delle dolomiti carniche.
Vivo l’umore della notte che si infiltrava tra le case, sgusciando dalle porte socchiuse, con il respiro di elfi e di streghe, quando il piccolo paese sperduto tra le montagne si scioglieva nel brivido della notte, per diventare un paese del mondo ove Pinocchio se la vedeva con la piccola vedetta lombarda, Biancaneve fuggiva con la Sirenetta e Robin Hood si incrociava con l’Ebreo errante.
Da "Lo strano sogno" - Igino Piutti - Editrice UniService-Trento

mercoledì 13 giugno 2007

Autonomismo e Identità

Da carnico a fianco di Strassoldo contro l’autonomismo carnico, per poi finire a fianco di Strassoldo a battersi per l’autonomismo friulano? Con quale coerenza? Se così fosse, nessuna! La coerenza sta nel fatto che sono contro l’autonomismo. Mi pare una inutile battaglia di retroguardia. Una sorta di narcisistico voler guardare indietro per nascondere la mancanza di idee su come andare avanti. La prospettiva per il futuro non può essere più quella dell’autonomismo, ma quello delle reti. La rete non annulla la specificità, la diversità, anzi la esalta. La rete è il confronto di tante identità che nel colloquio si esaltano e si aprono. L’autonomismo è lo scontro di tanti campanilismi, che sprecano inutili energie nell’esaltazione esasperata delle diversità.
La diversità fra Trieste e il Friuli è di una evidenza indiscutibile. Può essere analizzata per accentuare la separazione, oppure può essere considerata come un valore da mettere in gioco. Un centro di ricerca di livello internazionale come quello di Trieste, e un sistema produttivo come quello friulano, se messi in rete, fanno un sistema regionale di innovazione, senza eguali a livello italiano e non solo. Se viceversa Udine spreca risorse ed energie a duplicare Trieste, si produrranno due mediocrità provinciali, invece che una eccellenza regionale. Purtroppo sono questi, discorsi che non muovono larghi consensi. Il popolo ha bisogno di scendere in campo contro qualcuno, allo stadio come in piazza, e la demagogia deve rincorrere il popolo se vuole il suo consenso. Ma alla fine anche il popolo si accorge di essere stato usato…
Io mi auguro che anche questo dell’identità nella rete possa diventare un tema del dibattito della nuova Fondazione della Casa delle Libertà. Alle tre "i" di Tondo, innovazione infrastrutture e internazionalizzazione, ne aggiungerei una quarta: l’identità. Immaginerei così un programma di animazione culturale che porti ogni realtà non solo provinciale ma anche di singolo paese a valorizzare la propria identità della lingua, delle tradizioni e della microstoria. Ma non per chiudersi e ripiegare sulle “piccole cose di pessimo gusto”, ma per aprirsi, accettando il confronto, volendo e cercando la possibilità di mettersi in gioco. Dice Henry Riviere che il passato deve essere visto come uno specchio nel quale guardarsi per imparare a costruire il futuro. Il concetto è ripreso nel termine ormai abusato di “glocale” nel quale si è cercato di mettere assieme l’esigenza di far rete a livello globale, con la necessità di accentuare il valore locale dell’identità. Nell'interesse sia dei singoli punti che della rete. Infatti più sono forti e riconoscibili nella loro identità i nodi della rete, più la rete è forte. Più la rete è forte, maggiore è il vantaggio che può far ricadere sui singoli nodi.

Da Arta a Trieste.

Si licet parva componere magnis, dicevano i latini. Non sempre è possibile mettere a confronto le piccole e le grandi cose. Ma alle volte sì! E forse allora è anche lecito confrontare come si comporta l’on Tondo, nel piccolo del territorio della Carnia, ove risiede, per capire se veramente sta studiando da Presidente della Giunta Regionale.
Nel suo blog si legge che dopo i risultati delle elezioni comunali di Arta Terme si è incontrato con FI, Lega e AN del Comune “per valutare il percorso politico conseguente alla sconfitta elettorale determinata dalla scelta sciagurata (ne porteranno le conseguenze) dell'UDC di allearsi col centrosinistra di Marsilio”. Per chi non avesse seguito la vicenda: il Sindaco uscente Somma di Forza Italia è stato mandato a caso da una alleanza di sinistra, con il supporto determinante dell’UDC.
Da un politico al suo livello ci si sarebbe aspettati almeno che l’incontro di cui si parla nel blog, fosse avvenuto prima della formazione delle liste, quando l’UDC aveva manifestato le proprie intenzioni. Atteso che il segretario della Sezione UDC di Arta è anche vicePresidente del Consorzio di cui Tondo è presidente e Somma direttore non doveva risultare difficile organizzare l’incontro.. A meno che non si dia per acquisito che l’UDC debba essere lo zerbino della Casa delle Libertà e che Casini debba fare il chierichetto di Berlusconi!
La scelta comunque di contribuire al cambiamento ad Arta è nata nella sezione locale del partito, tenendo informati i responsabili sia provinciali che regionali. L’UDC confermando la collocazione di alternativa alla sinistra, ha ritenuto nel caso particolare di dover privilegiare l’interesse del paese, e quindi, a maggioranza, si è deciso di essere prima di tutto alternativi ad un certo modo di amministrare.
Se Tondo fosse stato attento a ciò che diceva il paese, e non a ciò che dicevano gli amici degli amici, non avrebbe lasciato che venisse bruciato il sindaco uscente.. Ma la supponenza di Forza Italia ha fatto pensare, qui come altrove, che il Centro destra possa far a meno dell’UDC. Per non “portarne le conseguenze” ad altri livelli, Tondo farebbe bene a tener conto dell’insegnamento di Arta!…
Se c’è qualcosa che l’UDC di Arta deve rimproverarsi è il fatto di aver sostenuto il Sindaco pur essendo stato messo all’opposizione per il comportamento scorretto di Forza Italia, nelle precedenti elezioni. E in cinque anni la Forza Italia di Tondo, non ha mai pensato di recuperare l’alleato. Uno che studia da Presidente, dovrebbe imparare sulla piccola scala, per poi farne uso nella grande, che i fondamentali consistono nel saper fare la squadra e farla collaborare.
Quando poi parla del “centrosinistra di Marsilio”, implicitamente alternativo al centrodestra di Tondo, farebbe bene a ricordarsi che in Carnia e in tutta la Regione, ci sono tante persone che non sono né di Tondo né di Marsilio, ma sono semplicemente persone che pensano con la loro testa e che quando si impegnano in politica, lo fanno perché credono nella democrazia partecipativa.
Se volessi scendere al suo livello potrei ricordare le volte che Tondo ha privilegiato “gli uomini di Marsilio”, o la sua (questa sì “sciagurata”!) scelta di contrastare il candidato sindaco di AN a Paularo.. Potrei ricordargli le amministrazioni comunali che in questi anni Forza Italia ha perso in Carnia. Potrei persino ricordargli che sono state le sue bizze, non quelle dell’UDC, a spianare la strada a Illy. Sulla minaccia di conseguenze per chi si è spostato a sinistra, potrei augurarmi di avere le stesse conseguenze che ha avuto lui, finendo a leader di Forza Italia, dopo aver fatto il sindaco con Rifondazione Comunista.
Ma non è il caso, non siamo così “beceri”! Ho già scritto che il fatto di poter esprimere il Presidente della Giunta Regionale per la Carnia costituisce una grande opportunità, per questo mi dispiace di dover constatare che troppo volte, studiando da Presidente, Tondo commette degli errori. Questo di Arta è uno! La minaccia sulle conseguenze con cui commenta l’accaduto sul suo blog è il secondo.
C’è solo da augurarsi che sbagliando in casa impari a non sbagliare fuori, a livello regionale!!! Comunque può stare tranquillo, l’UDC di Arta e della Carnia, non è con Marsilio. Ma neppure a priori con Tondo. E’ con chi nel Centro Destra saprà impostare una vera politica di sviluppo per la montagna, alternativa alle promesse non mantenute da Illy! Se sarà lui a saperlo fare, consideriamo un valore aggiunto il fatto che sia carnico, e ci sarà un motivo in più per l’UDC della Carnia per perdonargli gli errori fatti in casa, e continuare a collaborare. Non siamo al livello di quei bravi cittadini di Arta Terme, che hanno inviato una lettera al Presidente della Provincia Strassoldo chiedendo la revoca dell’Assessore Caroli loro concittadino…
Piutti Igino
Coordinatore dell’UDC della Carnia.

domenica 6 maggio 2007

Le Rogazioni a Illegio.
Si spendono alle volte somme ingenti per eventi senza riscontro. Ci sono al contrario eventi che non costano nulla e che meriterebbero un riscontro ed una promozione importanti. E’ il caso delle rogazioni che ad Illegio si tengono il venerdì precedente la festa di S.Floriano che ricorre la prima domenica del mese di maggio. E’ una cerimonia per gli abitanti di Illegio che ricorda la loro storia, potrebbe essere vista come una sacra rappresentazione che rievoca la storia di tutta la Carnia.
La processione parte da Illegio per salire alla Pieve. E’ consigliabile salire da Imponzo per il sentiero di sot la Crete che porta nella piana di Amieile e lì attendere l’arrivo della processione.
Siamo ai primi di maggio ed il pianoro ai piedi del colle di S.Floriano è d’un verde morbido d’erba verde appena germogliata, punteggiato da fiori di diversi colori, freschi appena sbocciati. C’è un assordante gridìo di grilli, contrappuntato dal canto di due cuculi che si chiamano alternando il loro cucù giù nel bosco del rio Frondizzon. D’un tratto il canto dei cuculi, come per magia, diventa una voce umana, un canto, un grido… Fa eco un coro sommesso, appena avvertito, come se uscisse dalle case di Illegio che si vedono sull’altro versante, oltre il Cimitero. Coro e grido si avvicinano, diventano semprepiù riconoscibili. E’ il canto delle litanie dei santi. Al richiamo del nome d’un santo, il coro risponde “te rogamus audi nos”, ti preghiamo ascoltaci.
Ci sono le voci ma non si vedono ancora le persone, e le voci sembra che vengano dal bosco. Sono le voci di oggi, ma sono allo stesso tempo quelle che da oltre duemila anni ai primi di maggio salgono da Illegio, a pregare sul colle di S.Floriano. Non c’era la Chiesa, non era ancora apparso Cristo per le strade della Palestina, e da Illegio già si saliva a quel colle, pregando per la fertilità della terra, chiedendo d’essere preservati a fulgore et tempestate, dai fulmini e dalla grandine. Si pensava che il Dio si chiamasse Beleno. Ma non era questo il dato importante, al di là dei nomi si credeva ci fosse una entità capace di venire in soccorso degli uomini che lo invocavano. E’ la stessa entità a cui si rivolgono i pochi abitanti del duemila che ad Illegio ancora credono e che in processione, invocano per l’intercessione di tutti i Santi.
Dal bosco non è uscito ancora nessuno, ma dietro le quinte del verde si avverte che la scena è cambiata. Si sono fermati ed il parroco intona in latino un passo del Vangelo di Marco. Non si distinguono le parole, è come una nenia che esce dal bosco quasi fosse l’umore o il respiro delle piante. Come il refolo di nebbia che accompagnato dal canto lontano, si sfilaccia dal bosco e prende forma, coprendo il paese di fronte, per spingere l’immaginazione a pensare a quando il paese non c’era ancora.
Riprende infine il canto delle litanie e dal bosco esce la processione: la croce davanti, gli uomini, il parroco con il piviale rosso e quindi le donne. Il piviale del parroco porta a pensare alle vesti analoghe che, come ricorda Cesare nel De Bello Gallico, indossavano i Druidi dei Celti. Non ci sono testimonianze, non c’è documentazione, ma proprio per questo è legittimo pensare che questa processione interpreti in chiave cristiana le processioni che già prima di Cristo si snodavano su queste montagne.
Attraversata la piana di Amieile la processione si inoltra nel bosco per seguire i tornanti della vecchia strada lastricata che porta alla Pieve, per incontrarsi sulla radura antistante la Chiesa con la processione che è salita sull’altro versante, da Imponzo. Ancora una pausa ancora il brano d’un canto del Vangelo in latino, e sempre in latino una preghiera a Dio “ut cogitemus te inspirante quae recta sunt et te gubernante eadem faciamus”. Se fosse così facile, laggiù nella vita d’ogni giorno, come sembra possibile qui sul colle: che con la tua ispirazione pensiamo a ciò che è giusto e che con il tuo aiuto lo facciamo”!...
La processione si snoda di nuovo sui tornanti della radura antistante la Pieve, come un serpente che sale a nascondersi nella Chiesa. Qui si concludono le preghiere del rito delle rogazioni ed inizia il canto della messa vecchia, che da non so quando, le cantorie di Illegio si tramandano. Varrebbe la pena di salire fin quassù soltanto per sentire il canto del Kyrie. Nella liturgia è una invocazione, una richiesta di aiuto. Ma gli abitanti di Illegio di generazione in generazione l’hanno trasformato in un lamento struggente. Non è un canto di richiesta. E’ come se già si fosse persa ogni speranza. E’ un canto cantilenante con il quale sembra quasi si voglia chiedere scusa d’essere al mondo, rassegnati alla sofferenza indicibile che in passato si doveva sopportare per riuscire a sopravvivere tra questa montagne. Perdonami Dio dell’ardire che ho di rivolgermi a te!!!